A tavola ho imparato la saggezza millenaria dell’ebraismo

Claudio Aita è l’autore del longseller “Viaggio illustrato nella cucina ebraica”. Riflessi lo ha intervistato

Il suo “Viaggio illustrato nella cucina ebraica” è arrivato alla terza edizione, segno di un ottimo riscontro da parte dei lettori. Come è nata l’idea?

Claudio Aita

In realtà è stato un caso. Nardini Editore aveva da tempo nel cassetto il progetto di una collana che raccontasse dei rapporti fra le religioni e la cultura alimentare. Dei viaggi, in sostanza, partendo proprio dalla cultura materiale. Io mi occupavo, fra la altre cose, di Storia della Chiesa e di religioni. Ci siamo incontrati per altri motivi e, chiacchierando, abbiamo deciso di provarci. Nel giro di un anno è nato il primo volume, quello relativo all’ebraismo che è diventato, con nostra grande soddisfazione, un autentico bestseller del settore.

Quale è stato il suo approccio per affrontare, da non ebreo, le complesse regole della cucina ebraica? E a chi si sentirebbe di consigliarne la lettura?

Il testo è volutamente divulgativo. Si tratta di un volume che ha come scopo quello di incuriosire, di attirare il lettore anche grazie alla grafica accattivante del volume e alla scelta degli argomenti. Lo consiglio a tutti, pertanto, soprattutto a chi vuole saperne di più, al semplice curioso. Scriverlo è stata l’occasione anche per me di approfondire l’argomento e di condividere questo percorso di conoscenza con il lettore. Il fatto di rivolgermi a un pubblico non specialistico, e il fatto che in un numero di pagine non enorme (220) abbiamo voluto non solo fare una disamina delle regole alimentari, spiegandone le motivazioni anche dal punto di vista scritturale, ma anche parlare delle feste, dei singoli alimenti, delle tradizioni e aggiungere anche dei testi, non ha permesso eccessivi approfondimenti. Ma abbiamo cercato di non tralasciare quasi nulla in modo che il lettore avesse, in ogni caso, un’idea la più completa possibile dell’argomento.

Qui, e sotto: alcuni piatti della cucina ebraica

Che obiettivi voleva realizzare?

Il libro ha lo scopo di introdurre il lettore all’ebraismo, di far comprendere cos’è che informa questo mondo che molti non conoscono e che si dimostra più vicino alla nostra realtà di quanto si creda, e di stimolare la curiosità, di spingere all’approfondimento. Non per niente, il testo è corredato di un dizionario dei termini impiegati e di una ricchissima bibliografia ragionata. Non mancano ovviamente le ricette che provengono da tutte le aree geografiche. Il testo, giova dire, ha avuto molti apprezzamenti dal mondo ebraico e dalle stesse Comunità che continuano ad acquistarlo dopo tanti anni. Il che, da non ebreo ma da profondo ammiratore di questa cultura millenaria, mi riempie di soddisfazione. C’era bisogno, ovviamente, di un aggiornamento e di una revisione. Cosa che abbiamo fatto con la nuova edizione appena uscita.

Lei è conosciuto come autore di thriller bestseller, premiati dal pubblico e dalla critica. Storie che si distinguono per uno stile e una costruzione di intreccio e personaggi curati fin nei minimi dettagli, con una attenzione ai particolari. Un metodo di lavoro molto rigoroso. È lo stesso che ha adottato per questo “Viaggio illustrato nella cucina ebraica”?

Il fatto che il testo, come ho detto prima, abbia intenti divulgativi, non implica affatto che non sia rigoroso. Io sono uno storico come formazione e, da friulano nato in Svizzera (una combinazione micidiale!) non lascio mai niente al caso. Dietro il testo pubblicato c’è un anno di lavoro di ricerca e di catalogazione. Era troppo importante non commettere errori o rischiare di omettere qualcosa di rilevante. E poi, diciamocelo, la vicenda del popolo ebraico è un grande, meraviglioso romanzo. Per giunta, assai avvincente. Personalmente, negli ultimi tempi, mi sono dedicato allo studio dell’esegesi biblica e dell’archeologia dell’antico Israele e delle religioni semitiche. E ne è nato, un paio di anni fa, il mio ultimo romanzo, un thriller pubblicato con la Newton Compton, diventato anche audiolibro con Audible. Chi dice che la storia d’Israele è noiosa, dovrebbe ricredersi.

Lei è autore anche di “Viaggio illustrato nella cucina islamica”. Al di là del conosciuto divieto di mangiare maiale, comune alle due religioni, quali sono gli elementi che avvicinano i due tipi di cucina?

In Nardini amiamo dire che i due volumi andrebbero presentati assieme in eventi che potremmo chiamare “La pace a tavola”. Il fatto è che, due culture che tutti siamo convinti a pensare antitetiche in realtà, se andiamo a considerarle dal punto di vista della cultura alimentare, si assomigliano tantissimo e tradiscono la comune origine. E il motivo è semplice: il Profeta si rivolgeva alle comunità ebraiche che abitavano la penisola arabica al suo tempo (in misura minore alle comunità cristiane in buona parte eterodosse) e, pertanto, aveva fatto proprie le regole di tali comunità. E si presentava come un continuatore di quella tradizione, il “sigillo dei profeti”. Le cose poi non andarono come lui sperava e la religione islamica prese tutt’altra piega. Ovviamente sto semplificando ma fatto sta che le preghiere, che prima venivano recitate in direzione di Gerusalemme, vennero poi recitate in direzione della Mecca.
Ciò nonostante, buona parte delle regole alimentari rimasero: il tabù del maiale, il digiuno di Kippur che venne ampliato in una gara di devozione fino a diventare il Ramadan, la macellazione rituale… Con l’unica grande eccezione del consumo di alcolici (del vino, sostanzialmente) che si afferma però solo molto più tardi e con gradualità. Nel volume sulla cucina islamica, fra le altre cose, riporto diverse poesie di Abu Nuwas, vissuto a Baghdad fra l’ottavo e il nono secolo. E sono poesie che inneggiano al vino e all’amore. In ogni caso, le prescrizioni della cucina islamica riguardano soprattutto la carne il cui consumo diventa addirittura obbligatorio nell’occasione della Festa del Sacrificio. Le mitzvot ebraiche abbracciano invece molti più aspetti della cultura alimentare. C’è un rapporto molto più stretto fra religione e cibo nell’ebraismo che in qualsiasi altra religione o cultura.

Ha in programma altri “viaggi” nel mondo della cucina e nel mondo ebraico?

Ho scritto già un testo sulla cucina ortodossa. E con questo chiudiamo il cerchio sulle tre “religioni del libro”, come si direbbe nel mondo islamico. Vediamo.

Infine una domanda sulla sua esperienza e i suoi interessi: la storia, soprattutto quella medioevale, la musica, l’arte e i beni culturali. In questa era digitale, un giovane le liquiderebbe come materie stantie e superate. Quanto invece aiutano nella scrittura e nella comprensione della società di oggi?

Ignorare le domande fondamentali della nostra esistenza (chi siamo? Qual è il nostro posto nell’universo? Da dove veniamo? Che senso ha la nostra esistenza?) non è un progresso. La stessa religione tecnologica attuale (che tale è) non è in grado di fornire una risposta al problema della morte e all’esistenza tangibile del male. Non possiamo ignorare la realtà delle cose e non possiamo delegare tutto alla scienza e alla tecnologia convinti che possano risolvere così ogni problema. La realtà è sempre pronta a presentarci il conto, anche se noi, quella realtà, preferiamo far finta che non esista. Il Novecento, secolo del progresso e delle meraviglie della scienza e della tecnologia, dovrebbe averci fatto capire, con i suoi infiniti orrori, quanto il mito nel progresso e nel miglioramento infinito sia una pura illusione. Oggi, oltre il Duemila, in mezzo a tante meraviglie create dall’uomo, stiamo addirittura rischiando la distruzione del pianeta e la nostra stessa estinzione. La tecnologia fine a sé stessa, senza umanesimo e senza conoscenza della storia, non ha senso. E non ci porta alla felicità. È solo un giocattolo in mano alla finanza, al potere, a chi domina questo mondo. Lo dico da non credente e senza tirar fuori alcun essere soprannaturale cui dovremmo rendere conto. Di conseguenza, è importante, anzi fondamentale confrontarci con chi prima di noi ha cercato di dare un senso alle cose, anche sbagliando. E confrontarci anche con gli errori del passato e con le dinamiche della storia. Perché il vero progresso sta anche in questo. Capire il passato per costruire un futuro più giusto e umano. E, questo mondo, che adora la tecnologia, dimenticandosi di come è arrivato qui, rischia davvero grosso. Senza cultura non c’è controllo. Gli ebrei lo hanno invece capito già da qualche millennio. E il messaggio più profonde che viene da quei precetti alimentari che questo popolo osserva senza porsi troppe domande è più attuale che mai. Il mondo non ci appartiene, non possiamo nutrirci, consumare le risorse di questo pianeta senza regole, in maniera indiscriminata: è un suicidio. Dobbiamo sottostare a delle regole di buon senso, poco importa che vengano imposte dalla religione o dalla ragione. E abbiamo bisogno ogni tanto di staccarci dalle nostre occupazioni quotidiane, dalla tecnologia che ci permette di controllare il mondo che ci circonda e di fermarci a riflettere. E questo è il messaggio attualissimo dello Shabbat.

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