Liliana Segre e i tempi difficili che viviamo
Ruggero Gabbai commenta su Riflessi la vicenda che ha visto un gestore a Milano rifiutarsi di proiettare il film su Liliana Segre
La scorsa settimana un gestore di un cinema milanese ha rinunciato a proiettare il tuo film su Liliana Segre per timore di subire reazioni violente da parte di chi contesta Israele. Che opinione hai al riguardo?
È sconcertante. Conosco il gestore del cinema Orfeo, con cui ho sempre collaborato, tant’è che in passato ha sempre mostrato la disponibilità a ospitare i nostri film. Dopo che lui ha ritirato la disponibilità a proiettare il docufilm su Liliana Segre c’è stata un momento che io speravo potesse essere di chiarimento, pensando così che avremmo potuto recuperare la proiezione e trasmettere il film, invece c’è stata un’altra doccia fredda, perché mi sono sentito ripetere che non ci sarebbe stata nessuna proiezione in quanto la presenza della comunità ebraica comportava un rischio, perché evidentemente oggi a Milano la comunità ebraica è vista come un “target”. Posso cercare di mettermi nei panni del gestore, ma dico amaramente che in questo modo si genera una clima di indifferenza, paura e intolleranza che non mi piace.
Dalla Regione si è proposto di proiettare il film in una delle sale consiliari.
Non ci sarà alcuna proiezione in regione. Sono stato contattato da politici di entrambi gli schieramenti, e anche dalla Camera di lavoro, ma non sono favorevole a politicizzare la vicenda e a fare del film su Liliana Segre un tema di scontro tra partiti. Personalmente sono invece favorevole a un’eventuale iniziativa che fosse super partes.
Ad esempio?
Se il presidente della Repubblica, ad esempio, prendesse l’iniziativa di una proiezione del film certamente sarebbe un gesto importante. Tra l’altro il Quirinale si è mostrato molto disponibile durante la lavorazione del film, poiché è stato Sergio Mattarella, com’è noto, a nominare Liliana Segre senatrice a vita. In ogni caso, sicuramente faremo a breve nuove iniziative per promuovere il film e stiamo per firmare un contratto con un’importante casa di distribuzione cinematografica.
Il tuo film-documentario racconta la vita di una donna che nonostante l’odio subito ha sempre lavorato per la pace. Ci può servire il suo esempio in tempi così difficili?
Certamente. In generale, io credo che un film, come opera artistica, non deve essere costruito a tavolino per mandare “un messaggio”; in questo senso anche il film su Liliana Segre non ha certo la pretesa di trasmettere un messaggio predefinito. Detto questo, credo però che la forza di una figura come Liliana Segre sia molto utile, soprattutto in tempi come quelli di oggi, così difficili dove l’antisemitismo ha ripreso forza. Liliana è una donna di una lucidità straordinaria, ha avuto una vita unica. Se consideriamo la tragedia personale che ha vissuto, l’aver perso la madre prima della deportazione e il padre, quest’ultimo nelle camere a gas di Auschwitz, e che nonostante questo si sia risollevata, e abbia avuto la forza di costruire una nuova famiglia, tutto ciò è molto importante. È per questo che nel film ho voluto far entrare anche la seconda e la terza e generazione. Liliana è un esempio di forza e determinazione. In questi tempi così violenti e divisivi, la sua vita ci insegna che bisogna innanzitutto conoscere la storia, poi saper ascoltare e riflettere prima di agire. In altre parole Liliana testimonia non solo la resilienza, ma che l’odio può essere superato. E dunque che, anche in tempi così incerti, possiamo sempre trovare il modo per dare un senso alla nostra vita. È un messaggio di pace fondamentale.
Dopo il film su Sami Modiano ora questo su Liliana Segre. C’è un percorso che stai seguendo come artista?
No. In realtà, finché ci sarà un sopravvissuto in vita della Shoah io credo che sia nostro dovere rappresentare la sua vita. È per questo che, anni fa, cominciammo a costruire gli archivi della memoria assieme agli storici del Cdec, Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto, addirittura anticipando il lavoro che poi avrebbe realizzato Steven Spielberg in tutto il mondo. Cominciammo allora a raccogliere le testimonianze, è così nato il “progetto memoria”. È questa l’idea che ci ha mosso, dare modo ai testimoni di potersi presentare e raccontare di sé con l’aiuto di un contesto professionale adeguato dal punto di vista cinematografico.
Hai per caso avuto modo di sentire la senatrice Segre su questo episodio?
Ho parlato con lei anche pochi giorni fa, dopo che era stata diffusa la notizia che era stato sfregiato a Milano il murales che raffigura lei e Sami Modiano. È stata proprio lei a farmi notare che, nello sfregio, chissà perché erano stati cancellati i volti e la stella gialla, ma non i numeri tatuati sul braccio.
A quale progetto stai lavorando ora?
Stiamo proprio in questo periodo un film sulle donne iraniane dissidenti. Le stiamo seguendo da due anni, sono donne straordinarie, grazie a una casa di distribuzione svizzera ora il film è in fase di montaggio. Credo sia un film necessario, in tempi come questi, quando rischiamo di vedere arretrare i nostri diritti e i fondamenti della nostra democrazia, perché la storia di resistenza delle donne iraniane, per esempio, ci insegna che non dobbiamo mai dare per scontato la nostra libertà.