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Appuntamento a Gerusalemme

Per circa quindici anni  “Appuntamento a Gerusalemme” ha portato centinaia di politici, imprenditori e giornalisti in Israele. Ricordiamo quell’esperienza con la presidente della Fondazione, Anita Friedman.  

Anita, ci racconti come è nato il progetto “Appuntamento a Gerusalemme”?

Il progetto è nato nel 2001, e le cause, a ripensarci, sono state due. Quell’estate c’era stata la Conferenza di Durban contro il razzismo. Ricordo che i lavori si conclusero con una dichiarazione che implicitamente condannava Israele, lasciando intendere praticasse l’apartheid. Subito dopo, qui in Italia, ci fu una reazione straordinaria a tanta falsità, con l’organizzazione dell’Israele day. Fu qualcosa di incredibile, con la presenza di oltre 15.000 persone. Tra gli organizzatori c’era anche “Il foglio”, dove collaboravo. Anna Borioni ebbe l’idea di organizzare l’incontro, vedendo anche le reazioni dell’opinione pubblica alla seconda intifada, e così ci lanciammo.

E poi nacque l’associazione.

Sì, l’associazione nasce proprio nel 2001. Ci mettemmo in testa – Anna, Dora Anticoli Adriana Martinelli ed io, che venni nominata presidente –, di organizzare un viaggio in Israele che permettesse di far conoscere davvero la realtà del Paese, e che smontasse i tanti pregiudizi esistenti. In breve, nacque l’Associazione “Appuntamento a Gerusalemme”, del tutto apolitica. Il primo viaggio lo tenemmo nel settembre 2002.

Come era organizzato il viaggio?

Durava circa 4 giorni, in cui, grazie alla collaborazione anche delle ambasciate dei due paesi, si visitavano alcune istituzioni, come la Knesset, alcune infrastrutture ad alta tecnologia e anche delle basi militari. Abbiamo avuto l’occasione di incontrare parlamentari e rappresentanti del governo, nonché due capi di Stato: Peres e Katzav. E poi si faceva un giro per il paese, per far comprendere davvero la realtà israeliana.

Come vi finanziavate?

L’ambasciatore Luigi Mattiolo

Qualche piccolo sponsor lo abbiamo anche trovato, ma ci siamo sempre basati sull’autofinanziamento. Ci tengo anche a sottolineare che l’Associazione non ha mai né coperto le spese di viaggio degli ospiti né quelle degli organizzatori: ci siamo sempre pagati tutto da soli. La comunità ebraica di Roma, per esempio, non ci ha mai finanziato, mentre le ambasciate italiana e israeliana, nel complesso, ci fornivano un importante supporto logistico. Ricordo cene organizzate appositamente per noi dall’ambasciatore Giulio Terzi di Santagata, poi ministro degli esteri, o Luigi Mattiolo, attuale consigliere diplomatico del presidente Draghi.

Chi veniva ai viaggi?

Abbiamo sempre cercato di coinvolgere diversi settori della politica, dell’economia, della cultura e della comunicazione. In tanti anni sono venuti politici di tutti gli schieramenti, giornalisti, imprenditori. In totale furono organizzati dodici viaggi.

Puoi farci qualche nome?

Nel primo viaggio portammo circa 70 persone. In Parlamento nacque l’associazione “Italia Israele”, trasversale, cui aderirono complessivamente circa 200 parlamentari, con cui collaborammo a lungo. Dei parlamentari di allora ricordo, nel centro destra, Fabrizio Cicchitto, e nel centro sinistra Ottaviano Del Turco. E poi Lucio Malan, Antonio Polito, Roberto Maroni, Nicola Della Torre; anche la sorella Alemanno. E ancora: Beppe Calderoli, Gianni Vernetti, Luigi Compagna… ricordo l’imbarazzo di alcuni, che poi tornando dai loro compagni di partito dovevano ammettere che la realtà di Israele era molto diversa da come l’avevano in mente. Tra i giornalisti venne Gianna Fregonara [moglie di Enrico Letta, n.d.r.] e Claudio Pagliara, ora corrispondente Rai negli Stati Uniti.

E oggi?

Il clima è cambiato già nel corso della penultima legislatura, nel 2013, quando per la prima volta sono entrati in Parlamento politici che non avevano né esperienza politica, né soprattutto conoscevano molto i problemi del medio oriente; anzi, in alcuni casi i pregiudizi negativi contro Israele erano palpabili. “Italia Israele”, ad esempio, sotto la gestione della presidenza Boldrini (2013-2018) è stata meno presente. Ad ogni modo,  anche in quella fase organizzammo un viaggio; però, a essere sinceri, il fatto che alcuni parlamentari preferirono non entrare al Yad Vashem fu un altro chiaro segnale. E così nel 2019 abbiamo deciso di prenderci una pausa, fino a che poi è arrivato il Covid.

Particolare del Yad Va Shem

Qual è il tuo bilancio di quegli anni?

Certamente positivo. Dopo il primo viaggio capimmo che quello che avevamo fatto andava replicato, e così è successo, con cadenza quasi annuale. Naturalmente, ci siamo sempre preparati al meglio, ad esempio con un convegno organizzato poco prima del viaggio, che spiegasse cosa si sarebbe andati a vedere, e chi si sarebbe incontrato. Una volta, ricordo, parteciparono anche alcuni dissidenti politici provenienti da paesi arabi. In totale “Appuntamento a Gerusalemme” ha portato in Israele centinaia di persone. In generale, io credo che ci sia sempre molto bisogno di spiegare la realtà di Israele, perché i pregiudizi, frutto spesso di ignoranza, sono ancora molti.

2 risposte

  1. Non conoscevo i dettagli di quest’iniziativa meritoria. Complimenti alle organizzatrici!
    Bello essere informati su questi temi

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