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Prepariamoci a crisi e incertezze

Che tempo stiamo vivendo? E come si evolveranno le relazioni internazionali del prossimo futuro? Ne abbiamo parlato con Alessandro Colombo, esperto di strategie internazionali

Professor Colombo, nel suo ultimo libro (Il governo mondiale dell’emergenza. Dall’apoteosi della sicurezza all’epidemia dell’insicurezza, Raffaello Cortina editore, 2022), lei descrive in particolare l’attuale contesto intenzionale e i possibili scenari futuri. Che tempi sono quelli attuali?

Alessandro Colombo è docente di relazioni internazionali all’università di Milano e consulente per ISPI

A livello più superficiale questa è l’epoca nella quale si sta disgregando completamente quel progetto di nuovo ordine mondiale visto come soluzione alla fine del bipolarismo Occidente/blocco comunista alla fine del Novecento. Era un progetto concepito tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90, che ha contraddistinto le relazioni politiche, sociali, culturali ed economiche, e che è in crisi da almeno 10 anni; il disastro ucraino, da ultimo, lo certifica. Ma poi c’è un livello ancora più profondo della crisi.

Quale?

A un secondo livello possiamo esaminare il ventunesimo secolo da poco iniziato come quello in cui è in discussione la centralità dell’intero Occidente. È la crisi dell’Occidente che ha indebolito l’ordine mondiale in cui vivevamo e che ora apre nuovi scenari, che mettono in discussione le basi della convivenza internazionale. Io credo per questo che il ventunesimo secolo sarà segnato da grandi conflitti di legittimità.

Eppure qualcuno aveva teorizzato che, dopo la fine del comunismo, la storia fosse finita. Lei ritiene che l’epoca che abbiamo davanti sia paragonabile ad altre del passato?

È molto difficile da dirsi. In realtà la mia idea è che stiamo intersecando differenti processi storici, ciascuno dei quali rimanda a precedenti diversi. Da un lato c’è il declino del progetto di un nuovo ordine internazionale, e questo richiama molti esempi, da ultimo quel che è avvenuto nella prima metà del ’900, con la fine prima dell’egemonia britannica e poi di quella europea. Ma poi ci sono questioni più profonde. Al di sotto della superficie della competizione fra Usa e Cina, io scorgo l’indebolimento degli attori tradizionali della scena internazionale, come i paesi europei. C’è qualcosa di più profondo, che mette in discussione l’architettura delle relazioni internazionali, e con essa mette in crisi le norme costitutive della convivenza moderna.

Cosa intende?

In poche parole, vedo oggi in crisi il modello dello Stato come noi lo abbiamo conosciuto, ossia un modello che era servito per ordinare e orientare le società.

Una prospettiva del genere porta immaginare un aumento dell’entropia mondiale?

1989, cade il muro di Berlino: è la fine della guerra fredda e di un’epoca

Viviamo una fase schizofrenica. Da un lato ci troviamo di fronte a grandissime trasformazioni, dall’altro più siamo immersi in questa crisi, più sembriamo volerci affidare a categorie giuridiche, sociali e culturali del passato, quelle che ci sono sempre servite a decifrare il presente. Il risultato è che viviamo dei tempi in cui è forte il sentimento di smarrimento, in cui molti di noi arrancano, perché non riusciamo più a leggere o a comprendere il presente. La crisi riguarda non soltanto le classi dirigenti politiche, ma anche quelle economiche e intellettuali. Solo trent’anni fa, come lei ricordava, c’è stato chi aveva teorizzato la fine della storia, volendo intendere che la fine del comunismo avrebbe fatto prevalere per sempre la democrazia liberale, la quale non avrebbe avuto più alternative. In questa prospettiva, anche la guerra sarebbe diventata un fenomeno marginale, mentre il libero mercato si sarebbe progressivamente espanso, lasciando agli Stati Uniti e in misura minore all’Europa il compito di dettare norme e principi validi per tutti, senza più altri competitori. Il nostro orizzonte mentale è cresciuto in questa illusione.

i paesi aderenti alla Nato in Europa

Dove abbiamo sbagliato?

Da un lato credo che ci fossero processi storici oggettivi, che quindi neppure potevano essere corretti. Pensi al Novecento, alla fine della centralità europea, alla sempre minore capacità dell’Occidente di incidere nel resto del mondo. Ma poi ci sono delle responsabilità. Le classi dirigenti che indicavo prima hanno vissuto l’incanto degli anni ’90. Ci siamo illusi che il processo storico di declino dell’Occidente si sarebbe potuto interrompere. Come minimo, si è trattato di una lettura superficiale e affrettata.

Eppure, a lungo abbiamo sentito negli ultimi anni teorizzare la possibilità di esportare la democrazia fuori dai confini occidentali.

soldati americani in Iraq (2003)

Il tema è ormai completamente uscito dall’agenda politica degli Stati Uniti, fin dalla presidenza Obama. L’idea di poter esportare la democrazia liberale era il risultato di quella visione trionfalistica di fine della storia ormai tramontata. Nei documenti americani di quegli anni torna costantemente l’espressione “plasmare l’ordine internazionale”. La storia a volte sa essere molto ironica: dopo aver sconfitto quei tragici esperimenti di ingegneria sociale consistiti prima nel nazismo e poi nel comunismo, la democrazia liberale a sua volta ha conosciuto la propria sconfitta, proprio nel momento in cui pensava di aver vinto tutti i rivali.

In questi nuovi scenari quale ruolo prevede per l’Europa?

la sede del Parlamento europeo, a Strasburgo

È molto difficile a dirsi. Sappiamo che oggi l’Europa deve ripensare il proprio posto nel mondo partendo dal dato incontrovertibile del suo declino, declino continuo negli ultimi trent’anni. Se pensiamo al 1995 e lo confrontiamo con oggi, si vede che questo declino continua a un ritmo impressionante. Alla fine della seconda guerra mondiale Francia e Regno Unito si posero il problema di quale poteva essere il posto nella storia delle Nazioni europee; oggi siamo di fronte allo stesso dilemma.

Che soluzioni sono possibili?

primavera 2022: Draghi Macron e Scholz in viaggio verso l’Ucraina

Vedo due possibilità. La prima è che si tenti qualche forma di autonomia strategica, come teorizzato da Macron, e cioè che i paesi europei provino a svolgere un ruolo di battitori liberi, ritagliandosi margini di manovra su più tavoli. Non credo tuttavia che questa sia la soluzione che prevarrà. Penso invece che stia già emergendo la seconda opzione, così come auspicata dall’amministrazione Biden. Si tratta cioè di fare dell’Europa una realtà sempre più strettamente legata agli Stati Uniti, rinunciando definitivamente alle suggestioni di paesi come la Germania, che fino a poco tempo fa pensavano fosse possibile coltivare un’alleanza, oltre che con gli Stati Uniti, anche con Russia e Cina. Per comprendere in effetti quale sarà il destino dell’Europa dovremo attendere le prossime elezioni americane.

In questo contesto come prevede si svilupperà il conflitto in Ucraina?

guerra in Ucraina

È impossibile rispondere a questa domanda. Io credo che ormai tutte le cancellerie occidentali abbiano lo stesso timore, e cioè quale sarà il futuro della Federazione russa e il suo ruolo in Europa. Questa guerra ci sta riportando indietro di trent’anni, quando ci chiedevamo appunto che relazione ci sarebbe stata tra l’Europa e la Russia uscita dalla guerra fredda. Il rischio maggiore è che la Russia divenga un’enorme Stato fallito, il che aumenterebbe a dismisura l’instabilità dell’area, e dunque la sicurezza europea.

In questo contesto come giudica il ruolo dell’Italia e dell’attuale governo?

Giorgia Meloni al vertice G20 in Indonesia

Non credo che la politica estera italiana di questo governo si caratterizzerà per una discontinuità significativa rispetto ai precedenti. Anche se c’è un aspetto retorico in ogni governo, che parla ai propri lettori cercando di convincerli di essere diverso dai politici precedenti, la realtà è che, almeno in politica estera, la storia italiana degli ultimi decenni è caratterizzata dalla continuità filo atlantica, con l’unica eccezione, forse, del primo governo Conte. Io credo dunque che anche il governo Meloni continuerà a cercare un rapporto speciale con gli Stati Uniti, anche se in realtà, come le dicevo, questa è un po’ la tendenza di tutti gli Stati europei. Semmai, vedo come di attualità un altro problema, quello della coesione tra i paesi europei, che se messa in discussione rischia di mettere in crisi la stessa identità europea.

In effetti questo governo sembra avere delle difficoltà a istituire buone relazioni in Europa.

operazioni di soccorso a immigranti nel mediterraneo

Credo che sia ancora troppo presto per dirlo. La politica estera si gioca sempre su due tavoli: anche quando si finge di fare politica estera, in realtà si fa politica interna, perché si parla sempre al proprio elettorato. Per poter valutare lo stato delle relazioni tra l’Italia e gli altri paesi europei occorrerà attendere, per ora c’è stata soltanto la zuffa con la Francia. Io credo che peserà molto nell’agenda europea l’evolvere della crisi dei prossimi mesi.

Vorrei chiederle ora di spostarsi in Medio Oriente e di farci comprendere quali sono le dinamiche dell’area, e cosa Israele e possa attendersi dal prossimo futuro.

Anche se non sono un esperto delle relazioni internazionali in Medio Oriente, mi sembra che da alcuni anni, oltre alle cause che hanno generato da decenni l’instabilità dell’area, si sia aggiunta una sorta di sindrome collettiva dell’abbandono.

La firma degli “Accordi di Abramo”

Cosa intende?

È evidente che gli USA, che nell’ultimo mezzo secolo hanno dettato l’agenda del Medio Oriente, siano meno interessati a rimanerci. La loro presenza, avvertita sempre come una certezza, oggi diventa sempre più marginale. Ciò ha creato una vorticosa ricerca di sicurezza, che sta producendo una gara a tessere nuove alleanze, anche inconcepibili fino a poco tempo fa. L’abbandono degli Stati Uniti del Medio Oriente sta spalancando un vuoto che al momento non è facile comprendere come e da chi verrà riempito.

Lei nel suo l’ultimo libro ha messo l’accento sull’insicurezza che stiamo vivendo. È possibile pensare ha un modo per uscire da questi tempi di incertezza?

i leader di Cina e Usa, Xi e Biden

A dire la verità sono abbastanza pessimista. Ci sono tanti elementi, infatti, che ci suggeriscono di essere prudenti e di doverci preparare a un futuro molto difficile. Inoltre c’è un aspetto nuovo rispetto al passato. Viviamo in uno stranissimo contesto internazionale, in cui tutti i principali attori soffrono di una fragilità impressionante. Eravamo stati abituati a considerare le grandi potenze come coese al loro interno. Oggi invece ogni grande player ha una sua fragilità: gli Stati Uniti, la Cina, la Russia, l’Unione europea, l’India, il Brasile. Tutte le grandi potenze oggi sono deboli, e questo spiega anche il generale scadimento delle loro classi dirigenti.

Una risposta

  1. Al pessimismo di Colombo aggiungerei che con le ultime decisioni sugli approvvigionamenti del gas ci stiamo consegnando mani e piedi ai paesi islamici compresi quelli più fondamentalisti. Questi paesi almeno dal 1973 utilizzano le loro forniture in funzione di una politica di progressiva egemonia in Europa. Ricordiamoci Eurabia. Stiamo cadendo dalla padella nella brace.

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