Una comunità fragile e unita
Nel nostro viaggio nell’ebraismo italiano arriviamo a Napoli, la comunità più a Sud d’Italia.
Sandro Temin ha una lunga esperienza comunitaria, consigliere dal 1985 al 2015, e poi di nuovo dal 2019, oltre che attuale consigliere Ucei. Da lui parte il breve tour di Riflessi.
Sandro, come si potrebbe descrivere la comunità ebraica di Napoli?
Quella napoletana è davvero una comunità sui generis. Voglio dire che mentre tutte le comunità ebraiche italiane medio piccole hanno qualcosa che le accomuna – fermo restando le peculiarità di ognuna, come innanzitutto le loro radici storiche, in molti casi antichissime – a Napoli non è possibile trovare un tratto comune agli ebrei del posto, perché Napoli non è la comunità d’origine di nessuno degli iscritti; in questo senso, dico che qui a Napoli esistono solo peculiarità. Ti faccio un esempio: qui al massimo gli ebrei hanno i genitori di Napoli, e in un solo nucleo familiare si può risalire ai nonni; in tutti gli altri, invece, si tratta di nuovi arrivi e, probabilmente, di future partenze.
Come si spiega questa caratteristica?
Con le origini stesse delle comunità. Come tutti sanno, il Meridione è stato in realtà terra popolata di ebrei dal I e fino al XV secolo, quando furono tutti espulsi dai domini spagnoli. A Napoli la comunità poté essere ricostituita solo nel 1863, dopo l’unità d’Italia (il cimitero invece solo dieci anni dopo), e fu da allora una comunità di forestieri: commercianti, studiosi, impiegati, industriali, che a Napoli venivano per lavoro, o per affari – il porto ha sempre avuto una funzione attrattiva –, e che in città rimanevano fino a quando la loro vita li portava altrove. Quando è nata la Cen [comunità ebraica di napoli, n.d.r.], si era all’inizio dell’emancipazione, e anche questo ha avuto effetto, nell’imprimere alla comunità un’impronta ibrida, e forse anche meno osservante. Tutto ciò ha prodotto anche altre conseguenze: per esempio non esiste una cucina ebraico-napoletana, o una parlata ebraico-napoletana.
E in età più moderna?
In fondo, da allora non è cambiato molto. Io stesso provengo da una famiglia ferrarese, e sono l’unico dei miei cinque fratelli a essere rimasto; i miei due figli, invece, già sono oggi lontani da Napoli. Un’altra differenza c’è stata con l’ultima guerra: nel settembre del 1943, mentre a Roma i nazisti reclamano 50 kg d’oro e si preparano alla deportazione del 16 ottobre, Napoli si solleva contro i tedeschi, permettendo agli ebrei perlomeno di sottrarsi al rischio di deportazione.
Oggi come è composta la comunità di Napoli?
Oggi la comunità ha poco meno di 200 iscritti. Nell’area metropolitana circa 80. Non c’è nulla che li accomuna, perché hanno storie e provenienze diverse. Non c’è affinità lavorativa. Si occupano delle occupazioni più diverse. Commercianti, impiegati, molti, avvocati, imprenditori. Il fatto che non ci sia un legame col territorio forte, comporta alta volatilità. Tuttavia, voglio anche ricordare cosa hanno dato gli ebrei napoletani alla città. Pacifico Ascarelli è stato un grandissimo imprenditore, suo figlio Giorgio ha fondato l’attuale società di calcio. Per tornare a oggi, siamo una comunità coesa. Di Shabbat abbiamo quasi sempre minian, da un po’ riusciamo anche il venerdì sera; in generale tra noi iscritti c’è armonia e amicizia. Certo, i numeri sono piccolissimi. E poi le origini che ho descritto comportano altri effetti collaterali: la comunità ad esempio dispone di un modesto patrimonio immobiliare, con effetti sulla tenuta dei conti che è facile immaginare.
Quali sono i rapporti con l’attuale amministrazione della città?
Purtroppo i rapporti sono oggi interrotti. De Magistris all’inizio sembrava un sindaco del rinnovamento, poi ha sposato la causa palestinese, fino a nominare come assessore alla cultura una figura piena di espliciti e viscerali pregiudizi antiisraeliani. Il confronto così non è possibile. È un peccato, perché la partecipazione alla vita civile della comunità è stata sempre viva, esprimendo figure come il senatore ed economista Augusto Graziani, o Maurizio Valenzi, ebreo di origini tunisine, antifascista, senatore per tre legislature e sindaco di Napoli a cavallo degli anni Settanta e Ottanta del Novecento. Da ultimo c’è poi Marco Rossi Doria, iscritto alla nostra comunità, sottosegretario all’istruzione nei governi Monti e Letta.
Cosa chiede la comunità di Napoli al prossimo consiglio dell’Ucei?
Sono convinto che la comunità deve restare legata il più possibile all’Ucei che verrà, per godere dei vantaggi di una istituzione forte e rappresentativa a livello nazionale.
Domani incontreremo la presidente della comunità, Lydia Schapirer.
Questa è la quinta tappa del viaggio nelle comunità ebraiche italiane. In precedenza siamo stati a Torino, Venezia, Casale Monferrato e Trieste
Una risposta
Interessanti notizie sulla Comunità di Napoli
Per quanto riguarda le posizioni di De Magistris sbilanciate in senso ostile ad Israele la notizia di questo sbilanciamento meriterebbe di essere più nota… visto anche il fatto che questo signore sta “salendo” nelle ambizioni politiche …