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Temo le divisioni e la poca autonomia

Sergio Di Veroli racconta della fine di Kadimah, ma non dei suoi impegni presso la Comunità e l’Ucei. E sul nostro futuro, indica i rischi da evitare

La redazione di Riflessi, in merito all’intervista rilasciata da Sergio Di Veroli, comunica quanto segue:
1) Sergio Di Veroli oggi ricostruisce la chiusura del Kadimah, attribuendola ad alcuni “energumeni” (sic) della Comunità, lamentandosi delle reciproche diffidenze tra ebrei “borghesi” ed ebrei “di piazza”.
2) Questo passaggio (su 4 pagine di intervista) è stato fortemente criticato da molti.
3) L’intervista è stata raccolta perché Sergio Di Veroli, comunque la si pensi, ha svolto un ruolo nella vita comunitaria di quegli anni.
4) Riflessi vuole essere una voce libera e aperta a tutti, per questo non applica censure preventive nei limiti della libertà di espressione. La redazione non necessariamente condivide le opinioni espresse dalle persone che ritiene dì intervistare; gli articoli, se firmati, non impegnano la redazione ma solo i loro autori.
5) Le diverse posizioni si chiariscono nel dialogo e per questo riteniamo giusto proporre ai nostri lettori un’altra versione di questa storia, in modo che abbiano tutti gli elementi per farsi un’idea personale.
6) Già da adesso, Riflessi ha ospitato ampie repliche, attraverso tutti i commenti pubblicati, che danno conto delle diverse opinioni sul punto.
7) Nonostante ciò, se qualcuno, tra i protagonisti o testimoni dell’epoca, vuole offrircela, siamo pronti a ospitarla

Sergio, ieri ti abbiamo lasciato alle prese con il movimento giovanile Kadimah. Che altre iniziative hai preso in quel periodo?

Elèna Mortara e suo marito Sergio Di Veroli

Nel 1959 partecipai insieme a Enrico Modigliani, Carlo Di Castro e Fausto Tagliacozzo alla fondazione del giornale giovanile della FGEI, Ha Tikwà, come supplemento del mensile Israel. La mia collaborazione continuò anche nel periodo successivo della mia vita a Milano, quando la direzione era passata all’amico Sergio Della Pergola. Intanto, dopo essermi laureato in ingegneria elettronica ed aver trascorso un primo periodo di lavoro a Milano, dove tra l’altro mi occupai del centro giovanile ebraico Club 45, nel 1966 mi ero sposato a Milano con Elèna Mortara, che sarebbe divenuta ben presto a Roma docente di Inglese nei licei e poi professoressa universitaria di Letteratura angloamericana, e tra i massimi esperti della letteratura ebraico-americana. Mi ricordo ancora quando Elèna fece una conferenza affollatissima al Pitigliani di Roma su Singer e la letteratura yiddish, era giovanissima e ottenne subito un successo strepitoso. Qualche amica romana mi domandò come avevo fatto a trovare e sposare questa così giovane e così in gamba! Insieme a Elèna e con il suo straordinario apporto ho percorso il resto della mia esperienza comunitaria, oltre che di vita.

Immagino che, con questa esperienza, sarai entrato anche nelle istituzioni comunitarie.

Nei primi anni Settanta, esattamente dal 1970 al 1974, divenni consigliere della Comunità ebraica di Roma.

Mi parli di quegli anni?

In questo Consiglio fu decisa l’apertura del liceo ebraico “Renzo Levi”. Fino ad allora c’erano solo delle scuole tecniche superiori ebraiche. In questo contesto, insieme a Giuliano Orvieto e a Sergio Sonnino, fui tra i promotori e realizzatori del Centro di Cultura Ebraica. L’idea di un centro culturale nacque inizialmente nell’ambito della Consulta. Raccogliendo l’esigenza emersa durante le discussioni in Consulta, fummo noi che portammo avanti la realizzazione dell’idea, facendola approvare dal Consiglio, grazie anche all’ottenimento di un fondamentale supporto finanziario internazionale da parte del Joint, l’American Jewish Joint Distribution Committee. Già nel 1973 fu creata una Commissione per la fondazione del Centro (di cui ho la tessera n. 1), a cui partecipai fino al 1985. Dopo attenta selezione, scegliemmo come direttrice del Centro la genovese Bice Migliau e, con questa brillante, valida e colta persona, il Centro cominciò la sua attività nel 1974. Dopo una breve fase iniziale di orientamento, fu trovata la sua sede indipendente. Il Centro, arricchito nel tempo da una ricca biblioteca, è stato da allora un punto di riferimento culturale e una straordinaria fucina di eventi ed iniziative, e con la sua presenza nell’area del ghetto, e le sue prime “feste in Piazza” tra il 1977 e il 1980, ha rappresentato una svolta di grande importanza nella storia della nostra comunità. La solidità del progetto è confermata dalla persistenza di questa istituzione, che ancora oggi continua ad operare, ora sotto la guida di Miriam Haiun che, dopo aver collaborato per alcuni anni con Bice, ne ha ereditato la direzione.

E che successe al Kadimah?

Il Kadimah di via del Gesù 89 ebbe un enorme successo, operando dal 1960 al 1967. La partecipazione era molto vivace, e i genitori che inizialmente avevano dato risorse, e si erano impegnati giuridicamente con i proprietari del locale per garantire l’affitto, non dovettero minimamente intervenire economicamente, perché il Kadimah si resse sulle sue gambe con i proventi delle iscrizioni dei ragazzi. Poi nel 1967 il Kadimah di via del Gesù finì, un po’ perché le frequenti affollatissime manifestazioni del Kadimah fino a tarda sera davano fastidio alla popolazione della strada, che se ne lamentò con la polizia, e anche perché lo spazio era ormai insufficiente.

Cosa faceste allora?

Renzo Gattegna (1939-2020)

Nel periodo successivo, per iniziativa di Renzo Gattegna e Natan Orvieto e stimolo dell’allora Presidente della comunità Gianfranco Tedeschi, partendo dall’esperienza del precedente Kadimah, si fece un nuovo Kadimah a via Balbo, nei locali della Comunità, posti sopra al Tempio. Erano arrivati nel frattempo gli ebrei tripolini, profughi dalla Libia, che furono accolti e ci diedero nuova energia; poi, però, nel 1974 finì tutto.

Come mai?

Successe un fatto spiacevole. Un consigliere del secondo Kadimah affisse nella sede di via Balbo dei manifesti di promozione di lavori teatrali di Dario Fo, inviso a molti in comunità per il suo sempre dichiarato schieramento filopalestinese. Subito dopo l’affissione di questi manifesti, arrivarono i guastatori della comunità.

Chi?

Dario Fo

I guastatori! Ci sono sempre stati nella nostra comunità. Degli energumeni di “piazza” andarono e distrussero tutto, così il Kadimah smise di esistere. Ma purtroppo quello che invece rimase fu la paura da parte dei giovani di frequentare un posto dove potevano subire violenza. Quando in Consiglio della Comunità Rav Aldo Sonnino, consigliere della Comunità insieme a me, chiese di fornire nuovi spazi protetti per i giovani, gli fu risposto che bisognava “tagliare i rami secchi”, come se dentro il circolo fossero tutti “comunisti”! Basti osservare che il presidente di quel Kadimah era il mio amico d’infanzia e di Comunità, Renzo Gattegna, poi Presidente dell’UCEI, per capire che si trattava di accuse strumentali. In effetti, come già prima, si voleva colpire l’apertura culturale.

Come mai questo esito?

Pagammo una grande divisione politica interna. I rappresentanti della comunità si dividevano tra destra e sinistra, entrambe estremiste. Io ho invece preferito seguire altre vie, contro gli estremismi, continuando a partecipare alla vita comunitaria, ma al di fuori di questi schieramenti.

Qual è la causa di queste spaccature, secondo te?

La prima causa è legata a una contrapposizione di tipo socioculturale. La nostra comunità ha sempre vissuto la separazione tra una comunità di professionisti, più colta, e quella “di piazza”, con reciproca diffidenza. Un’altra spaccatura è derivata da divisioni politiche, relative alla difesa di una parte o l’altra della politica israeliana. Non si capisce l’accanimento su questi argomenti, quando la nostra posizione di ebrei della diaspora non ha nessun potere sulla politica interna di Israele! Tuttavia, la situazione oggi va migliorando, perché, da un lato il livello culturale si sta allineando sempre di più, dall’altro si comincia finalmente a comprendere che non tutto è bianco o nero, e che per capire bene i fatti e le persone bisogna capire che c’è sempre una gradazione continua di grigi.

Come ha influito questo contesto di contrapposizioni nel tuo rapporto con la comunità?

Fiamma Nirestein

Come ti dicevo, non amando gli estremismi, io non sono più voluto rientrare nelle liste per l’elezione dei consiglieri, ma ciò non mi ha impedito di continuare a partecipare attivamente alla vita comunitaria. Ad esempio, tra il 1978 e il 1990, nella Commissione guidata da Emanuele Pace ho contribuito alla stesura del regolamento dello Statuto dellʼUnione, che nel frattempo da UCII era diventata UCEI, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Negli anni 1980-1992 sono stato prima membro della Consulta, poi suo vicepresidente, quando Presidente era Carlo Di Castro, e in seguito sono divenuto io stesso Presidente della Consulta. Furono anni molto importanti, perché come Consulta partecipammo alla discussione sulle decisioni relative agli Istituti pubblici di assistenza e beneficenza, le IPAB, come ad esempio il Pitigliani e l’Ospedale Israelitico, in conseguenza delle nuove Intese con lo Stato italiano. Nello stesso periodo, partecipai anche, insieme a Fiamma Nirenstein e a Gavriel Levi, alla stesura di una lettera, approvata dal Consiglio della Comunità, rivolta al Pontefice, in cui sollecitavamo il riconoscimento di Israele da parte della Chiesa. Tale riconoscimento avvenne non molto dopo, certamente non solo per questa lettera, ma alle volte serve la goccia che fa traboccare il vaso!

Immagino che questo non sia stato il tuo unico contributo a favore dell’UCEI.

Tullia Zevi (1919-2011)

In quegli anni ’90, inoltre, ebbi un ruolo chiave nel contribuire a risolvere un grave problema finanziario dell’UCEI e delle Comunità, derivante da un debito gigantesco verso l’Erario, dovuto a una combinazione di leggi e leggine intricatissime che stava danneggiando le Comunità ebraiche, caricandole, tra l’altro, di tutti i costi del tardivo riconoscimento dei contributi pensionistici del periodo 1938-45 ai perseguitati dalle leggi razziste dipendenti delle Comunità. In quel contesto finanziariamente drammatico, io ebbi l’idea di contattare il senatore avvocato di Milano Felice Besostri, mio amico e molto amico degli ebrei, che a suo tempo era stato anche Presidente di una Associazione Italia-Israele, a cui chiesi se si sarebbe voluto occupare della questione, mentre era in Senato. Lui disse di sì e quindi io lo presentai a Tullia Zevi, allora Presidente dell’UCEI. Il risultato fu che lui riuscì in Parlamento a far modificare in modo giusto le leggi che penalizzavano le Comunità ebraiche, liberandole da un fardello economico difficilmente colmabile. Tullia Zevi mi espresse tutta la sua gratitudine per l’aiuto dato nella soluzione di questo gravissimo problema, che incombeva sulla vita stessa delle nostre Comunità.

In definitiva, quali sono i momenti più importanti che hai vissuto in quegli anni?

la Casina dei Vallati, sede della Fondazione Museo delal shoah

Come testimone della vita della nostra Comunità, permettimi di citare quattro iniziative cui ho assistito in questi anni, che hanno cambiato in qualche modo la vita della comunità, e che meritano una speciale menzione. La prima iniziativa è la creazione, sotto la Presidenza della Comunità di Leone Paserman, del Palazzo della cultura in pieno centro ebraico. In esso oggi trovano posto tutte le scuole ebraiche della Comunità, la scuola elementare Vittorio Polacco, la scuola media Angelo Sacerdoti, il liceo Renzo Levi. La seconda fu, per iniziativa principalmente di mio fratello Guido Di Veroli, la creazione del Museo ebraico, posto sotto il Tempio Maggiore. La terza consiste nella nascita del Museo della Shoà e la sua provvisoria ubicazione nella Casina dei Vallati. La quarta iniziativa importante è stata la creazione dell’Archivio storico della Comunità, dove oggi è possibile ricostruire la storia della propria famiglia dal ‘700 in poi.

In questa lunga camminata nella vita della comunità, come vedi il contributo del rabbinato?

(continua a pag. 2)

22 risposte

  1. Bisognerebbe precisare che lo spettacolo testrale che Dario Fo stava portando in giro per l’italia era a favore dei “combattenti palestimesi” gli incassi erano devoluti all”Olp e qiesto era messo ben in chiaro nei manifesti affisi da “energumeni politici” per pura provocazione. Da tempo era iniziato il terrorismo con stragi in Galilea dirottamenti aerei, affigere quei manifesti in un circolo ebraico all’interno di in Tempio fu una cosa molto grave . Ci fu una contestazione furono tolti i manifesti e fini li. Ero presente e non sono un energumeno facevo parte con molti altri di una struttura che da anni si occupava della sicurezza della comunità, si batteva per gli ebrei della Unione Sovietica, si contrastavano le sinistre radicali cosiì come i fascisti.
    Dipingere una parte della comunità come ignoranti violenti non si fa altro che estendere il fossato

    1. Caro Alberto hai perfettamente ragione e quello che scrive Sergio Di Veroli è FALSO! L’ ostracismo di una certa “classe” dei cosiddetti “Gnaciri”, verso chi come te, il sottoscritto e tanti altri, soprattutto i ragazzi del ’48, purtroppo grazie ancor all’esistenza, fortunatamente di pochi, ha creato questa spaccatura. Tutto il resto…..è noia!

      1. Caro Marco, forse non era chiaro o non era messa bene in luce la differenza tra la Storia e Cronaca, Io ho parlato della piazza di 50 anni fa negli anni ’70, dove c’era una popolazione semplice con diffidenza reciproca verso i colti della Comunità. E non sono solo io a dirlo e a scriverlo.
        Sarei un pazzo se individuassi oggi nel 2022 gli stessi elementi perché gli abitanti dell’ex quartiere ebraico sono diventati tutti, come noi, borghesi e con gradi culturali del tutto simili. Chi si ritiene ancora appartenente a quella generazione incolta e vuole perseguitare gli altri usando la forza, non ha nessuna giustificazione, perché oggi avrebbe tutti gli strumenti democratici e di dibattito aperto per potersi affermare con le sue idee.
        Ti prego pertanto di non alimentare malintesi.
        cari saluti e buon Shabbath
        Sergio

    2. Per una mia risposta completa, prego leggere il mio messaggio di risposta al suo terzo messaggio.
      Grazie, Sergio Di Veroli

  2. A ragione Alberto Di Consiglio fu una provocazione bella e buona bastava togliere le locandine e tutto sarebbe finito lì. Inoltre i ragazzi che intervennero erano ragazzi che si esponevano in prima persona in tutte le manifestazioni contro Israele mettendo a repentaglio la propria incolumità personale e nei momenti ancora più tristi facevano nottate e giornate perdendo lavoro e salute a difendere le nostre istituzioni comunitarie non lì chiamerei energumeni ma si dovrebbe ringraziarli per il loro impegno a difesa della nostra comunità

  3. Vero Fabrizio fu una vera infamia, raccolta fondi per l’OLP. Grave definirli “guastatori” che distrussero tutto, si tolsero i manifesti, punto, il Kadima rimase integro ovviamente, ci mancherebbe. Ci fu un comunicato della Cer che stigmatizzo sia la contestazione che la provocazione (si può trovare su Shalom). Tra le iniziative dei “guastatori” ci fu la creazione della Ags che vigila sulla scuola. Nacque all’ora. Opera degli energumeni

  4. Risposta a Di Consiglio e Benigno. Avete ragione che fu un atto spiacevole e io l’ho detto, ma la conseguenza del vostro comportamento violento fu che il Club, dove c’era forse solo un pazzo comunista propalestinese (non confondete il club con il gruppo di manifestanti pro palestinesi), chiuse causando un danno enorme nella Comunità perché si perse per anni l’occasione di far riunire i giovani ebrei (tra cui molti tripolini) e far loro studiare loro un po’ di ebraismo, come invece era successo con il primo Kadimah. Io non ero presente al fatto ma ero in Consiglio della Comunità e ho ripetuto quello che si disse là in una lunghissima discussione. Una prima conseguenza fu che come assessore alla cultura e ai giovani, avevo organizzato lì un corso di ebraismo per giovanissimi con insegnante Il compianto dott. Augusto Segre e questo corso fallì prima della prima riunione.
    Si poteva condannare in pubblico l’evento, chiamare il direttore che era Saul Mehnagi dipendente della Comunità, far togliere i manifesti e lasciare far vivere il centro senza violenze e paure. Se foste venuti da me io come assessore l’avrei fatto immediatamente. Quando si fanno le cose bisogna sempre pensare alle conseguenze e non operare solo per odio politico. Quindi non c’era solo l’opposizione a Dario Fo, ma molto di più contro quel club che non apparteneva alla vostra sfera di interessi e finalmente un cretino vi ha presentato sul piatto la provocazione che aspettavate. Certo che le nipoti di Aldo Sonnino non erano estremiste come non lo erano Renzo Gattegna, David Pacifici e soprattutto il Presidente del club che allora era Nathan Orvieto. Se non vedete nella vita che non c’è davanti a voi solo bianco o nero, amici o nemici, ma c’è anche il grigio, non potete andare lontani e la Comunità fa solo passi indietro.

    1. Caro Sergio, trovo la tua risposta fastidiosamente apologetica di un mondo di professionisti acculturati, nel quale evidentemente ti identifichi, contrapposto a un mondo di energumeni, propensi ad usare la violenza.
      Avulso da ogni tipo di snobismo e più che mai da ogni genere di violenza io non saprei come collocarmi in quella diatriba che mi vide per certi versi protagonista.
      Il problema non furono i volantini ma uno stillicidio di atteggiamenti provocatori, portati avanti non da uno ma da molti dei frequentatori, schierati nei movimenti studenteschi e pronti ad uniformarsi alle parole d’ordine dell’epoca, contro Israele e a favore dei palestinesi di cui ci si rifiutava di riconoscere la deriva terrorista.
      C’è un episodio esemplare di questo clima.
      Eravamo a Temu’ per un raduno Fgei. Una ragazza israeliana intona Jerushalaim shel Zahav, accompagnandosi alla chitarra. Viene zittita in malo modo al grido ritmato di: La FGEI è rossa, il Kadimah lo sarà.
      Ad ogni modo al Kadimah al di là di qualche tafferuglio animato, più che da quelli che chiami energumeni di piazza, da uno o due isolati giovani ebrei profughi da Bengasi, non si è mai respirato un clima di pericolo o di insicurezza.
      E il Kadimah non chiuse per questo. Non chiuse proprio.
      I frequentatori che si identificavano in una realtà romanticamente di sinistra, colta, emancipata, scelsero l’Aventino: abbandonarono il Kadimah e fondarono un club antagonista elitario e di sinistra: il Dror.
      A raccogliere i cocci e a rilanciare un circolo aperto a tutti rimanemmo in pochi. Ricordo fra gli altri Gadi Toaff, Federico Ascarelli, Botticella, Daniela Di Castro z.l. Fabrizio Benigno, Maurizio Gay…
      Demmo il via ad attività rimaste memorabili, nel corso delle quali mettemmo a dura prova la capienza dei locali. L’incontro con Marco Pannella. La conferenza di Menachem Begin, allora capo dell’opposizione in Israele. Uno spettacolo di cabaret con uno straordinario e scatenato Carlo Croccolò e poi tant’è altre attività di routine.
      Detto questo non comprendo perché tu voglia rilanciare oggi antiche polemiche che non giovano a nessuno e che fortunatamente suonano ormai del tutto anacronistiche. Lasciamo da parte le divisioni del passato e pensiamo piuttosto a fronteggiare uniti i pericoli da cui siamo nuovamente minacciati.
      Un caro saluto,
      Mario

      1. Sottoscrivo pienamente quanto rappresenta Mario. Una prima crisi, ma non certo la fine del Kadima, iniziò quando venne creato il Dror, una sorta di alternativa elitaria di presunti intellettuali di sinistra, che ebbe il solo fine di creare una profonda spaccatura nell’ebraismo giovanile romano.
        Le accese discussioni anche odierne portano a constatare che, a distanza di decenni, il vulnus non si è tuttora completamente rimarginato.

  5. Caro Di Veroli, mi presento sono il marito dell’attuale diretrice del Centro di Cultura e figlio di quel Moretto che nel 1967 fondò un movimento che si occupava di sicurezza, dopo pochi anni creammo l’AGS, si appogiava Israele a preascindere chi governava, c’era da contrastare i vecchi nemici, i fascisti e i nuovi la sinistra radicale e tanto altro che lei non sa. Uno delle persone più vicine per anni a mio padre fu Renzo Gattegna che lei giustamente cita e molti altri della “buona borghesia ebraica”.
    1) non fu l’iniziativa di un singolo ma di un gruppo di 5/6 persone che giocavano a fare i rivoluzionari erano tempi della “trasgressione” politica e culturale
    2) ma le che ne sa della “nostra sfera di interessi”??? frequentavo e frequentavamo il kadima con molto interesse e partecipazione e il Kadima non chiuse,
    3) molte cose che oggi fanno parte della vita della Cer furono create all’ora, ho citato l’Ags, le prime telecamere, le difese passive come le porte blindate , la creazione del Maccabi Karate, e non ultimo il coinvolgimento di centinaia di persone di ogni ceto sociale e culturale, le mobilitazione per Israele quando il Sionismo fu equiparato al razzismo, la liberazione di Kappler che fu impedita, i continui sit in davanti l’ambascista Sovietica e anche si collaborò con il Centro di Cultura quando nel 1977 Bice organizzò una fesra al Portico di Ottavia, chiese un servizio di vigilanza visto i tempi (anni di piombo) cosa che fu fatta e pensi un pò alcuni la notta attorno al grande palco per evitare brutte sorprese l’indomani mattina
    4) lei, mi consenta , è un deposito di pregiudizi spara sentenze che da lezioni dall’alto della sua cattedra a dei guastatori violenti e incolti. Senza sapere minimamente la maggior parte degli avvenimenti di quel periodo e no ha idea delle persone di ottimo livello con cui si lavorava in stretto contatto Ha solo creato altre divisioini
    Ossequi

    1. Caro Alberto Di Consiglio, rispondo a lei, perché mi sembra essere colui che ha messo in moto, a caldo, questa polemica. Come marito della nostra amica Miriam, direttrice del Centro di Cultura ebraica, poi mi è anche simpatico. In una Comunità di volontari come la nostra, tutti noi assumiamo liberamente un ruolo: ma come io non mi permetto di dire che la AGS e la difesa dall’antisemitismo non siano fondamentali, né che non sia fondamentale la difesa di Israele (paese che amo e frequento regolarmente, dove vivono quattro miei nipoti e quattordici pronipoti), voi non potete dire che il lavoro di chi sta in Consiglio o fonda Centri di Cultura ebraica, Musei, ecc., non siano altrettanto fondamentali.
      Eliminiamo subito un malinteso: quando ero giovane, ho partecipato alla sorveglianza sia per la difesa della scuola, sia per la difesa delle armi in partenza per Israele, all’aeroporto di Ciampino. Forse molti non si ricordano di me perché sono anziano. Siamo tutti tasselli di una stessa realtà che si chiama Comunità. Questo tipo di impegno non mi ha impedito di occuparmi di altri aspetti della nostra vita comunitaria.
      Cerchi di capirmi, perché si tratta di cose secondo me essenziali. Il rispetto reciproco e il non vedere il mondo solo diviso in amici, che condividono tutto, o altrimenti nemici con cui è impossibile dialogare, è essenziale. Io sono uno che difende la libera circolazione delle idee e la lotta alla violenza. Per questo rimasi molto scosso quando in Consiglio giunse notizia di azioni violente compiute contro la sede del Kadimah e i suoi membri. So con certezza da testimonianze dirette che nel caso in discussione non ci fu solo l’asportazione dei manifesti appesi al muro, ma ci furono anche atti di violenza, il taglio dei fili del telefono, spintoni e espulsione dalla sede dei ragazzi in quel momento presenti. Si trattò di una vera e propria aggressione. Non si può non vedere la gravità di tutto ciò.
      Lei che ha sposato Miriam dovrebbe perciò essere sensibile alla diffusione della cultura ebraica. Come io rispetto il vostro lavoro, voi dovreste però rispettare il lavoro di un consigliere della Comunità, che dopo lungo lavoro aveva riunito una ventina di ragazzi tra i 18 ei 20 anni e li voleva far partecipare a un corso periodico settimanale di ebraismo al Kadimah, sotto l’insegnamento del prestigioso dott. Augusto Segre z.l. Accade nel 1974 che questo consigliere partecipi a un Consiglio urgente della Comunità, dove il Presidente riferisce che alcuni soggetti sono penetrati nel Kadimah, hanno distrutto parecchie cose, e hanno creato le condizioni perché il Kadimah fosse temporaneamente chiuso dalla Comunità, proprietaria dell’immobile. Rimasi colpito dalla scena del compianto Rav Aldo Sonnino, che si interrogava sul futuro ebraico delle sue amate nipoti, frequentatrici assidue del centro, e a cui qualcuno rispose: “Dobbiamo tagliare i rami secchi della Comunità”. Il centro fu momentaneamente chiuso, il corso di cultura ebraica non poté cominciare, e una parte di quella generazione si sentì espulsa dalla Comunità. A lei la risposta: avevano lei e i suoi compagni il diritto di interrompere queste attività? Che danno si è prodotto alla Comunità per un problema che si poteva risolvere in maniera pacifica, facendo una opportuna azione civile? Stia tranquillo, in Comunità e nei consiglieri avrebbe trovato solidarietà e azione di supporto non violenta. La violenza invece è un brutto male.
      Se lei ha notato, il titolo che è stato dato dai redattori di “Riflessi” alla seconda parte della mia intervista è: “Temo le divisioni”. I redattori hanno ben compreso che lo spirito delle mie parole era ed è del tutto contrario a queste violente contrapposizioni interne, che io ho citato in un contesto di rievocazione storica proprio per disapprovarle. L’uso delle parole “piazza” e “borghesia”, che io ho usato per i fatti del dopoguerra e del 1974, avevano un valore di contestualizzazione storica, ma non hanno più senso oggi per la notevole parificazione di questa Comunità, come avevo detto chiaramente nella mia intervista.
      Il mio impegno rimarrà sempre quello di superare gli steccati e favorire il dialogo interno.
      Nel suo ruolo di iniziatore di questa dolorosa polemica, la prego di far smorzare i toni contro di me. Perché non ci vediamo e ci parliamo?
      Cordialmente,
      Sergio Di Veroli

      1. Parlare con un saccente come lei è tempo perso. Sarei io che ho iniziato questa polemica ??? Penoso non sa cosa dice. Non si affretti a rispondere la chiudo qui da ex violento, ha solo.creato dei danni a persone inconsapevoli che stimo

  6. Bravissimo Alberto!!!!!! basta faziosità storica! io quegli anni non ,i ho vissuti e li ho sempre sentiti raccontare: la tua versione corrisponde, la sua proprio no

  7. Grazie Elio, su Riflessi di pochi mesi fa scrissi 2 articoli in proposito. E un’altro per la mancata visita della Meloni per il 16/10 Non si fanno sconti a nessuno
    Si trovano su Riflessi.

  8. Caro Sergio, io ho una visione diversa dalla tua . Come” intellettuale”, come dici tu, già professore ordinario all’Universita’, ho progredito nella comprensione di molte cose con l’apporto fattivo e” pensante”della piazza,termine dispregiativo che non accetto.Loro hanno insegnato a me molto di più di quanto ho insegnato loro e spero proprio che “ tengano duro “ su alcune posizioni intransigenti, rabbinato compreso.Con affetto Gianni

  9. Concordo in toto con alberto di consiglio , certo alcuni di noi nn avevano il livello culturale di cui si sente depositario il sig di veroli ma nonostante ciò abbiamo partecipato alla vita comunitaria senza tirarci indietro e molte notti tranquille del sig di veroli si sono basate sull’impegno di tanti che sacrificavano il loro tempo al servizio della comunità,
    Forse se avesse approfondito la conoscenza di quel gruppo di PIAZZA vi avrebbe trovato persone che nulla avevano da invidiare a quell’elite di cui si sente parte .
    Ps , credo che anche lei avrà una spalla più bassa , memore di quando nn esistevano tante differenze tra gli ebrei del ghetto

  10. Penso che questa intervista passerà alla storia, da tanto tempo non vedevo un livello cosi’ basso; avrei molto da dire e da scrivere…. ma per fortuna il razzismo espresso in queste brutte righe non appartiene ai nostri ragazzi, i nostri figli sono una comunita’ siano se frequentano le universita’ sia quando difendono le ragioni di Israele e degli ebrei per strada, io figlio di un professore universitario sono orgoglioso di essere sempre stato vicino agli ”energumeni di piazza” che mi hanno insegnato ad essere ebreo a testa alta senza se e senza ma

  11. Non uso fb, ma ho la possibilità di leggere i commenti a quanto scritto dal Di Veroli e credo di avergli risposto a modo anche in maniera decisa. Quello che trovo inacettabile è sfruttare l’occasione per denigrare ed offendere Moked/Pagine Ebraiche e quindi l’Ucei cosa che iniziò dalla presidenza di Renzo Gattegna, che a suo tempo invitai a querelare chi lo stava insultanto , lui da vero signore mi disse che non lo avrebbe fatto. Chi lo ha scritto avrà modo di leggere questo mio commento. E mi chiedo che differenza passi tra il Di Vetroli e i diffamatori da tastiera. specie se hanno (ora) ruoli nella Cer. Nulla, stessa pasta

  12. Caro Sergio, credo che questo tuo scritto sia infelice sotto tutti i punti di vista. Oltre alla tua personalissima ricostruzione sui fatti del Kadima che crea ulteriori spaccature, trovo penosa anche la tua analisi sulle conversioni che di fatto è una apertura all’ebraismo riformato. Ma non solo! Ripercorri una serie di iniziative citando una serie di inesattezze che difficilmente si riescono a mettere insieme. Forse dovresti andarti a rileggere i verbali di consiglio, che sono pubblici, dalla fine degli anni ‘70 in poi….avrai sicuramente delle sorprese rispetto a quello che hai scritto. Tornando alla storia di quelli che te in tono dispregiativo e semplicistico definisci “energumeni” con il compianto Renzo Gattegna hanno avuto sempre in rapporto di stima reciproca e di collaborazione come ha ben ricordato Alberto Di Consiglio. Permettimi una caduta di stile. Quelli della tua cerchia intellettuale che nel dopoguerra hanno gestito la comunità di Roma, salvo pochissime eccezioni, avranno avuto lauree e professioni, ma nessuna conoscenza della Cultura ebraica con la c maiuscola. La vostra cosidetta cultura ebraica si limitava a qualche tradizione tramandata blandamente e ad una parziale conoscenza storica. Tant’è che le varie dirigenze ebraicamente sono state lontane anni luce dal resto dell’ebraismo mondiale con i risultati che stiamo vedendo e che non possono essere imputati a quella che tu definisci “rigidità degli attuali rabbini israeliani” ignorando che certe norme risalgono a testi scritti da secoli anche da rabbini italiani di cui si ignora l’esistenza e che certe regole sono per l’ebraismo ortodosso universali. Forse l’unica cosa buona che questa tua infelice intervista potrà produrre è un dibattito sull’ebraismo romano e italiano degli ultimi settanta anni. Anche noi dovremmo fare i conti con la nostra storia.

  13. Io nn inizio con un “Caro Sergio” perché nn mi riesce a considerarti “caro” dopo tutte le falsità e castronerie che sei riuscito a inanellare in questa intervista. Forse, vista la tua elevata posizione culturale e professionale, nn hai mai avuto modo di vedere chi, ad un presunto livello più basso rispetto al tuo, ha sempre lavorato per il bene e per la difesa della nostra Comunità. Personalmente nn ti ho mai visto fare un turno di servizio di sorveglianza alla scuola o al Tempio come tanti altri energumeni ( me compreso, energumeno intendo ). Disprezzare, come hai fatto tu, persone che hanno sacrificato le loro famiglie e il loro lavoro mettendo a rischio anche la propria incolumità ( faccio nomi…Baffone, Cesare Cavallo, Pucci z.l. e innumerevoli altri ) chiamandoli energumeni cancella completamente quanto di buono puoi aver fatto in ambito comunitario. Inoltre ritengo che la tua critica nei confronti dell’attuale Rabbinato ha reso ancora più imbarazzante il tuo intervento. Sottosrivo quanto hanno scritto tutti gli altri e aggiungo che mi aspetto le tue pubbliche scuse nei confronti dì chi hai offeso in modo così maldestro.

  14. I fatti del Kadima sono totalmente esecrabili! Così l’aggressione e così pure le indegne locandine che l’hanno provocata. Ma io voglio soffermarmi su un altro aspetto di quei fatti, premettendo che non conosco personalmente Sergio Di Veroli. Questa Comunità, la nostra Comunità, ha patito le pene dell’inferno, coi fascisti prima, i nazisti poi, poi di nuovo i fascisti ed infine con i terroristi palestinesi e ora di nuovo con uno srisciante antisemitismo. E’ chiaro che tutto questo abbia influito ed influisca ad indurire e ad esasperare gli animi e che porti poi, come ha scritto qualcuno, a non “far sconti a nessuno”. Purtroppo però, questo atteggiamento è entrato a far parte oramai nel modo di fare di tanti componenti la nostra Comunità, un atteggiamento che sempre più spesso respinge il dialogo con prepotenza e non accetta il confronto anche sui più banali argomenti, soprattutto quando nel dialogante si riconosce una persona con un’altra idea politica. Tutto ciò, mentre i nemici, quelli veri, sono fuori dalla porta… Senza la tolleranza, il dialogo ed il confronto tra noi, la faglia invisibile che già divide da una parte e dall’altra questa Comunità, diverrà una voragine incolmabile. I post che ho letto qui sopra nei confronti di un anziano signore, reo di aver apostrofato malamente dei personaggi che certamente non si sono fatti onore per scempio che hanno fatto in un circolo ebraico , ne sono un esempio. Perchè ancora una volta la violenza ha prevaricato sul dialogo ed il confronto! In nessuno di questi post è presente una parola di plauso alle tante e ammirevoli iniziative di Sergio Di Veroli, fatte a suo tempo per la nostra Keillà. La parola energumeni, ha prevaricato prepotentemente su tutto. Riflettiamo!

    1. Caro Ariel ti invito a leggerti Shalom Dicembre 1974 che publicò il comunicato della Cer riguardo i fatti del Kadima. Fu un atto di accusa totale nei confronti di chi “,aveva portato all’interno della comunità ideologie che mettono in discussione l’esistenza stessa dello stato di Israele, istigano alla violenza….sono divisorie…..persone che vanno allontanate.. ” E molto altro. Il capo Rabbino era un certo Rav Toaff …. Il Centro di Cultura ha tutti i numeri di Shalom compreso questo, puoi farteli inviare da mia moglie Miriam Haiun che ne è la direttrice. Aver tirato fuori un episodio di 48 anni fa apostrofando in malo modo mezza comunità non mi è sembrata una buona idea.
      Senza considerare il contesto storico di quel periodo, anni di piombo e guerra civile a bassa intensità come veniva definita dove “gli energumeni” erano coinvolti ogni giorno per garantire la sicurezza delle istituzioni e cercare di arginare le provocazioni dei fascisti ed estrema sinistra. Come vedi ad energumeni non ho aggiunto di piazza in quanto quel movimento unì gran parte degli stradi sociali della cominità. Direi di non continuare con queste polemiche e metterci una pietra sopra.
      Meglio per tutti meglio per Menorah che come ben sanno alcuni cari amici della lista abbiamo votato con convimzione. Ora inizio a farmi delle domande

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