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Chagall, la creazione, i record e i retroscena di uno dei più applauditi musical: Il violinista sul tetto (Fiddler on the Roof)

Cominciamo dal titolo

Il violinista sul tetto
The Green VIolinist di Chagall (Museo Guggenhem)

L’opera, ispirata dai racconti di Sholem Aleichem, doveva chiamarsi inizialmente The Old Country (Il vecchio paese), Tevye, dal nome del protagonista e Not so far Away (Non così lontano) ma tutti questi titoli sembravano non essere all’altezza di una storia potente come quella. Jerome Robbins, il regista e uno degli autori, conosceva Chagall e il dipinto creato nel 1920 per il Teatro Yiddish di Stato di Mosca: gli chiese di utilizzare il titolo Fiddler on the Roof e di creare la scenografia.

Chagall accettò la prima richiesta, ma si rifiutò di collaborare oltre perché, come è stato rivelato successivamente, non amava il musical stile Broadway. Così stile e ambientazione poterono solo ispirarsi all’opera del grande artista.

L’ideazione

Era l’11 settembre 1961, Rosh Hashana, quando  Sheldon Harnick e Jerry Bock iniziarono a lavorare a Il violinista sul tetto. Ebrei, di diversa estrazione ma di famiglie provenienti dall’Europa Orientale, si erano però allontanati dall’ebraismo ortodosso, a cui però il fascino del mondo raccontato da Sholem Aleichem li aveva riavvicinati.

La storia è nota: Tevye, un povero lattaio che a malapena riesce a sbarcare il lunario nello shtetl di Anatevka, lotta ogni giorno per mantenere vive le sue tradizioni religiose culturali ebraiche per sè e per la sua famiglia, mentre intorno il mondo va avanti e le figlie sfidano proprio quella tradizione.  E’ però anche la prima rappresentazione di un mondo, quello degli ebrei dell’Europa Orientale, prima che venissero divorati dall’Olocausto: i personaggi e la vita nello shetl sono ritratti con amore e attenzione, nonostante qualche “scivolata”, come l’improbabile ballo di un rabbino con una donna durante un matrimonio, il sarto che si presenta alla cena di Shabbat con il metro al collo o la sensale donna, mentre i sensali di matrimonio erano tutti uomini.

 35 canzoni che non ascolteremo mai. E una che non dimenticheremo

Harnick e Bock scrissero 50 canzoni per il musical, ma la selezione fu aspra e ben 35 furono eliminate. Robbins convinse anche gli autori della musica e delle parole a scrivere Tradition, forse il brano più iconico di tutta l’opera.

Anche l’altra canzone LeChaim fu scelta per sostituirne un’altra in cui in l’attenzione non veniva incentrata sul protagonista.

Dalle luci di Broadway al cinema, un successo ininterrotto

Con 3242 repliche in otto anni, per il suo tempo Il Violinista sul Tetto è stato il più longevo musical di Broadway, premiato con nove Tony Awards, tra cui miglior musical, colonna sonora, libretto, regia e coreografia. Di grande successo anche il suo adattamento cinematografico del 1971 . Nel 2012 la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti d’America ha acquisito la registrazione originale del cast per inserirla nel National Recording Registry come “culturalmente, storicamente e esteticamente significativa”. In mezzo a tanto successo di pubblico e di critica, ci sono state anche voci negative, come Philip Roth che lo definì “kitsch”. Qualunque cosa se ne pensi, il Violinista sul Tetto resta una pietra miliare nella storia dei musical, un’opera che è riuscita a coniugare un successo economico (1500 dollari per ogni dollaro investito nella produzione) con con quello di pubblico, senza sacrificare troppo l’autenticità ebraica.

Nella foto in alto, gli autori de Il violinista sul tetto: (da sinistra)Sheldon Harnick, Joseph Stein, Jerry Bock e Jerome Robbins. Foto credits: Saul Yay Singer.

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