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Vittimizzazione secondaria

Curare le ferite

Il 9 maggio scorso, presso la Fondazione Ernesta Besso a Roma, si è tenuto un incontro dal tema: “Vite Ferite, terrorismo e vittimizzazione secondaria: un’altra narrazione è possibile”

Cos’è la vittimizzazione secondaria e perché è importante parlarne?

Relatori Vite Ferite
Il relatori dell’evento. Da sinistra: Massimo Coco, Antonio Campanile, Gianluca Cicinelli, Giuliana Cavazza, Giampaolo Mattei, Eliana Pavoncello

La vittimizzazione secondaria è l’ulteriore sofferenza che si aggiunge all’atto terroristico in sé, causata dalla trascuratezza subita dalle vittime da parte di enti, istituzioni, ambiente sociale. Secondo la professoressa Agata Serranò, attenta studiosa del fenomeno, essa deriva dal fatto che la narrazione ufficiale vede nel terrorismo solo due protagonisti: da una parte lo Stato, dall’altra i terroristi; da una parte l’ordine costituito, non sempre perfetto, a volte tiranno, dall’altra individui da soli o organizzati che tentano di scardinare quello Stato o ciò che rappresenta.

E le vittime? Sono per lo più numeri, che entrano nelle statistiche, ma raramente nella memoria collettiva come individui.

Le vittime – a eccezione di quelle che sono utili a media e politici – sono infatti fastidiose, ingombranti, raccontano il fallimento a una società che cerca il perdono, il quieto vivere, una società talmente esposta a continui, tragici, fatti di cronaca che si rifugia nell’oblio, piuttosto che nella memoria e nell’umana comprensione.

Come vittima del terrorismo conosco bene questa situazione e le sofferenze connesse.

Dendena Vite Ferite
L’intervento in collegamento da Milano di Matteo Dendena

Da quarant’anni fanno parte del mio essere, appunto, una “vita ferita”. Inizialmente pensavo che fosse un’esperienza solo mia; poi, nell’ultimo anno, alcune situazioni mi hanno spinta a cercare di capire cosa ci fosse al di là della mia ristretta cerchia. Mi si è aperto un mondo popolato di vittime e parenti di vittime di altri attentati terroristici, con i miei stessi sentimenti e lo stesso dolore; così quando qualcuno mi ha proposto di creare insieme un punto di aggregazione, non mi sono tirata indietro.

Ne è nato il sito www.memoriaeverita.com e da lì l’evento del 9 maggio (giornata nazionale che celebra le vittime del terrorismo). Condotto dal giornalista Gianluca Cicinelli, il dibattito alla Fondazione Ernesta Besso ha riunito le voci di Antonio Campanile, poliziotto coinvolto nell’attentato di Fiumicino nel 1973, di Giuliana Cavazza, figlia di Anna Paola Pelliccioni, vittima del disastro di Ustica, di Massimo Coco, figlio del giudice Francesco Coco, ucciso dalle Brigate Rosse, di Matteo Dendena, nipote di Pietro Dendena, vittima di Piazza Fontana e di Giampaolo Mattei, fratello di Virgilio e Stefano Mattei, vittime del rogo di Primavalle. (Qui la registrazione dell’evento).

Il pubblico numeroso, attento e a volte stupito per le verità che venivano esposte sulla vittimizzazione secondaria, ci hanno convinto che eravamo e siamo sulla strada giusta.

Credo che come italiani non dovremmo mai smettere di pretendere verità (e quindi giustizia) per i troppi fatti terroristici che hanno insanguinato il nostro paese. E, soprattutto, credo che come ebrei non dovremmo perdere mai di vista i valori della solidarietà verso chi è svantaggiato, dell’inclusione di chi ha vissuto una tragedia sulla propria pelle, del rispetto del dolore, dell’ascolto di tutte le esperienze, senza giudizi e pregiudizi. La strada finora sembra ancora tutta in salita, troppi i condizionamenti, troppi i miopi egoismi: persino gli studi nelle università italiane sulla vittimizzazione secondaria sono appena agli inizi.

Ma sono convinta che una porta è stata aperta e che l’unico modo giusto di affrontare questo problema è continuare a far sentire la nostra voce.

2 risposte

  1. Uno spunto di riflessione davvero notevole, soprattutto se ci si sofferma a riflettere sulle ragioni delle singole parti coinvolte.
    Provo a sintetizzare semplificando, ma neppure troppo:
    1 – i terroristi devono terrorizzare, seminare distruzione e morte, celebrano i loro successi in funzione dei danni che fanno e quindi è ovvio che non si curino dell’esistenza delle vittime.
    2 – le vittime sono vittime ed in quanto tali hanno patito, dovrebbero avere la solidarietà dell’intera società civile, non fosse altro perché rappresentano noi, ma non sono stati eletti, non hanno avuto vantaggi, il destino ha scelto loro, nel cinico gioco delle probabilità per diventare vittime di un attentato ed hanno pagato sulla loro pelle questa assurda rappresentanza di sicuro non cercata.
    3 – le istituzioni, da ebreo non posso che vederle come persone, non come entità superiori: donne, uomini, persone, che si sono spese per divenire rappresentanti di tutti ed oggi rappresentano e governano, a volte lo fanno bene a volte meno bene, ma sono esseri umani, con le loro debolezze e fragilità. Quando decidono di gestire il ricordo ed il dolore e non fanno due passi indietro e non delegano adeguatamente alle vittime sopravvissute è evidente che lo fanno per una “ragione superiore che voi non potete capire” ed io, sempre da ebreo chiedo: perché no?

  2. É la prima ed unica voce dopo 40 anni che mi ha commosso e ha capito come parlare con rispetto e dignità verso le vittime della sua comunità.Grazie

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