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Anche la banca centrale israeliana è preoccupata per i programmi di Netanyahu

A poche settimane dall’insediamento del suo governo, Benjamin Netanyahu vede infittirsi le critiche e i problemi; non solo per la sua squadra, ma per l’intero paese

Il governo guidato da Netanyhau

Nelle ultime settimane si sono moltiplicate le critiche e gli appelli al primo ministro Netanyahu affinché accantoni alcuni dei progetti più controversi della sua maggioranza, in primis il ridimensionamento dei poteri della Corte Suprema e una modifica alla Legge del Ritorno.

Quello che forse Netanyahu non aveva previsto era che al coro di critiche si sarebbero uniti suoi ex sostenitori e, negli ultimi giorni, esponenti dell’economia israeliana.

Ma andiamo per ordine.

Una prima sorpresa è arrivata ai primi di gennaio, quando una cinquantina di ex ambasciatori israeliani ha pubblicato un appello a Netanyahu, chiedendogli di non mettere in pericolo i rapporti con la diaspora (e in particolare con l’ebraismo americano) e con la comunità internazionale, pena il ritorno di Israele a uno status di “paria” isolato nel mondo: tra i firmatari dell’appello spiccava la presenza di Avi Pazner e Ehud Gol, per lunghi anni Ambasciatori in Italia ed entrambi “falchi” designati all’epoca da governi di destra.

Alan Dershowitz

Nei giorni successivi si sono uniti al coro i presidenti dell’Agenzia ebraica e del Keren Hayesod. Infine ha fatto clamore l’appello con cui Alan Dershowitz, noto avvocato e giurista americano da sempre legato a doppio filo a Netanyahu e al Likud, ha criticato apertamente i progetti di Netanyahu di mettere il bavaglio alla Corte Suprema e di modificare la Legge del Ritorno.

La seconda sorpresa è stata la presa di posizione, negli ultimissimi giorni, da parte del mondo economico e finanziario israeliano.

Appena insediato il nuovo Governo, le grandi agenzie di rating avevano subito messo in guardia Netanyahu. Secondo Moody’s e Standard and Poors l’indebolimento della Corte Suprema e il venir meno della separazione di poteri finirà col danneggiare l’economia, sia pure nel medio periodo; una terza Intifada avrebbe invece effetti molto negativi anche nel breve periodo: è bene ricordare che nel triennio 2000-2002, inoccasione della seconda intifada, l’economia israeliana cadde in una recessione eccezionalmente lunga e profonda, con 3 anni di crescita zero, evento rarissimo.

Ma il 24 gennaio sono arrivate bordate anche dall’interno dell’establishment economico e finanziario israeliano.

Karnit Flug

In un editoriale pubblicato su Yediot Aharonot, gli autorevoli ex governatori della Banca centrale di Israele, Jacob Frenkel e Karnit Flug, hanno messo in guardia Netanyahu senza giri di parole: i suoi progetti di ridimensionamento della Corte Suprema e della magistratura israeliana potrebbero danneggiare il “rating” dello Stato di Israele sui mercati finanziari internazionali e “arrecare gravi danni all’economia e ai cittadini”.

A rincarare la dose uno dei 6 membri del Consiglio Direttivo della Banca centrale (nella foto grande: la sede della Banca centrale d’Israele), l’organo che adotta assieme al Governatore le decisioni sui tassi d’interesse e sulla politica monetaria: il prof Moshe Hazan, che era in carica da 6 anni, si è dimesso dall’incarico perché a suo avviso gli attacchi di Netanyahu alla magistratura stanno “mettendo in pericolo la democrazia israeliana”.

In conclusione: riuscirà Netanyahu a sopravvivere politicamente pur avendo contro di sé l’establishment economico e finanziario? L’economia israeliana riuscirà a mantenere le sue performance eccezionali, nonostante un Esecutivo così controverso e così poco “business friendly”? Secondo molti esperti l’economia israeliana dovrebbe “farcela” perché dotata di un buon “pilota automatico”: solide “istituzioni”, come una banca centrale indipendente e autorevole, una disciplina di bilancio pubblico con regole su deficit e debito pubblico simili a quelle dell’area euro, etc.

Tuttavia non reggerebbe il colpo di una terza intifada che, a giudicare dai primi passi e dai proclami di alcuni ministri chiave, potrebbe essere alle porte.

Una risposta

  1. Oggettivamente uno stato piccolo come quello di Israele ha delle lacune molto delicate.
    In primis, il fatto di dipendere troppo dall’andamento della economia americana.
    Nel senso che la maggior linfa economica gli arriva dai suoi benefattori made in USA.
    E se tu inizi a nn calcolare il beneficio di questa linfa, o sei un incosciente oppure un presuntuoso.
    Il problema intifada, credo che sia un problema costante.
    Fintanto che stati canaglia come iran nn saranno messi in condizione di impotenza, avremo sempre grossi problemi nel contenere.
    In ultimo ma nn per valore, il problema dello Schekel forte.
    Una moneta troppo forte distoglie i turisti mondiali dal venire nello stato Ebraico.
    Israele non può contare sui viaggi dei pellegrini che fanno numero, Israele dovrebbe ( secondo me) contare su turista medio, che lascia cifre considerevoli nelle casse di Israele.

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