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Troppe ambiguità e pregiudizi nel giudicare Israele

Marcello Flores, storico dei genocidi, ci aiuta a fare chiarezza tra accuse infondate e rischi di violazioni del diritto internazionale nella guerra a Gaza

Professor Flores, i fatti del 7 ottobre sono stati paragonati da molti ai pogrom del secolo scorso nell’Europa dell’est; alcuni hanno invece chiamato in causa la Shoah. A suo giudizio il paragone è sostenibile?

Marcello Flores è storico specializzato in genocidi e storia del XX secolo

Cominciamo con la Shoah. Io credo che il 7 ottobre non abbia nulla a che fare con essa. Chiunque conosca la dimensione della Shoah, ma anche le dinamiche che la produssero, non può vedere alcun punto di contatto fra quel che accadde allora e i fatti di quattro mesi fa. Certo, il 7 ottobre abbiamo assistito al massacro più grave dal 1945 nei confronti di ebrei, ma questo non autorizza a considerare questi fatti legati a quelli della seconda guerra mondiale. Per quanto riguarda invece l’uso del termine pogrom, oggi purtroppo questa è una parola che viene utilizzata in maniera piuttosto generica, per indicare qualsiasi massacro. In termini storici, al contrario, pogrom identifica quei fatti avvenuti in una certa parte dell’Europa dell’est tra fine 800 e inizio 900, commessi a danno di popolazioni ebraiche, che avevano come caratteristica di essere una forma di violenza locale e spontanea, a volte tollerata dalle forze dell’ordine, in reazione a situazioni di mutamenti demografici o per altre cause scatenanti, come ad esempio il desiderio di vendetta nei confronti degli ebrei per accuse loro mosse. In altre parole, mi sembra che il 7 ottobre si differenzi dai pogrom storicamente studiati in quanto si è trattato di una violenza preordinata, programmata e ben organizzata, finalizzata alla realizzazione di un massacro.

il 7 ottobre Hamas ha ucciso oltre 1200 israeliani e commesso innumerevoli violenze sessuali

All’estremo opposto, c’è chi ha minimizzato le violenze di Hamas. Mi hanno colpito in particolare le affermazioni, lette alcune settimane fa, da parte di una giornalista-influencer, secondo cui gli stupri sistematici nei confronti delle donne israeliane rientrerebbero nelle “normali” azioni di guerra. È un giudizio fondato?

Lo stupro di massa nei confronti delle donne ha purtroppo una storia millenaria. Cominciamo però col dire che non è vero che in tutte le guerre ci sono degli stupri. È vero invece che essi, ricorrenti nel passato, sono stati a lungo sottovalutati e mai considerati dei crimini, fino a quando, circa trent’anni fa, sull’onda dei fatti registrati in Bosnia e in Ruanda, alcune Corti internazionali appositamente istituite, e la Corte penale internazionale, hanno considerato per la prima volta la violenza sessuale nei confronti delle donne un crimine di guerra e contro l’umanità; in alcuni casi arrivando a equipararlo a un genocidio. Questo mutamento ha modificato il modo di affrontare i casi di stupro, direi anche grazie alle battaglie femministe iniziate fin dagli anni ’70. Detto questo, ritenere “naturale” quello che è avvenuto il 7 ottobre nei confronti delle donne israeliane, soprattutto dopo che abbiamo conosciuto i dettagli riferiti dai testimoni e dalle stesse vittime, è una minimizzazione che non ha alcuna giustificazione, se non quella di salvaguardare Hamas da un giudizio ancora più grave, sul piano morale e giuridico, per quanto commesso.

attualmente sono circa 130 gli ostaggi ancora in mano ad Hamas e alle altre organizzazioni terroristiche che operano a Gaza

All’attacco di Hamas, ancora prima della reazione di Israele, sono seguiti in tutto il mondo diffuse proteste contro lo Stato ebraico. Nelle università, anche italiane, si sono avute in particolare manifestazioni estremamente ostili, inneggianti al boicottaggio. Questo antisionismo, che sembra emergere soprattutto nelle nuove generazioni, ha dei tratti di novità, o rispecchia contestazioni e slogan conosciuti anche in passato?

Questo è difficile dirlo. Personalmente ho poi una conoscenza ormai abbastanza indiretta della università. Ad ogni modo, le reazioni che ho visto nelle scuole in cui sono andato nelle scorse settimane mi hanno fatto pensare che non ci sia sostanzialmente un atteggiamento nuovo. Credo però che si possa dire che assistiamo a una sorta di permissività nei confronti dell’antisemitismo, soprattutto quando viene giustificato come forma di antisionismo. Del resto, vorrei ricordare che nelle università anglo americane il fenomeno è ancora più grave di quel che è stato registrato da noi. Credo che da parte di costoro si sia piuttosto voluto rimarcare la colpa storica attribuita a Israele nei confronti dei palestinesi, visti come una popolazione oppressa e la cui condizione di vita è stata aggravata dall’implementazione delle colonie in Cisgiordania. È stata questa lettura del conflitto che ha portato molti a ridurre le responsabilità di Hamas per i fatti del 7 ottobre.

in molte università italiane si sono svolte occupazioni e proteste contro Israele

Tra i sostenitori del boicottaggio ci sono molti accademici. Non ritiene grave che gli insegnanti si esprimano in modo così ostile nei confronti di un’università?

Mi permetta di precisare che nel mondo accademico la stupidità non è una rarità e che anzi rispecchia quella che si registra normalmente nel resto della società. Il fatto stesso di chiedere il boicottaggio di una università, da parte di lavora in un ente che per sua definizione fa opera di ricerca, studio e collaborazione con ogni altra università, vuol dire che assistiamo ad una superfetazione ideologica che ormai prende spesso il sopravvento sul buon senso. Inoltre, credo che tra i firmatari cui lei faceva riferimento gli storici non ci siano, perché ciò sarebbe ancora più grave, e costituirebbe una manipolazione vera e propria. La presenza di altri tipi di insegnanti (economisti, sociologi, fisici o chimici, ad esempio), si spiega, come le ho detto, con quel giudizio di superficialità che purtroppo attraversa l’intera società italiana.

La Corte internazionale di giustizia
La Corte internazionale di giustizia

Israele attualmente è sotto giudizio della Corte internazionale di giustizia, con l’accusa di genocidio. La Corte, nella sua ordinanza cautelare del 26 gennaio, si è dichiarata competente a giudicare il merito delle accuse, e nel frattempo ha prescritto alcune condotte Israele, pur senza ordinare il cessate il fuoco. A suo giudizio l’accusa del Sudafrica è fondata?

Personalmente la ritengo assolutamente non fondata. Il genocidio, come risulta dalla lettura delle sentenze che in questi anni sono stati pronunciate da alcune Corti internazionali, si caratterizza per l’intenzione di distruggere un gruppo nazionale, etnico o religioso in quanto tale, vale a dire senza motivazione, se non quella di farlo scomparire dalla faccia della terra: mi sembra che nel caso della risposta militare di Israele gli estremi del genocidio non ci siano. Questo tuttavia non significa, come mostra la reazione internazionale anche da parte degli alleati più stretti dello Stato ebraico, che non si siano registrati in queste settimane fatti qualificabili come crimini di guerra e anche come crimini contro l’umanità. Il coinvolgimento dei civili nell’azione militare israeliana è infatti costante, il trasferimento forzato verso la parte meridionale di Gaza è avvenuto in termini immediati e brutali. Ripeto, sicuramente non assistiamo a un genocidio, anche perché le cifre sarebbero enormemente superiori se Israele l’avesse voluto commettere.

Israele è entrata a Gaza da circa quattro mesi. (AP Photo/Moti Milrod, Haaretz, File)

E per quanto riguarda la pronuncia della Corte dell’Aja?

La Corte internazionale di giustizia, non avendo chiesto la ritirata delle truppe – come ad esempio aveva fatto nel caso della Russia, quando era stata questa ad accusare l’Ucraina di genocidio per le azioni svolte nel Dombass – lascia intendere che la reazione militare israeliana possa considerarsi legittima. Tuttavia, la Corte ha anche ammesso sull’avviso Israele che la reazione non può sfociare in modalità contrarie al diritto internazionale e che dunque la risposta deve essere controllata per evitare che possa produrre dimensioni e modalità genocidarie. Ritengo tuttavia che sarà difficile provare nel merito tale intento. Quello che però mi sembra sfugga alla discussione è un altro aspetto.

Quale?

miliziani in Darfur

Gli accusatori di Israele insistono sul genocidio, perché lo considerano, rispetto l’opinione pubblica, un’accusa grave, quasi che quella per crimini di guerra e contro l’umanità lo sia molto meno. In altre parole, l’eccesso propagandistico degli avversari di Israele li spinge a parlare di genocidio e, in tal modo, si tende anche a minimizzare la Shoah: accusare di genocidio lo Stato nato anche per effetto di quello che avevano subito gli ebrei durante la guerra mira infatti anche a tale effetto. Al contrario, se si tenessero in debita considerazione le singole parole, si comprenderebbe che anche l’accusa di crimini contro l’umanità è molto grave. Quando ci furono i massacri in Darfur, ad esempio, il Sudan venne accusato di genocidio e le Nazioni Unite istituirono un’apposita commissione, guidata da Antonio Cassese, il giurista italiano precocemente scomparso. La commissione ritenne che non si fosse verificato un genocidio, e che tuttavia si fossero realizzati crimini contro l’umanità. Ciò portò la comunità internazionale a un forte intervento affinché si interrompesse il compimento di quei crimini. Oggi, al contrario, puntando tutto sull’accusa di genocidio, si rischia a mio avviso di sottovalutare il pericolo che si stiano commettendo altre violazioni gravi del diritto internazionale.

Antonio Cassese

Un’altra accusa che ciclicamente riguarda Israele è quello di praticare l’apartheid contro i palestinesi.

Da un punto di vista storico certamente in Israele non c’è apartheid. Con questo termine infatti si intende un regime applicato in Sudafrica basato su una discriminazione e divisione totale basata sulle etnie. In Sudafrica, lo ricordo, ogni aspetto della vita quotidiana era organizzato in maniera tale da separare il gruppo dei bianchi dal resto della popolazione. In Israele, al contrario, nessun palestinese, ad esempio, è curato in ospedali separati da quelli in cui si recano anche i cittadini israeliani. Certo, è vero che le Nazioni Unite anni fa diedero una definizione molto ampia e generica di apartheid, che oggi forse potrebbe essere usata contro Israele. Tuttavia, per quanto a tratti oppressivo sia il comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi, non sussistono certo gli estremi dell’apartheid.

un ospedale israeliano

Tutti i dati sull’antisemitismo registrano un aumento dopo il 7 ottobre. Cosa è stato sbagliato nel modo di ricordare e studiare la Shoah da quando è stato istituito il giorno della memoria, ormai 24 anni fa?

Io penso che il Giorno della memoria rischia di essere abbastanza inefficace, o addirittura controproducente, perché comporta il pericolo di ridurre a un momento unico e celebrativo una riflessione che invece dovrebbe essere continua e approfondita. Ricordo che il Giorno della memoria è stato istituito in Italia nel 2000, cioè prima di quanto abbia poi fatto l’Unione europea e le stesse Nazioni Unite, con lo scopo di approfondire una riflessione critica sulla memoria della Shoah e la consapevolezza della frattura profonda che essa aveva realizzato nel cuore dell’Europa, perché prodotto da uno dei suoi Stati più importanti e avanzati. A fronte di tali obiettivo, spesso la retorica celebrativa e formale ha preso il sopravvento, anche se per fortuna non sempre. L’esempio dei viaggi della memoria, che hanno consentito a migliaia di scuole di visitare Auschwitz, quando svolti in modo preparato e approfondito, hanno certamente contribuito alla crescita di consapevolezza nei confronti delle future generazioni. Il problema è che non si riesce a diffondere tale consapevolezza nel resto della società. Purtroppo, la confusione che ancora registriamo fra una legittima critica allo Stato di Israele con ogni forma di antisionismo e antisemitismo, genera una serie di confusione. Confusione aumentata dal fatto che oggi assistiamo a forme di antisemitismo mascherate da antisionismo: penso ad esempio alle accuse alle lobby e a singole figure, come George Soros.

un viaggio della memoria di studenti

Sulla guerra in corso anche la politica si è divisa. La destra italiana, che ancora rifiuta di condannare l’intera parabola del fascismo, limitandosi al tratto successivo al 1938, tuttavia è schierata a sostegno dello Stato ebraico. A sinistra, che si dichiara invece difensore della Costituzione antifascista, si sentono molti distinguo nei confronti di Israele, causati dalla lacerazione e divisioni lunghe quasi mezzo secolo. Come giudica il rapporto tra i partiti italiani e Israele, oggi?

martedì è stata approvata una risoluzione PD, con i voti della maggioranza, che chiede il cessate il fuoco umanitario a Gaza

Certamente anche nel mondo della politica sussistono molte ambiguità. Penso ad esempio al fatto che verso Israele si faccia molta difficoltà a distinguere il giudizio sul governo in carica da quello sull’intero paese. Sfruttando tale ambiguità, ad esempio, la critica a Israele di oggi viene fatta risalire spesso al 1947. Ci si dimentica così che, quando le Nazioni Unite proposero un piano per la nascita di due Stati, gli ebrei accettarono il piano e fecero nascere lo Stato ebraico, mentre i paesi arabi no, col risultato di un conflitto che ha impedito la nascita dello Stato palestinese, e che ha consentito tra l’altro agli Stati arabi circostanti di impadronirsi di parte del territorio che sarebbe spettato ai palestinesi.

uno dei libri più recenti del prof. Flores (il genocidio. Il mulino 2021)

In generale, direi che oggi il dibattito politico è sviluppato senza una conoscenza storica delle varie tappe della storia dello Stato ebraico. Si guarda all’oggi senza conoscere la guerra dei sei giorni, la guerra del kippur, la fine dell’egemonia laburista, la nascita del Likud, l’affermarsi da ultimo di forze nazionaliste e religiose. Tutto questo dovrebbe spingere a una maggiore attenzione e cautela. Invece assistiamo a un totale appiattimento e a un’assenza di analisi da parte delle forze politiche.

Leggi gli altri articoli sulla guerra tra Israele e Hamas

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