Cerca
Close this search box.

Il ghiur, frutto dei matrimoni misti, può essere una carta per bilanciare il calo demografico?

Qui dobbiamo considerare l’atteggiamento delle autorità rabbiniche sui matrimoni misti e sul ghiur, innanzitutto in Israele. Personalmente ho una posizione molto critica sul rabbinato di Gerusalemme, che credo completamente fuori dai tempi nel leggere le problematiche della diaspora. Il ghiur in Italia, e nella diaspora, sono diversi da quello in Israele, dove c’è una maggioranza ebraica, e dove dovrebbe essere più facile fare le conversioni. Invece anche da parte del rabbinato centrale in Israele c’è forte ostilità al ghiur, che avviene in modo molto selettivo. Per esempio la comunità etiopica è stata accolta in modo favorevole, ma lo stesso non è avvenuto per russi, europei e americani, che sono trattati peggio, e questo è un errore strategico che va corretto.

Come mai, a suo avviso?

Il problema grave è la dipendenza del rabbinato dalla politica. La politica influenza le nomine al rabbinato centrale, per cui la religione diventa una forza dipendente dalla politica e addirittura dalle correnti di partito, un fatto gravissimo che crea il distacco del pubblico dal rabbinato e dalla tradizione.

Che effetto ha tutto questo in Italia?

In Italia riscontro una fortissima dipendenza dal rabbinato di Gerusalemme, che ha molto influenzato il rabbinato italiano, che è istituzionalmente allineato su quello ortodosso israeliano. Certo, alcuni rabbini riescono a essere indipendenti, ma altri meno. Io credo che, molto oculatamente, valutando caso per caso, verificando la sincerità delle intenzioni, bisognerebbe dare una mano a chi vuole educare i propri figli in ambito ebraico.

Come giudica la dirigenza del rabbinato italiano e dell’Ucei di questi ultimi anni?

Non posso dare giudizi, anche perché stimo molto le persone, che conosco bene e con le quali vanto legami di amicizia personale. In generale, bisogna rendersi conto che la realtà globale è molto complessa, occorre perciò trovare la via per rafforzare il dialogo tra la diaspora e Israele, creare canali diretti di comunicazione tra le pe gli stessi, i problemi sono gli stessi; anche nella sicurezza. Ecco, è questa la mia prima raccomandazione. La seconda è che esistono oggi diverse forme di immedesimazione ebraica, alcune sono accettate, altre no. Ma anche queste altre persone sono legate all’ebraismo, partecipano agli stessi problemi, e condividono lo stesso destino. Anche se non è facile, sarebbe importante creare un altro tavolo di discussione, che riunisca le varie identità. Magari con un bicchiere di vino (ovviamente cashèr, e sotto la tutela di un’autorità di casherút italiana unificata) e un libro di Torà o di Mishnà aperto, questi incontri sarebbero importanti, non solo in Italia. Purtroppo questo tipo di approccio, perfino conviviale, aperto all’incontro e alla discussione di opinioni ebraiche diverse, anche senza arrivare necessariamente a delle conclusioni, manca.

Che priorità dovrebbe dunque darsi il prossimo consiglio dell’Ucei?

C’è una domanda fondamentale e spesso elusa cui rispondere: chi paga? Una struttura richiede un bilancio (anche se Israele non ha un bilancio da oltre tre anni…). La priorità, allora, è, facendo quadrare i conti: abbassare drasticamente il costo della vita ebraica. Inoltre va rafforzata la comunicazione interna e con Israele. Infine, c’è un terzo aspetto.

Quale?

Fino a poco fa c’è stata la tendenza a sostenere Israele, ma era spesso una forma di sostegno a una precisa coalizione governativa e al suo leader. Ora che è cambiato il governo, l’ebraismo italiano deve mostrarsi capace di mantenere lo stesso impegno. L’appoggio per Israele non può coincidere con l’appoggio a un determinato leader politico. Israele rimane sempre un elemento fondamentale dell’identità ebraica della diaspora.

Per concludere, che prospettive vede per Israele?

Sul piano demografico sono ottimista. In Israele continua a prevalere un’atmosfera psicologica favorevole alla famiglia, anche se non ha molte agevolazioni, atmosfera che invece manca in Italia. C’è un ottimismo che aiuta chi vuole allargare la famiglia. Anche sul piano politico sono moderatamente ottimista. Credo che questo governo, anche se si regge su mezzo voto alla Knesset, può durare. A novembre avrà lo scoglio del bilancio, ma se lo supera potrà contare su una decisa volontà di andare avanti e di voltare pagina, anche tornando a un modello in cui c’era una politica più pluralista, e non una sola figura carismatica. Nel governo ci sono persone serie e preparate, ma nessun leader assoluto, si fa lavoro di gruppo. D’altra parte, se questo gruppo non ce la farà, non c’è nessun’altra alternativa e riprenderà il ciclo perverso delle elezioni ogni sei mesi, che è disastroso per il paese. L’impegno è di puntare alla stabilità, e di raggiungere dei compromessi tra idee opposte, per risolvere i problemi, come quelli causati dall’epidemia. Io sono fiducioso che questo buon senso possa durare.

Sembra un modello valido anche per gli ebrei italiani.

Credo che anche in Italia sia tempo di finire la contrapposizione tra blocchi, e che sia giusto creare un governo comunitario di unità nazionale, a favore di un progetto di guida congiunta per affrontare i problemi seri che riguardano l’ebraismo italiano e il suo futuro.

(per l’immagine di Sergio Della Pergola: foto di E. Salman)

2 risposte

  1. È presuntuoso dirlo, ma analisi interessante e pienamente condivisibile. Quando si parla di rete bisogna pensare anche a quella internazionale

  2. Ma l’attuale establishment dell’UCEI, non ha forse qualche responsabilità in tutto ciò? La totale indifferenza, per non dire riluttanza, ad accettare il “ritorno al focolare”, menzionato da Della Pergola, degli ebrei del Sud Italia, ad esempio? La mancanza vera di una politica e di una dinamica gestionale unitaria? L’ignobile mancanza di riconoscimento dei figli delle coppie miste? Beh, io rammento, perché c’ero, che un giorno al Tempio Grande, Rav Toaff disse a chiare lettere:-“Nuove tribu’ busseranno alla porta delle Sinagoghe…”. Ebbene, ciò venne detto 50 anni dopo che la famiglia Trito si presentasse alla Bet Knesset di Bruxelles per rivendicare la propria identità di ebrei Siciliani. Oppure che dire dei pescatori del Trapanese (tutti cattolici) che vennero invitati a emigrare in Israele precostituite una primaflotta pescheteccia? Adesso, i loro nipoti e pronipoti sono tutti ebrei, anche molti di essi non fanno più i pescatori, tutti hanno servito Israele con fedeltà assoluta…Ecco di cosa ci sarebbe bisogno oggi, di una visione proiettata al futuro, scevra di inutili orpelli e sganciata da ragionamenti utilitaristici fini a se stessi. Israele e l’Ebraismo hanno bisogno di cuorei, menti ed animi aperti….

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Condividi:

L'ultimo numero di Riflessi

In primo piano

Iscriviti alla newsletter

Riflessi Menorah