Il risarcimento per crimini nazisti non può essere chiesto alla Germania, ma solo all’Italia
Una recente sentenza della Corte costituzionale conferma la strada sbarrata per i pignoramenti sui beni tedeschi in Italia. Cosa succede ora?
Con la sentenza numero 159 del 2023, la Corte costituzionale è nuovamente intervenuta, a distanza di 9 anni, sulla questione dei risarcimenti alle vittime di crimini di guerra commessi dalle forze del Terzo Reich in Italia, stavolta respingendo la richiesta del tribunale di Roma di poter pignorare i beni dello Stato tedesco. La decisione, per essere compresa, richiede una breve ricostruzione dei fatti storici, e di come l’ordinamento italiano ne ha disciplinato le conseguenze.
I fatti
E’ noto a tutti che l’occupazione nazifascista di buona parte del territorio italiano, avvenuta tra il 25 luglio 1943 (data di deposizione di Mussolini da capo del governo) e il 25 aprile del 1945 (data ufficiale della Liberazione), ha avuto effetti tragici sulla popolazione italiana, non solo ebraica. Se, infatti, gli ebrei furono ricercati e poi deportati nei campi di sterminio, anche per oltre 1 milione di cittadini italiani la guerra segnò la deportazione coatta in Germania, obbligati per lo più a lavorare nelle industrie tedesche e trattati come schiavi. In generale, da tutta Europa la Germania deportò circa 14 milioni di persone; si calcola che 11 milioni di queste furono uccise. Per quanto riguarda l’Italia, le stime ci dicono che i deportati furono circa un milione e mezzo; di questi, 50.000 morirono entro tre mesi dalla deportazione, altri 150.000 circa prima della liberazione. Di quelli che tornarono, quasi 200.000 morirono a seguito delle sofferenze patite, senza contare gli effetti permanenti subiti dai superstiti. E qui veniamo all’aspetto che riguarda i risarcimenti.
Chi paga?
La domanda, in breve, è capire se le vittime delle deportazioni (o i loro eredi, o i loro creditori), possono agire contro la Germania per chiedere il risarcimento delle sofferenze e dei danni fisici subiti.
C’è da dire che la Germania si è più volte fatta carico della propria responsabilità, ad esempio con la legge Federale sul Risarcimento delle Vittime della Persecuzione Nazionalsocialista e con quella istitutiva della Fondazione «Memoria, Responsabilità e Futuro»; inoltre, per quanto riguarda l’Italia, lo Stato tedesco ha evitato il rischio di essere citato in tribunale realizzando gli accordi di Bonn nel 1961 (e recepiti con d.P.R. 14 aprile 1962, n. 1263 e con legge 6 febbraio 1963, n. 404). Si stabilì, tra l’altro, che in cambio di 40 milioni di marchi, pagati allo Stato italiano, la Germania fosse esonerata da ogni responsabilità. La ripartizione di questi soldi è stata poi definita con il d.P.R. 6 ottobre 1963, n. 2043. Anche lo Stato italiano, per quanto riguarda le vittime italiane dei crimini fascisti, ha previsto ulteriori forme di ristoro, come con la “legge Terracini” (legge 10 marzo 1955, n. 96) o quella “sulle benemerenze” (legge 18 novembre 1980, n. 791). Restava però per un problema: davvero la Germania poteva essere liberata da ogni responsabilità?
La sentenza della Corte costituzionale del 2014
Negli anni successivi al 1961 ci fu chi, ritenendosi non vincolato dall’accordo di Bonn, citò in giudizio la Germania, al punto che questa ricorse contro l’Italia presso la Corte internazionale di giustizia, ritenendo che il nostro paese non rispettasse quel patto. Nel 2012 La Corte internazionale di giustizia diede ragione alla Germania, e torto all’Italia, ribadendo il principio di diritto internazionale che i patti raggiunti tra gli Stati vanno sempre rispettati. E qui entra in gioco la Corte costituzionale. Nel 2014, con la sentenza n. 238, la Corte italiana giudicò questo limite contrario alla Costituzione, perché, per le vittime del nazifascismo, violava i diritti fondamentali della persona. Si aprirono così le porte alla possibilità di citare in giudizio la Germania per danni da crimini di guerra. E questo è stato fatto. Dal 2014 al 2022 sono state molte le cause intentate, con il risultato che la Germania è stata condannata, anche se si è sempre rifiutata di pagare. Ottenuta la sentenza di condanna definitiva, i creditori hanno cominciato allora a chiedere l’esecuzione forzata sui beni tedeschi in Italia (in pratica, il pignoramento, a cui far seguire la vendita forzata), al punto che la Germania, il 29 aprile 2022, ha di nuovo citato in giudizio l’Italia davanti alla Corte internazionale di giustizia.
ll Fondo ristori del 2022
Di fronte al rischio di una nuova condanna, il governo italiano (allora a Palazzo Chigi c’era Draghi), ha trovato una soluzione interna: la costituzione di un Fondo ristori per le vittime italiane dei crimini contro l’umanità commessi in Italia dal Terzo Reich tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945 (art. 43 del d.l. n. 36 del 2022). Il Fondo, di circa 60 milioni di euro, prevede che, per potervi accedere, occorre avere un titolo, cioè una sentenza definitiva che accerti di essere stati vittima di quei crimini, e che per ottenerla occorreva avere avviato l’azione giudiziale non oltre il 28 giugno 2023 (termine prorogato rispetto a quello originario anche grazie al lavoro svolto dall’UCEI); soprattutto, prevede che le procedure esecutive per la liquidazione dei danni non possono essere più iniziate o proseguite e i giudizi di esecuzione eventualmente promossi contro la Germania sono estinti. Su questo punto è nata la questione decisa dalla Corte costituzionale con la sentenza numero 159 del 2023.
La sentenza n. 159/2023 della Corte costituzionale
Alcuni soggetti, che si erano visti accertare un diritto di credito contro la Germania dal tribunale di Roma, si sono opposti all’estinzione dell’azione presso il giudice dell’esecuzione, previsto dal d.l. n. 36 del 2022, e hanno contestato l’obbligo di accedere al Fondo ristori anziché pignorare i beni tedeschi in Italia (si voleva intervenire sull’Istituto storico tedesco, l’Istituto archeologico tedesco, il Goethe Institut e la Scuola Germanica), lamentando che in tal modo si violasse il loro diritto ad agire davanti a un giudice. Il tribunale di Roma, giudice dell’esecuzione, ha condiviso questa argomentazione e ha chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi.
Con la sentenza in commento, la Corte costituzionale procede per tappe.
- Innanzitutto, ribadisce quanto aveva affermato nel 2014: ciascuno ha diritto di portare in giudizio la Germania per vedere accertato il proprio diritto a ottenere un risarcimento dei danni per la lesione di diritti inviolabili della persona causati da crimini di guerra e contro l’umanità;
- se, invece, si passa alla possibilità di dare esecuzione a una sentenza che ha accertato quel diritto, le cose cambiano;
- in generale, spiega la Corte, non tutti i beni di uno Stato possono essere aggrediti dal giudice dell’esecuzione: restano infatti fuori dal pignoramento, ad esempio, i beni che servono allo Stato per svolgere le proprie funzioni sovrane (si pensi, ad esempio, al conto corrente a disposizione di un’ambasciata per pagare gli stipendi dei dipendenti: queste somme non saranno mai aggredibili dai creditori);
- venendo alla questione del Fondo ristori, la Corte costituzionale riconosce che quando ci sono diritti in contrasto tra loro – come in questo caso il diritto delle vittime a essere risarcite e il diritto- dovere degli Stati di osservare e rispettare gli accordi siglati tra loro –, allora occorre trovare un giusto equilibrio che salvaguardi, per quanto possibile, entrambe le posizioni;
- nel caso in esame, per la Corte il governo italiano ha raggiunto un equilibrio accettabile: da un lato mette (altri) 60 milioni di euro per pagare i danni al posto della Germania, e dall’altro impone in cambio che nessuna azione esecutiva venga proseguita nei confronti dello Stato tedesco. Dunque, in conclusione, la Corte ha respinto la questione di legittimità costituzionale sollevata dal tribunale di Roma e ha dichiarato le questioni non fondate.
Ultime osservazioni
Ora che la sentenza è stata depositata e che sarà letta e studiata, possiamo dire dunque che “tutto è bene quel che finisce bene”?
In realtà, la sentenza della Corte certo fa chiarezza sulla procedura da seguire, disponendo che nessuna azione esecutiva potrà più essere esercitata contro la Germania, e che l’unico modo per essere soddisfatti è avere fatto domanda per accedere al Fondo ristori (avendo ottenuto una sentenza di condanna della Germania, purché si sia avviati l’azione entro il 28 giugno 2023). Tuttavia, restano ancora dei punti da chiarire, che si possono così riassumere:
- La capienza del Fondo
Nel fondo ci sono circa 60 milioni di euro (lo Stato italiano lo finanzierà fino al 2026). Si prevede che il credito vada soddisfatto per intero, in un’unica soluzione entro 6 mesi (è proprio il risarcimento integrale ad aver giustificato la sentenza della Corte). Basteranno i 60 milioni per tutti gli aventi diritto? E, in caso negativo, lo Stato italiano sarà disposto a rendere di nuovo capiente il Fondo mettendovi ulteriori risorse?
2. L’accesso al Fondo
Da quello che sta emergendo nei processi avviati per ottenere una sentenza di condanna (come detto, il titolo necessario per poi accedere al Fondo), sembra che l’Avvocatura dello Stato, che rappresenta lo Stato italiano, si opponga in più modi, magari eccependo vizi formali (ad esempio, un difetto di notifica) o sostanziali (ad esempio, la prescrizione del diritto al risarcimento). Si arriva così al paradosso che, da un lato, lo Stato italiano si impegna a pagare i danni al posto della Germania e, dall’altro, si oppone a chi ne fa richiesta. Alla fine, se questa linea processuale dovesse essere mantenuta, a rimetterci sarebbero, ancora una volta, le vittime.
3. Il regolamento attuativo della legge
Il regolamento sulle modalità di accesso al fondo è stato finalmente pubblicato il 28 giugno scorso. Si prevede che il Fondo copra il pagamento dei danni liquidati nella sentenza e delle spese processuali eventualmente liquidate dalla sentenza medesima, detratte le somme ricevute dalla Repubblica Italiana a titolo di benefici o indennizzi (ad esempio, se si riceve un assegno di benemerenza). Da una prima lettura, si è capito anche che la commissione che deve esaminare la richiesta si riserva un potere discrezionale di decisione.
Insomma, occorrerà ora vedere, al momento pratico, se lo Stato interpreterà il decreto in modo estensivo, manifestando davvero la volontà di risarcire le vittime o se, invece, ne darà una lettura restrittiva, rischiando di vanificare l’impegno assunto.
Leggi anche:
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Il risarcimento ala Germania non è la strada gusta (Marco de Paolis)
Una risposta
Se fossero riconosciuti i risarcimenti ,mi sembra strano che ne possano brneficiare soltanto chi ha avviato una richiesta entro un tempo limite e chi era a conoscenza della cosa .
Tutti gli eredi ne dovrebbero avere diritto presentando una domanda accompagnata da una testimonianza che non debba avere costi esosi principalmente per chi non può affrontare spese legali ,senza fra l’altro essere sicuri di un reale risarcimento .
Forse la Comunità Ebraica avrebbe dovuto mettere in atto una class action per tutelare tutti i suoi iscritti.