Israele alla prova della guerra
Una nuova inattesa piega degli eventi che potrebbe alla fine gettare una luce diversa sulla gestione israeliana della crisi ucraina.
L’invasione russa dell’Ucraina ha posto a Israele un dilemma tanto spinoso quanto inatteso, che il governo ha gestito attraverso una equidistanza di basso profilo da Ucraina e Russia, che ha sorpreso e in parte deluso sia gli addetti ai lavori che l’opinione pubblica dentro e fuori il paese.
La mancata sponsorship della condanna della Russia nel Consiglio di Sicurezza, come richiesto con forza dagli Stati Uniti, la minima applicazione di sanzioni contro il regime di Mosca, i comunicati sfuggenti con espressioni di sostegno all’Ucraina ma senza chiare condanne del regime del nuovo Zar, hanno formato una politica che molti non si aspettavano dal Governo di Naftali Bennet.
Le ragioni interne e internazionali di questa spinosa prudenza non mancano.
La presenza di più di un milione di Ebrei russi e mezzo milione di ebrei ucraini, in Israele, e centinaia di migliaia di ebrei ancora nei paesi dell’ex Unione Sovietica non hanno reso semplice prendere una posizione netta, e più che sulle dichiarazioni il governo di Gerusalemme sembra essersi concentrato nel portare in Israele gli ebrei ucraini fuggiti dalla guerra.
Ma ben più importanti appaiono le considerazioni geopolitiche e strategiche, prime fra tutte quelle relative al fronte settentrionale, alla luce dell’incertezza sui negoziati nucleari con l’Iran, e delle operazioni militari nel teatro siriano e libanese. L’intervento russo in Siria ha cambiato drasticamente lo scacchiere locale, con una crescente insofferenza russa ai raid dell’aviazione israeliana contro obiettivi iraniani e Hezbollah in territorio siriano volti ad impedire il passaggio di armi iraniane verso il Libano.
L’ultimo bombardamento sul porto di Latakia ha fatto irrigidire non poco la Russia, che ha aumentato le difese nella zona. Un primo preoccupante segnale per gli strateghi israeliani.
Un ulteriore forte irrigidimento russo verso questi raid, probabile reazione ad una condanna da parte di Israele dell’attacco all’Ucraina, è probabile motivo di preoccupazione per Gerusalemme, che si troverebbe di fronte al dilemma se rischiare contatti diretti con l’aviazione russa, o ridurre i suoi interventi per frenare il traffico di armi verso Hezbollah.
Ma le ragioni più o meno valide della politica israeliana verso la crisi ucraina non hanno fermato le crescenti critiche verso Gerusalemme in arrivo sia dagli alleati tradizionali, primo fra tutti gli irritatissimi Stati Uniti, un rischio non da poco per Israele, sia quelle più o meno pubbliche del mondo ebraico, inorridito dall’invasione e colpito dalle parole del Presidente ucraino ebreo Zelensky che “il silenzio ha portato al nazismo”.
Queste critiche crescenti hanno contribuito a far correggere il tiro a Israele, come mostra l’ adesione alla condanna dell’attacco russo da parte dell’assemblea generale dell’Onu, e le dichiarazioni più ferme sul diritto dell’Ucraina alla sovranità e alla pace, e contro la guerra.
Ma la politica del Governo Bennet ha avuto anche un importante e sorprendente risvolto positivo, permettendo al Primo Ministro di giocare un ruolo unico come mediatore che può parlare a tutte le parti del conflitto, e ancora più importante, con il suo viaggio a Mosca, dialogare a quattr’occhi con l’ormai inaccessibile Putin.
Leggi anche:
le bombe vicino alla tomba del Rebbe di Breslav