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Introducendo delle buone pratiche e stando nei processi in cui si formano le idee, nei campus e nelle università, partecipando al dibattito per la ricerca di una composizione politica dei conflitti che lacerano la regione, sviluppando il dialogo e la cooperazione fra le due sponde del Mediterraneo contro ogni forma di boicottaggio. A tal fine, fin dal 2003, assieme ad Amos Luzzatto, ho costituito Il Comitato accademico europeo per la lotta all’antisemitismo e la cooperazione nel mediterraneo. Abbiamo così ottenuti molti risultati, impedendo il boicottaggio degli accademici e delle istituzioni universitarie israeliane e contribuendo a implementare la cooperazione accademica e la circolazione degli studiosi fra le due sponde del Mediterraneo. Un esempio concreto di buone pratiche che si è affermato a Roma Tre, dove ho promosso e diretto dal 2005 il primo Master in Europa per la formazione e la ricerca sulla Shoah, è stato il divieto di utilizzo del logo di Ateneo per iniziative collegate ad attività ispirate al boicottaggio.  Altri esempi sono stati i seminari che hanno coinvolto diversi Atenei italiani (tra cui quello di Torino).

E il terzo progetto cui ti sei dedicato?

Enzo Bonaventura (1891-1948)

Siamo riusciti a ricostruire la vicenda della persecuzione dei docenti ebrei nel 1938. Nel 2018 si è realizzata la mappatura totale di quello che è successo nelle università; gli atti sono ancora da pubblicare, ma su Trauman memory, da me diretta, sono apparsi diversi saggi. Da qui si deve partire per estendere la ricerca sulla mappatura degli studenti. In questo contesto va ricordato il convegno autofinanziato sulla figura di Enzo Bonaventura a Firenze, Roma e Tel Aviv. Bonaventura trovò rifugio a Gerusalemme dove gettò le basi del Dipartimento di psicologia delle Hebrew University. Una figura tragica e luminosa, assassinato nell’aprile del 1948 insieme a una settantina di persone nel convoglio dell’Hadassah. Il Comune e l’Università di Firenze da me contattati hanno accolto la proposta di dedicare alla sua memoria il giardino di Via Capponi.

Infine, c’è l’ultimo progetto. Di che si tratta?

È lo studio, la riscoperta e la valorizzazione della Hazanut. Anche in questo caso, per la verità, ho svolto la mia attività al di fuori dei canali ufficiali dell’Ucei. Sono grato al rabbinato di Roma e di Milano per l’aiuto, che ha portato tra l’altro a un convegno sulla Tefillah, tenuto a Parma e Bologna (realizzato all’interno delle attività culturali dell’Ucei con la collaborazione di Rav Della Rocca, Rav Gadi Piperno e il Maestro Moretti, Presidente della Comunità di Parma). Il progetto hazanuth è portato avanti insieme a Enrico Fink e Rav Yoseph Levi.

Vista la tua grande esperienza, che giudizio dai sull’ebraismo italiano?

rav Joseph Levi

Per evitare il declino, l’ebraismo italiano ha bisogno di idee nuove, di iniziative che ne valorizzino il patrimonio culturale, artistico e religioso come strumento di vita e di rinascita.

Cosa intendi?

Il calo demografico è stato compensato negli anni cinquanta e sessanta dall’arrivo dei profughi ebrei dall’Europa centro orientale, dal mondo arabo e dopo la guerra del 1967 dagli ebrei di Libia. Una buona parte degli ebrei italiani sono figli di profughi (se non loro stessi) fuggiti dai Paesi arabi e degli ebrei di origine persiana che hanno contribuito al rinnovamento e allo sviluppo delle rispettive Comunità di adozione.  Si tratta di un cambiamento profondo che, nella rappresentazione che l’ebraismo italiano ha di sé, non è stato adeguatamente valorizzato nei suoi aspetti simbolici. Nella storia e nella memoria più recente dell’ebraismo italiano accanto al Risorgimento e alla tragedia del nazismo, c’è anche la difficile e affascinante storia di sopravvivenza degli ebrei di Mashad, la storia dei pogrom in Libia, le spogliazioni degli ebrei fuggiti dall’Egitto e dal Mashraq. Quando nel Congresso Ucei del 1998 lanciai l’idea di costituire una Fondazione per la tutela dei beni visibili e invisibili degli Ebrei del Mediterraneo, fui guardato come se fossi un marziano. Gli accordi di Abramo dimostrano che eravamo nel giusto.

Dunque gli ebrei della Libia non come semplici immigrati, ma come ebrei italiani a tutti gli effetti.

Sì. Gli ebrei di Libia erano nell’Unione delle comunità israelitiche fin dal 1911. L’omaggio degli ebrei di Libia di Primo Levi in una splendida pagina di Se questo è un uomo è una grande testimonianza.  Ma non ci sono solo gli ebrei di origine libica. Si pensi alla Tunisia dove c’era una importante colonia di origine livornese o all’Egitto. Per non parlare poi del sionismo di matrice sefardita che ha avuto tra i suoi rappresentanti più importanti la figura di Montefiore.  C’è poi da recuperare la storia più antica, legata alla storia del Meridione.

Ora che è prossimo il rinnovo dell’Ucei, che priorità deve darsi l’ebraismo italiano?

Per rivitalizzare le piccole comunità si potrebbe pensare a delle convenzioni con le grandi realtà americane e israeliane. Attraverso dei programmi condivisi i giovani israeliani e americani interessati alla storia ebraica e dell’arte potrebbero passare uno o due anni nelle piccole comunità contribuendo a farle rivivere. Basterebbero una decina di studenti per comunità per fare la differenza. Nel caso della Comunità di Firenze si potrebbe implementare il rapporto con l’Università americana. In questa prospettiva occorrerebbe promuovere dei grandi eventi in cui le singole comunità si specializzino, trasformandosi in poli di attrazione culturale. Pensa a Mantova, Firenze, Padova, Livorno, Ancona e Venezia. Per non parlare delle altre comunità.  In questa prospettiva la polemica che oppone le grandi comunità alle piccole non avrebbe più alcun senso. Se le piccole comunità non esistessero, bisognerebbe inventarle, per il semplice motivo che il vuoto sarebbe occupato da altri, come per esempio è accaduto per il Sud.

Infine, se dovessi pensare a un ideale passaggio di consegne con il prossimo assessore alla cultura, cosa gli diresti?

L’ebraismo italiano ha una storia così ricca che nella tradizione mistica ha trovato una grande accoglienza.  Non per caso la tradizione ebraica italiana era accostata simbolicamente alla Sefirah di Tiferet. Un accostamento non da poco: la Gloria come esito dell’incontro fra la Giustizia e la Misericordia.

 

 

 

Una risposta

  1. Sempre massima stima per le eccezionali brillanti qualità di intelligenza e cultura a 360 gradi di David Meghnagi.
    Una notevole risorsa intellettuale dell’ebraisno nel nostro Paese….!

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