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Canto per comunicare il mio mondo e la mia anima

Miriam Meghnagi, artista di fama internazionale, si racconta: dai primi anni a Tripoli, all’arrivo a Roma, al successo come cantante; senza mai dimenticare la passione per lo studio

Miriam, mi parli di te e della tua famiglia?

La città vecchia di Tripoli

Sono nata in un’antica famiglia ebraica dove il canto, la musica e lo studio hanno sempre avuto un ruolo importante. La nostra casa era piena di libri sacri e i libri erano considerati il bene più prezioso. Erano belli i miei genitori, e vestivano all’italiana. Mia madre (Z’L’) sapeva fare tante cose e faceva tutto per noi. Mi ha insegnato l’italiano e a casa lo parlavamo insieme all’arabo. Ero l’ultima dopo sei figli maschi, erano i miei eroi, io ero la più protetta, loro.  Il fatto di essere ultima in una famiglia di maschi, in un mondo a noi ostile, mi ha aiutato a fare i conti con la mia differenza, a considerare la presenza dell’altro, ad averne dimestichezza e a mettermi nei suoi panni, a vedere sempre l’altra faccia di un problema, spesso la sua soluzione. Questo certamente ha influenzato le mie scelte successive.

Com’era la vita a Tripoli?

I miei fratelli studiavano, giocavano a calcio, pallavolo e pallacanestro ed erano molto bravi. Nel tempo han fatto parte di alcune squadre. Insieme giocavamo a salterello, chmmisa, nascondino, e altro. Eravamo molto legati e molto diversi tra noi. Victor (Z’L’) scriveva storie in rima. Si esibiva per noi in gustosissime gag e imitazioni. I nonni e gli zii erano già emigrati prima della proclamazione dell’indipendenza della Libia. I miei genitori erano rimasti soli senza il loro sostegno. Io sono nata dopo, e ne sentivo la mancanza senza averli mai conosciuti. Il dolore della separazione fu riacutizzato con la partenza di mio fratello maggiore Simon. E Victor, mi portò in bicicletta al porto, a salutare la nave che partiva. Il richiamo della nave non posso dimenticarlo.

Ebrei a Tripoli negli anni Cinquanta

Poi, è arrivato il 1967.

Con la Guerra dei sei giorni eravamo rimasti chiusi in casa per più di un mese, non c’era tanto cibo e nemmeno la voglia di mangiare. Vivevamo in un palazzo con sei appartamenti, abitati in quel periodo solo da famiglie ebraiche. Ci scambiavamo visite, ci confortavamo a vicenda. Ci raccontavamo, noi ragazzine, informazioni, paure, desideri, e cercavamo di non pensare a quale triste destino ci aspettava se Israele avesse perduto la guerra, e in tal caso a quali vie di salvezza meditavano i nostri genitori per noi. Una possibilità era, per esempio, quella di ricorrere alle suore, sempre che fosse possibile, per farci nascondere e sottrarci alle inevitabili violenze e agli stupri. Le giornate erano lunghe e calde, il tempo passava scandito dai notiziari, dalle manifestazioni di piazza di una massa feroce urlante, dai proclami antiebraici di condanna a morte violenta e di incitamento alla guerra, dai passi della polizia che risuonavano di notte nel silenzio del coprifuoco. Quei passi, e il loro suono non potrò dimenticarli mai.

Alla fine arrivaste a Roma.

Per nostra fortuna. A Roma, all’inizio è stata dura, ma eravamo felici per lo scampato pericolo. Il fatto che fossimo una famiglia numerosa ci ha aiutato, abbiamo trovato sostegno, conforto e solidarietà gli uni negli altri. Portavamo in noi la nostra storia, ci riconoscevamo in essa. Arrivai a Roma, con mio padre (Z’L’) e due dei miei fratelli, Isacco e Mino, seguirono David con mia madre e Victor, e alla fine, mio fratello Bino. All’inizio ci sistemammo in una pensione in via del Viminale che si affacciava sul Teatro dell’Opera. Non posso dimenticare il pianto di mio padre nel mezzo della notte del nostro arrivo.

Come furono quei primi anni?

una sinagoga a Tripoli, oggi

Tutti i miei fratelli, si impegnarono molto per l’accoglienza e l’assistenza degli altri tripolini, poi dei russi, che man mano arrivavano a Roma: smarriti, spesso alloggiati nei campi profughi di Capua, Latina e altrove, abbandonati a sé stessi e senza organizzazione interna. Quanto a me, arrivai magrissima in Italia.

Cosa ti è rimasto di Tripoli?

 

(continua a pag. 2)

12 risposte

  1. Miriam É una mia carissima amica. L’ho invitata spesso a cantare in occasione di convegni e manifestazioni. Una grandissima cantante e con suo fratello David grande conoscitrice delle musiche sefardite

  2. Parole bellissime di speranza, grazie Miriam per il tuo intenso attaccamento alla vita, il tuo sorriso, il tuo colto e intelligente equilibrio tra tradizione e cultura anticonformista.

  3. Guido Guastalla ha interpretato il mio pensiero. Da oggi è il mio portavoce, anche se lui ancora non lo sa.

  4. Bei riccordi d’infanza, sarebbe stato meglio andare via un po’ prima; la mia famiglia viene dall’Egitto, avevamo la cittadinanza italiana, avevo 15 anni. Nel dic. 1963.
    Mio fratello ha sposato Lizzi Labi tripolina. Grazie del tuo racconto. Anche a Milano ci sono ebrei sia dall’Egitto che dalla Libia. Non si può tornare indietro. Shalom

  5. Cara amica Miriam è stato emozionante leggere il bagaglio di vita che ti sei portata dalla Libia al nostro paese con tutti i profumi,le tradizioni degli affetti familiari e anche ricordi di momenti dolorosi di quel contesto storico. Tra queste immagini di vissuto familiare riecheggiano i libri sacri nella vostra casa e la vostra considerazione dei i libri come il bene più prezioso, quando non di rado si accantonano in una libreria. Bello vedere come il canto di tuo padre e di tua madre e l’amore per la musica dei tuoi fratelli abbiano contribuito a radicare ancora di più in te la tua passione per il canto e che tu veda questo come uno strumento di trascendenza, congiungimento con la sfera spirituale, un ponte tra cielo e terra.

  6. Ricordo il Folk studio con il.buon Cesaroni, il canto meraviglioso di Miriam. Da lì siamo andati avanti, permettetemi con un pizzico di nostalgia.

  7. Che bella storia, cara Miriam! Mi ha impressionato la tua famiglia, il sentirsi protetta dalle paure. Come una buona terra che avrai sempre sotto i piedi. Il tuo canto coraggioso, che fa vedere l’armonia nelle differenze, mi sembra l’espressione della tua vita. La tua storia è anche quella di tutti noi. Grazie!

  8. Miriam: Che voce!.Mi ricordo che una volta Miriam cantava da sola senza accompagnamento dj strumenti musicali. Mi ha fatto accapponare per l’ emozione. Era l’ addio a nostra madre. Indimenticabile!

  9. Sono contento e mi ritengo fortunato di aver preso parte, anche se come postero, di questo mondo descritto da Miriam.
    Un abbraccio!

  10. Carissima Miriam, è bello leggerti, conoscere tante realtà dell’ebraismo nei Paesi arabi con le loro realtà, usanze, profumi, storie, tante storie e musiche; me la ricordo quella ‘guerra dei sei giorni del 1967’ ero in prima elementare e la televisione in b/n trasmetteva quei bombardamenti atroci che nuovamente colpirono i Palestinesi. Morirono tanti civili e cercavo di capire cosa fosse la guerra, che mio padre e i miei nonni, non molti anni prima, erano nei Lager insieme ad una moltitudine di genti e di ebrei, ma che non potevano ancora spiegarmi. Conoscevo una giovane ragazza, si chiamava Miriam come te, un nome dolcissimo; potenze mondiali erano alla base di quella guerra; ho vissuto la guerra della ex-Jugoslavia, le tribolazioni dei miei studenti che venivano dalle montagne e dovevano lasciare 500.000 mila lire di cauzione in frontiera per studiare qui, li portavo a mangiare la pizza. Anni dopo la fine della guerra, mio padre ebbe la gioia di ricevere la visita di un suo collega ebreo, al quale dava i suoi tozzi di pane, perché si faceva spedire dalla famiglia sapone e sigarette che andava a vendere allo spaccio per comperare qualcosa, ma quel qualcosa da mettere sotto i denti mancava e con destrezza riusciva a comperare dei pugni di riso che faceva bollire nella baracca per ore affinché triplicasse e nella sua gamella lo portava nel campo di Mauthausen per darlo di nascosto agli amici ebrei che lavoravano a tanti lavori coatti, come lui. Ora scongiuro che i folli non facciano una guerra in Ucraina, dove sono stata varie volte e tanti giovani sono stati martoriati dai Russi nella guerra contro l’Afghanistan e hanno vissuto la pazzia mentale tra i bombardamenti che non capivano e di cui noi non eravamo a conoscenza. Le tue bellissime trasmissioni non le trovo più… La Lega si è presa la Rete Due. Carissima e dolce Miriam, ho letto tutti i libri pubblicati da Giuntina, Il diario di David Rubinowicz, Primo Levi e tanti altri che conosciamo, e i tuoi scritti. Ti abbraccio in questa ora della notte, quando sui trucioli dormivano in due testa/piedi e non pensavamo mai di vedere il sole, ma solo ghiaccio e neve e quei camini dall’odore acre. Una vita a brandelli, tante vite a brandelli e il ladrocinio dei vostri beni, costruiti dalle vostre famiglie. Ti abbraccio forte, forte, carissima Miriam <3 la memoria non cancella e per 365 giorni l'anno, ogni giorno è la Giornata della Memoria, per chi è ancora vivo e per i figli di quelle atrocità, con grande affetto, stima e riconoscenza, Maria

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