Plenaria IHRA: ripensare la salvaguardia della Memoria
Si è conclusa a Zagabria la presidenza croata dei lavori dell’IHRA. Ne abbiamo parlato con una dei chairs, Simonetta Della Seta
Simonetta, la scorsa settimana si è svolta a Zagabria la riunione plenaria di IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance), che ti ha visto presiedere il Gruppo di lavoro dedicato ai musei e memoriali sulla Shoah. Giunta quasi al termine del tuo mandato, è possibile cominciare a fare un primo bilancio della tua Presidenza?
L’incarico di Chair del Museum and Memorials Working Group dura dal marzo 2023 a marzo 2024. Di fatto però, entrando in un lavoro di troika, si comincia un anno prima e si finisce un anno dopo. Insomma, sono tre anni di lavoro per il gruppo IHRA più numeroso (i direttori di memoriali e musei sono più di 100). Si tratta di un lavoro molto impegnativo, che sto cercando di svolgere dando un contributo il più possibile concreto. Ormai i musei e i memoriali della Shoah sono distribuiti in tutto il mondo, questo significa essere in contatto diretto con moltissime istituzioni, e dunque, con il loro consiglio decidere quali linee di azione proporre all’IHRA, cercando di trovare la giusta mediazione fra le esigenze dei piccoli e dei grandi musei, nonché di quelli più anziani e dei nuovi. Solo in questo periodo, sono in costruzione 30 nuovi memoriali e/o musei: da quello di Londra accanto al parlamento, a quello svizzero a Berna, al museo sul ghetto di Varsavia, che è stato anche presentato a Roma durante l’evento del lancio della rete dei musei della Shoah italiani. Insieme, abbiamo continuato a lavorare a tematiche individuate prima del mio arrivo, come la lotta alla distorsione della Shoah e alla salvaguardia dei siti a rischio. La preparazione della agenda della plenaria di Zagabria è stata fatta molto collegialmente, in modo che ciascuno potesse elaborare, su ogni punto, osservazioni anche critiche, molto essenziali. Durante la presidenza Croata abbiamo anche mandato delle raccomandazioni al governo (croato) perché migliorasse il campo di sterminio Ustasha di Jasenovac, dove siamo riusciti ad ottenere dei cambiamenti narrativi ed esplicativi importanti. Il campo infatti era stato preservato sotto il comunismo e presentava forti problematicità.
Puoi dirci qualcosa di più?
Si tratta di un campo controverso, ricostruito nel periodo in cui nella ex Jugoslavia vigeva appunto il regime comunista, teatro di episodi che ci parlano delle tensioni fortissime vissute nella regione, ad esempio tra croati e serbi ed ampliatesi poi con la guerra del 1991. La visita al campo di un gruppo di esperti IHRA, di cui facevo parte, lo scorso giugno, ci ha permesso di formulare una serie di raccomandazioni, ad esempio riguardanti la definizione di vittime e di perpetratori.
Ci sono state in agenda anche delle novità?
In effetti ho introdotto anche tematiche nuove, come il dibattito, avviato proprio a Zagabria, sull’utilizzo dell’arte contemporanea nei musei dedicati alla Shoah. È emerso infatti che non pochi musei ormai si affidano all’arte contemporanea per raccogliere l’attenzione del pubblico più giovane e suscitare in loro sentimenti legati ai temi trattati. Abbiamo illustrato alcuni casi ben riusciti – tra cui lo Yad Vashem di Gerusalemme – e proposto di lavorare ad un quadro di riferimento per altri musei che intendono avvalersi dell’arte anche su una tematica così difficile. Come avvicinare gli artisti all’argomento? Come offrire comunque il contesto giusto?
Ma la vera novità è stata rappresentata dall’ampio e doloroso dibattito svolto sul 7 ottobre e le sue conseguenze. Una Alleanza che si occupa di Shoah, ovvero della espressione più tragica dell’antisemitismo nel mondo moderno, non può non interrogarsi su quello che sta succedendo e sulla crescita esponenziale di episodi antisemitici in tutto il mondo. Direi che questo tema ha tenuto banco sia tra gli esperti che tra i diplomatici.
In effetti, inaugurando la tua sessione di lavoro, hai evidenziato che le atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre pur se non possono essere paragonate alla Shoah pongono questioni che sono di interesse dell’IHRA.
In realtà il mio intervento è partito da quanto dichiarato da Dani Dayan, direttore del Yad Va Shem, e da Deborah Lipstadt, inviata speciale del presidente Biden sui temi dell’antisemitismo. Il primo, che poi è intervenuto nella plenaria generale giovedì, ci ha spiegato che le barbarie commesse contro gli ebrei da Hamas il 7 ottobre non sono del tutto paragonabili all’Olocausto, ma che con la loro metodologia e la loro gravità richiamano il mondo ad una azione concreta contro il male. La Lipstadt ha fatto notare invece come in poche settimane il mondo abbia cercato di “riscrivere la storia”, una forma di totale distorsione su quanto commesso da Hamas il 7 ottobre. Quello su cui mi sono concentrata però sono soprattutto le ripercussioni che dopo il 7 ottobre si sono avute sui musei: spesso vandalizzati con scritte antisemite e comunque penalizzati da un calo molto forte di visitatori. Dove abbiamo sbagliato? Cosa non abbiamo fatto in modo corretto in tutti questi anni di educazione sulla Shoah? Sono domande inevitabili.
Sono emerse risposte, seppure parziali?
È una questione che dovrà essere elaborata nel prossimo futuro. A caldo direi che forse bisognava raccontare la Shoah non in modo così isolato, come è stato fatto, ovvero contestualizzandola solo all’interno di quel periodo storico. Forse avremmo dovuto raccontarla in un contesto più ampio, ad esempio mettendo a fuoco la vita la storia e la cultura degli ebrei, e il loro legame con la Terra di Israele.
Si tratta di un tema che, più in generale, comporta la necessità di ripensare la giornata del 27 gennaio.
Dopo il 7 ottobre crediamo tutti che vada ripensato l’operato di chi debba educare alla storia della Shoah. Non è più possibile raccontare solo l’antisemitismo del passato, quel che è accaduto nel 900. Ora è ancora presto, forse, per essere in grado di dare delle risposte. C’è però un dato che tutti hanno evidenziato in questa riunione plenaria e che è estremamente preoccupante: il fortissimo aumento dei fatti di antisemitismo che in alcuni casi hanno toccato punte del 400%, addirittura dell’800%. In Italia, Gadi Luzzatto Voghera, direttore del CDEC, ci ha comunicato che c’è stato un incremento del 200% degli atti di antisemitismo, più offline che online. Bisogna infine non sottovalutare che questa nuova ondata anti ebraica ha picchi anche in luoghi molto lontani da dove si è compiuta la Shoah, come ad esempio il Canada, in Australia e in America Latina.
Da questa riunione plenaria è possibile intravedere quale sarà il futuro della memoria della Shoah e la lotta all’antisemitismo in Europa?
Dentro l’IHRA sono presenti 35 paesi, non solo europei, come Stati Uniti, Canada, Australia, i paesi latinoamericani, e naturalmente Israele. L’IHRA ha dunque una visione globale della distorsione della Shoah e della lotta all’antisemitismo. Certamente durante i lavori è emersa anche una prospettiva europea. La coordinatrice per la lotta all’antisemitismo dell’Unione Europea Katharina Von Schnurbein, che ha partecipato come osservatrice alla sessione plenaria di giovedì, si è detta molto preoccupata per la situazione attuale. Un tema che è emerso dunque è che sarà compito nel prossimo futuro di tutti i coordinatori nazionali per la lotta all’antisemitismo affrontare questo momento straordinario che stiamo vivendo, il più possibile in collegamento con la comunità IHRA di esperti.
Infine, per tornare al tuo ruolo: ci fai capire meglio in cosa consiste essere Chair di un gruppo di lavoro come il tuo?
Si tratta di un incarico che richiede un lavoro piuttosto costante e di responsabilità istituzionale, poiché l’IHRA è una alleanza di 35 governi. È fondamentale coniugare le indicazioni dei governi con quelle locali dei musei, sparsi per il mondo, comprendere le loro esigenze, preparare le riunioni in modo costruttivo, facendo ragionare gli esperti per poi portare istanze e raccomandazioni ai diplomatici (capi delegazione) e tramite loro agli stessi governi. Tutto ciò rimanendo in contatto con la struttura permanente di IHRA, cioè il Permanent Office che si trova a Berlino e che ci aiuta ad inquadrare il lavoro in specifi
ci regolamenti, nonché con il paese presidente di turno, che nel 2023 è stato appunto la Croazia.
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