Cittadinanza italiana per gli ebrei libici, anche se hanno già acquisito quella israeliana
Due recenti sentenze del Tribunale di Roma ribadiscono che la “Legge del ritorno” israeliana non è d’ostacolo per ottenere anche la cittadinanza italiana
Due recenti sentenze del Tribunale di Roma, del 9.11.2020 e del 29.12.2020, si inseriscono nel solco tracciato dalla corrente maggioritaria della Sezione specializzata della Cassazione e ribadiscono il principio giuridico per il quale, con l’entrata in vigore della Costituzione italiana, la originaria cittadinanza italo-libica, ossia la “piccola cittadinanza italiana”, così chiamata in quanto alcuni diritti non erano riconosciuti ai loro possessori, di fatto veniva convertita in cittadinanza italiana “optimo iure” (a tutti gli effetti, cioè piena).
Il Tribunale, in entrambi i casi, ha affrontato la situazione di due diverse persone che rivendicavano il diritto alla cittadinanza italiana, negata loro dagli Uffici consolari dell’Ambasciata italiana in Israele, per essere discendenti diretti di persone nate nella regione, all’epoca chiamata Tripolitania, oggi parte dello stato libico.
Il diritto nasce dal decreto legge n. 931 dell’1.06.1919 che testualmente recita:” in Tripolitania sono considerati cittadini italiani a norma delle disposizioni contenute nel presente decreto i nati nella Tripolitania alla data del presente decreto, dovunque residenti, che non godono già dell’effettiva qualità di cittadini italiani metropolitani, ovvero di cittadini o sudditi stranieri, conformemente alle leggi italiane”.
Successivamente la legislazione italiana dell’epoca fascista (R.D. n. 70 del 1939) ha negato tale diritto agli ebrei libici e lo ha riconosciuto solo ai libici musulmani. Dopo la seconda guerra mondiale, tale legislazione venne abrogata e, con l’entrata in vigore della Costituzione, la disparità tra le due cittadinanze fu annullata. Il Tribunale ha chiarito anche che l’acquisizione medio tempore della cittadinanza israeliana non è d’ostacolo al riconoscimento di quella italiana, in quanto quest’ultima si perde solamente con la rinuncia formale, cosa che non risulta essere stata formalizzata nei casi esaminati.
E’ importante che il Tribunale abbia riconosciuto che l’applicazione della legge israeliana sul ritorno, anche se ha comportato l’acquisto della cittadinanza israeliana in via automatica, non significa che da ciò si possano trarre elementi di rinuncia esplicita e spontanea alla cittadinanza italiana.
In sostanza il Tribunale si è uniformato all’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “l’acquisto della cittadinanza straniera, pur se accompagnato dal trasferimento all’estero della residenza, non implica necessariamente la perdita della cittadinanza italiana, la quale richiede, ai sensi dell’art. 8 della legge 555/1912, che detto acquisto sia avvenuto spontaneamente, ovvero se verificatosi “senza concorso di volontà” dell’interessato, che sia stato seguito da una dichiarazione di rinunzia alla cittadinanza italiana, così come prescritto dall’art. 8 n.2 della citata legge 555/1912. Pertanto, il sopravvenuto acquisto della cittadinanza straniera non può essere di per se invocato, anche al fine della giurisdizione, come causa della perdita della cittadinanza italiana, occorrendo l’allegazione e dimostrazione delle indicate circostanze” (Cass., sezioni unite, sentenza n. 5250/1979).
Il principio stabilito dal Tribunale di Roma è, fortunatamente, quello prevalente, ma ancora non sono rari i casi in cui altri Giudici, del medesimo Tribunale, abbiano espresso parere contrario e sia dovuta intervenire la Corte d’Appello per ripristinare la legalità.