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Mi sono portata dentro il canto di mia madre e mio padre, che si rincorreva da una stanza all’altra, nella loro bella voce. I compiti di scuola, svolti al tavolo, con vista dei tetti bianchi e il cielo, nella cucina attraversata dall’odore del caffè, che mia madre tostava e poi preparava per noi, dalla musica d’opera che si levava nell’aria non si sa da quale casa, e dal canto delle rondini che partivano o tornavano; mi sono rimaste le tradizioni, i profumi, la solidarietà. Chiudo gli occhi e mi raggiunge il profumo del gelsomino e del limone. Il tè con il nana e le sbule (pannocchie) sul kanun… (fornello di terracotta al carbone), i dolci di Purim fatti da mia madre, e i torroni colorati che mio padre portava a casa per l’occasione… il profumo del pane che mia madre preparava per noi e che noi portavamo a cuocere al forno nei vicoli della città vecchia…e il Sabato con i suoi profumi, i suoi canti e la sua atmosfera. Il ricordo dei colori accesi dal sole, il mare blu e le case bianche…come nel nostro Sud italiano, dove spesso ho viaggiato alla ricerca di quegli stessi colori e profumi e sapori. Le mie care compagne di classe e i miei cari inquilini. Ricordi sia positivi che negativi. Compresa la difficoltà nei rapporti con la popolazione araba, ma anche le amicizie con alcuni (pochi) di loro. A Tripoli vivevo una sorta di discriminazione continua, compresa la difficoltà di camminare liberamente nelle strade, a seconda degli umori politici del momento, la paura quando camminavo da sola e dovevo stare con gli occhi ben aperti e guardarmi continuamente alle spalle. Capitava che venissi inseguita e dovevo correre per mettermi in salvo. Era più facile camminare in gruppo.

Che impressione ti fece l’Italia?

Ricordo un paese molto grigio, tutti i palazzi della zona attorno alla Stazione Termini erano grigi, ho capito poi che quel grigiore era dovuto all’inquinamento. Ho scoperto poi l’arte in città, l’emozione per le opere d’arte che fino a quel momento avevo visto solo nei libri di scuola. Improvvisamente venivo a contatto con qualcosa di meraviglioso, che non potevo immaginare di vedere dal vivo. Una meraviglia che continua e mi rende felice.

Come vedi l’integrazione tra ebrei tripolini e romani?

Quando siamo arrivati da Tripoli vivevamo con gioia la nostra libertà, parlavamo italiano correttamente, festeggiavamo le stesse feste ebraiche, e conoscevamo le canzoni italiane e americane e francesi in voga, moltissimi di noi parlavano più lingue. Per molti versi eravamo più emancipati. Capitava che ci chiamassero beduini, perché venivamo dall’Africa, oppure dicevano scherzando “ve chiamate tribbolini, perché fate tribbola’”. C’era un reciproco interesse direi più che una diffidenza. Ci siamo contagiati a vicenda e abbiamo avuto un arricchimento reciproco. Ci sono stati matrimoni e divorzi. In qualche misura c’è stata una rivitalizzazione della comunità ebraica romana, grazie all’arrivo della comunità ebraica dalla Libia. I tripolini hanno creato le loro sinagoghe e conservato il loro minhag, ma frequentano volentieri anche le altre sinagoghe e viceversa fanno i romani. E abbiamo scambiato le nostre tradizioni culinarie e non solo, e abbiamo cominciato a capire il giudaico-romanesco. È stato un periodo lungo e fertile che continua ancora oggi. I nostri giovani sono belli e oggi provengono da matrimoni misti. Oggi da loro, parte la ricerca del passato dei loro genitori e nonni. Preferisco parlare dunque di coesistenza, di integrazione reciproca. E certo non assimilazione. Non devo perdermi nell’altro per esistere, ma vivere con l’altro in dialogo. Molti tripolini hanno rafforzato e forse conquistato la propria identità quando si sono trovati fuori da Tripoli, e si sono accorti di avere una loro propria storia. Ci sono voluti 50 anni di elaborazione del lutto per separarsi dal proprio paese d’origine e ritrovarlo.

Come è nata la tua passione per il canto?

Penso che sia stato naturale per me. In casa, a Tripoli, tutti amavamo cantare, mio padre i piyutim e il canto d’amore in stile flamenco in italiano e arabo, mia madre accompagnava il suo lavoro cantando in italiano e in arabo, i fratelli cantavano sia piyutim sia si dilettavano con il Rock e la musica leggera americana e italiana. A Tripoli, cantavo talvolta per le mie compagne e inquiline, improvvisando uno spettacolo sulle scale, o a scuola.  David, con cui ho un legame speciale, aveva messo su, con il signor Khaliffi, un coro di canto liturgico di oltre 100 persone tra maschi e femmine, di cui ho fatto parte. Le voci di David e Isacco erano considerate tra le più belle voci della sinagoga. In Italia i miei fratelli frequentavano varie associazioni giovanili ebraiche (il Kadima, il Bene Akiva, l’Hashomer Hatzair) a cui diedero una spinta propulsiva. Al Kadimah tenni i primi concerti di canto ebraico, gospel, spiritual spesso insieme a David, e ai campeggi del Bene Akivah con David e Ariel Rathaus. Nel frattempo frequentavo il Folk Studio, e Cesaroni, che allora lo dirigeva, mi invitò a tenere dei concerti. Cercavo le connessioni tra la musica ebraica e la musica afroamericana.  Sentivo l’urgenza di raccontare il popolo ebraico attraverso le sue differenze, attraverso le sue lingue e le sue diverse tradizioni musicali. Nacque così il mio primo cd, “Canto Esiliato/Shiràt Miriam”, che era anche il primo cd di canto ebraico in Italia. Nei Festival o nelle rassegne dovevo sempre giustificare il perché del canto ebraico e il fatto di essere una donna ebrea proveniente da un paese arabo, che aveva scelto di cantare canti ebraici in varie lingue che pretendevano di essere ascoltati.  Dovevo sempre preparare un’introduzione all’argomento, che spiegasse il perché di un concerto di canti ebraici, e perché no? Spiegare l’importanza di tale repertorio. Era come aprire letteralmente delle finestre sulla storia. Così il mio canto viaggiava per il mondo. Avrei formato in seguito il primo gruppo inter-religioso e inter-etnico in Europa.

E a parte il canto?

L’essere ebrea, la passione per la filologia, per le lingue, per le arti, la musica e le tradizioni dei popoli, come per la psicoanalisi, sono alla base della mia formazione. L’essere immersi fin dalla nascita in una famiglia numerosa di maschi, in un mondo di molteplici culture e lingue, certamente ha favorito una visione del mondo non egocentrica e non etnocentrica. Questa condizione è stata importante per imparare ad affrontare e gestire i conflitti sia di genere sia di gruppo.  E mi ha permesso di sviluppare vari interessi, apparentemente lontani tra loro. Mi sono laureata in filosofia con indirizzo psicologico con una tesi sulla creatività, all’Università di Roma, “La Sapienza”. Allora m’interessava molto studiare come sviluppare il pensiero creativo nella scuola. Pensavo inoltre che per una formazione completa fossero necessari anche studi di statistica, economia e sociologia e quindi dopo la laurea ho continuato gli studi nella scuola di specializzazione all’Università, nello stesso tempo approfondivo gli studi di etno-musicologia (Leydi e Carpitella) ed ero iscritta alla Società di Etno-musicologia. Ho condotto una ricerca negli archivi di Santa Cecilia e nella discoteca di Stato, nel materiale sonoro e nelle carte di Leo Levi e negli Archivi di Europa, Sud America, Usa e Canada. Non potevo intraprendere la carriera universitaria perché ero apolide. Iniziavo poi un lungo percorso di formazione in psicoterapia di gruppo e psicoanalisi. Ma spesso tenevo spettacoli, e malgrado la separazione tra i due livelli in ambito istituzionale, talvolta cantavo anche in ambito di convegni internazionali di psicoanalisi. Ho ricoperto varie cariche anche a livello internazionale, e svolgo attività clinica. Ma non ho mai smesso di cantare. Sentivo un interesse struggente per la nostra storia comune, un’urgenza di ricercare il canto perduto e raccontarlo. Con un nagra ho cominciato a viaggiare per l’Europa e appena ricevuto il passaporto, sono volata nell’East Side di New York, cercando e comprando libri di musica dai rigattieri, intervistando testimoni della Shoah. Sono andata in Spagna e in Portogallo, in Olanda e in Turchia, nei Balcani, in Grecia, e in giro per l’Italia, nelle Americhe sul cammino degli Ebrei Sefarditi, cercando anche in archivi e biblioteche. Sono molte le strade che ho percorso, le strade dei miei interessi culturali e umani. Sarebbe qui troppo lungo da raccontare.

Quando è arrivato il successo come artista?

(continua a pag. 3)

12 risposte

  1. Miriam É una mia carissima amica. L’ho invitata spesso a cantare in occasione di convegni e manifestazioni. Una grandissima cantante e con suo fratello David grande conoscitrice delle musiche sefardite

  2. Parole bellissime di speranza, grazie Miriam per il tuo intenso attaccamento alla vita, il tuo sorriso, il tuo colto e intelligente equilibrio tra tradizione e cultura anticonformista.

  3. Guido Guastalla ha interpretato il mio pensiero. Da oggi è il mio portavoce, anche se lui ancora non lo sa.

  4. Bei riccordi d’infanza, sarebbe stato meglio andare via un po’ prima; la mia famiglia viene dall’Egitto, avevamo la cittadinanza italiana, avevo 15 anni. Nel dic. 1963.
    Mio fratello ha sposato Lizzi Labi tripolina. Grazie del tuo racconto. Anche a Milano ci sono ebrei sia dall’Egitto che dalla Libia. Non si può tornare indietro. Shalom

  5. Cara amica Miriam è stato emozionante leggere il bagaglio di vita che ti sei portata dalla Libia al nostro paese con tutti i profumi,le tradizioni degli affetti familiari e anche ricordi di momenti dolorosi di quel contesto storico. Tra queste immagini di vissuto familiare riecheggiano i libri sacri nella vostra casa e la vostra considerazione dei i libri come il bene più prezioso, quando non di rado si accantonano in una libreria. Bello vedere come il canto di tuo padre e di tua madre e l’amore per la musica dei tuoi fratelli abbiano contribuito a radicare ancora di più in te la tua passione per il canto e che tu veda questo come uno strumento di trascendenza, congiungimento con la sfera spirituale, un ponte tra cielo e terra.

  6. Ricordo il Folk studio con il.buon Cesaroni, il canto meraviglioso di Miriam. Da lì siamo andati avanti, permettetemi con un pizzico di nostalgia.

  7. Che bella storia, cara Miriam! Mi ha impressionato la tua famiglia, il sentirsi protetta dalle paure. Come una buona terra che avrai sempre sotto i piedi. Il tuo canto coraggioso, che fa vedere l’armonia nelle differenze, mi sembra l’espressione della tua vita. La tua storia è anche quella di tutti noi. Grazie!

  8. Miriam: Che voce!.Mi ricordo che una volta Miriam cantava da sola senza accompagnamento dj strumenti musicali. Mi ha fatto accapponare per l’ emozione. Era l’ addio a nostra madre. Indimenticabile!

  9. Sono contento e mi ritengo fortunato di aver preso parte, anche se come postero, di questo mondo descritto da Miriam.
    Un abbraccio!

  10. Carissima Miriam, è bello leggerti, conoscere tante realtà dell’ebraismo nei Paesi arabi con le loro realtà, usanze, profumi, storie, tante storie e musiche; me la ricordo quella ‘guerra dei sei giorni del 1967’ ero in prima elementare e la televisione in b/n trasmetteva quei bombardamenti atroci che nuovamente colpirono i Palestinesi. Morirono tanti civili e cercavo di capire cosa fosse la guerra, che mio padre e i miei nonni, non molti anni prima, erano nei Lager insieme ad una moltitudine di genti e di ebrei, ma che non potevano ancora spiegarmi. Conoscevo una giovane ragazza, si chiamava Miriam come te, un nome dolcissimo; potenze mondiali erano alla base di quella guerra; ho vissuto la guerra della ex-Jugoslavia, le tribolazioni dei miei studenti che venivano dalle montagne e dovevano lasciare 500.000 mila lire di cauzione in frontiera per studiare qui, li portavo a mangiare la pizza. Anni dopo la fine della guerra, mio padre ebbe la gioia di ricevere la visita di un suo collega ebreo, al quale dava i suoi tozzi di pane, perché si faceva spedire dalla famiglia sapone e sigarette che andava a vendere allo spaccio per comperare qualcosa, ma quel qualcosa da mettere sotto i denti mancava e con destrezza riusciva a comperare dei pugni di riso che faceva bollire nella baracca per ore affinché triplicasse e nella sua gamella lo portava nel campo di Mauthausen per darlo di nascosto agli amici ebrei che lavoravano a tanti lavori coatti, come lui. Ora scongiuro che i folli non facciano una guerra in Ucraina, dove sono stata varie volte e tanti giovani sono stati martoriati dai Russi nella guerra contro l’Afghanistan e hanno vissuto la pazzia mentale tra i bombardamenti che non capivano e di cui noi non eravamo a conoscenza. Le tue bellissime trasmissioni non le trovo più… La Lega si è presa la Rete Due. Carissima e dolce Miriam, ho letto tutti i libri pubblicati da Giuntina, Il diario di David Rubinowicz, Primo Levi e tanti altri che conosciamo, e i tuoi scritti. Ti abbraccio in questa ora della notte, quando sui trucioli dormivano in due testa/piedi e non pensavamo mai di vedere il sole, ma solo ghiaccio e neve e quei camini dall’odore acre. Una vita a brandelli, tante vite a brandelli e il ladrocinio dei vostri beni, costruiti dalle vostre famiglie. Ti abbraccio forte, forte, carissima Miriam <3 la memoria non cancella e per 365 giorni l'anno, ogni giorno è la Giornata della Memoria, per chi è ancora vivo e per i figli di quelle atrocità, con grande affetto, stima e riconoscenza, Maria

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