Italia e Israele destinate a collaborare

Alberto Pagani, deputato Pd, indica i punti chiave delle strategie geopolitiche nel prossimo futuro, tra cui quelle del nostro paese e di Israele

Onorevole Pagani, lei fa parte, tra l’altro, della commissione difesa della Camera e della delegazione parlamentare della NATO. Può spiegare innanzitutto ai nostri lettori di cosa si occupa?

Alberto Pagani è deputato Pd

Per formazione personale e per l’incarico che mi è stato assegnato mi occupo prevalente delle questioni relative alla sicurezza nazionale, che sono connesse sia alla politica estera che alle politiche della Difesa. Ovviamente è impossibile distinguere le questioni relative alla Difesa ed alla Sicurezza Nazionale dalla politica estera, perché la maggior parte delle minacce che gravano sul nostro Paese, dirette ed indirette, hanno origine o connessioni con altri Paesi, vicini o lontani, avversari strategici o alleati.

Gli ultimi due anni sono stati finora interessati, sul piano internazionale, da numerosi accadimenti. Il passaggio dall’amministrazione Trump a quella Biden, il compimento della Brexit, la pandemia e, da ultimo, il ritiro drammatico della coalizione occidentale dall’Afghanistan. Lei che giudizio dà, in termini generali, degli attuali equilibri (o disequilibri) internazionali?

Ulrich Beck, nel bel libro che non ebbe il tempo di ultimare, sosteneva che viviamo in un mondo sempre più difficile da decodificare, perché non sta semplicemente cambiando, ma è in metamorfosi. Ciò che prima veniva escluso a priori, perché totalmente inconcepibile, accade. Pensiamo agli avvenimenti principali, le pietre miliari degli ultimi decenni: la caduta del Muro di Berlino, gli attentati dell’11 settembre, il catastrofico mutamento climatico in tutto il mondo, il disastro del reattore di Fukushima, fino alle crisi della finanza e dell’euro e alle minacce alla libertà create dalla sorveglianza totalitaria nell’era della comunicazione digitale, prima di quello che lei ha citato. Sono quelli che Nassim Taleb chiamava cigni neri, cioè gli imprevisti che mandano in frantumi le nostre certezze. La metamorfosi del mondo produce un’esplosione che manda all’aria i punti fermi su cui si fondava la società contemporanea, quelle che finora sono state le costanti antropologiche della nostra vita e della nostra concezione del vivere comune. Zygmunt Bauman parlava di modernità liquida, caratterizzata da una società che vive in uno stato di perenne incertezza, direi quasi di smarrimento. Io credo che questi siano in realtà i sintomi di una trasformazione di cui non abbiamo ancora chiari gli esiti.

Henry Kissinger (1923) è stato segretario di Stato Usa dal 1969 al 1977

Come ha scritto l’anziano e lucidissimo Henry Kissinger all’inizio della crisi pandemica che ha colpito il Pianeta è ormai chiaro che io vecchio Ordine Mondiale, quello che si fondava sul Washington consensus, non c’è più, ma ancora non sappiamo da quale nuovo equilibrio sarà sostituito. È un passaggio molto pericoloso perché quando un vecchio ordine è morto ed un nuovo stenta a nascere c’è un periodo di interregno che può generare mostri.

L’Europa riuscirà mai ad avere una voce unica in politica estera e per una difesa comune?

Se avessi una sfera di cristallo potrei profetizzare ciò che accadrà, ma purtroppo posso solo rispondere che spero di sì. Se non riusciremo a costruire gli Stati Uniti d’Europa siamo destinati a non contare più nulla, perché il mondo si sta riorganizzando attorno agli interessi delle uniche sue vere superpotenze globali, gli Stati Uniti e la Cina. L’Europa, che è una grande potenza civile, può avere un peso politico solo se sarà unità. Non basta la moneta unica, bisogna fare passi in avanti sul terreno della politica estera e sulla Difesa comune, rinunciando a quote di sovranità nazionale a favore di un interesse comune, che può essere perseguito solamente insieme. Se l’interesse nazionali di ogni singolo stato prevale sulla necessità di trovare sintesi condivise più avanzate il grande progetto che ci ha garantito 70 anni di pace si trasformerà nel condominio dei sovranisti, degli egoismi nazionali, e faremo la fine dei capponi di Renzo Tramaglino che, appesi per le zampe, si beccavano tra loro. Il Manzoni non racconta l’esito della contesa, ma suppongo che siano finiti insieme nella pentola del brodo.

Soprattutto la questione afghana ha fatto sorgere, con il ritorno al potere dei Talebani, il timore di una ripresa del terrorismo internazionale. Quanto è fondata questa possibilità?

Fondatissima. Il terrorismo è guerra asimmetrica, ibrida, a bassa intensità e con prospettiva strategica di lungo periodo. Ogni casamatta che lasciamo libera verrà occupata dal nemico ed utilizzata contro di noi. Ma l’errore di analisi che non possiamo permetterci è di osservare il problema solo da un punto di vista militare. Il terrorismo è un progetto politico, che utilizza i mezzi militari dell’insorgere e del terrore per conquistare gli obiettivi di sempre; il potere politico ed economico, il domino su una parte del mondo e degli uomini. È un nemico paziente ed insidioso, che va combattuto con le armi della politica, insieme agli strumenti militari. Abbiamo perso l’Afghanistan perché non abbiamo saputo conquistare i cuori e le menti del popolo afgano, questa è la cruda verità. Abbiamo curato gli aspetti della sicurezza, armato ed addestrato le forze regolari afgane e tentato di innestare il nostro modello politico, la democrazia liberale nella quale crediamo, in una società tribale che non l’ha mai conosciuta. Il risultato è stato un regime debole e corrotto, considerato dalla maggioranza degli afgani come il governo collaborazionista di Vichy, dopo l’invasione tedesca della Francia, nella Seconda Guerra Mondiale. Siamo andati via dopo vent’anni, perché ci siamo resi conto che restare non avrebbe cambiato più nulla, ed in pochi giorni è successo come nella favola del vestito nuovo dell’imperatore. Ciò che più dovrebbe colpirci è che ci siamo sorpresi quando ci siamo accorti che “il re è nudo”.

Il nostro paese è preoccupato che la Russia di Putin si sia stabilmente affacciato nel Mediterraneo, con una sorte di protettorato in Libia?

L’incontro tra Bennet e Putin, svolto lo scorso fine settimana

Una parte della politica italiana, che ha molta simpatia per la democrature russa, immagino che non sia troppo preoccupata. Io lo sono. La presenza militare russa nel mediterraneo è paragonabile, se non superiore, a quella sovietica dei tempi della Guerra Fredda. Naturalmente è scontato che un grande Paese come la Russia voglia avere uno sbocco sicuro sull’unico mare temperato che può raggiungere, perché la maggior parte delle sue coste si affacciano sui mari ghiacciati, sul lago Mar Caspio e sul Mar Nero, che oltre gli stretti porta al Mediterraneo. Il punto non è però la sicurezza delle rotte e dei suoi traffici, che è un interesse nazionale più che legittimo, ma il ritorno della Russia ad una politica Imperiale di Potenza. Si tempi della guerra Fredda nel Nord Africa e Medio Oriente l’Unione Sovietica esercitava per i propri scopi una politica di influenza molto incisiva nei confronti del mondo arabo, che contribuì non poco alla perenne destabilizzazione e conflittualità di tutta l’area. Oggi vediamo la Russia rinsaldare per via militare gli antichi legami, in Siria come in Libia.

Per quanto riguarda Israele, con le ultime elezioni si è registrata la fine (al momento) della stagione di Netanyahu, e un nuovo governo, guidato da Bennett. Come valuta questo cambiamento?

Yaer Lapid, ministro degli esteri israeliano

Molto positivamente, e con grande speranza. Ho letto con grandissimo interesse il discorso tenuto dal Ministro degli Esteri di Israele, Yair Lapid, con il quale ha presentato il piano per lo sviluppo di Gaza. Ritengo che sia uno sviluppo estremamente positivo, che andrebbe incoraggiato e adottato dalla Comunità Internazionale. Sin dalla nascita del nuovo Governo di Israele il Ministro Lapid ha dichiarato di aver fiducia e di puntare molto sul rapporto con l’Unione Europea, ringraziandola “per aver creduto nella forza vitale delle democrazie liberali, nel loro potere economico, nel potere delle loro idee per creare un mondo migliore”. Io credo che questa nuova politica di Israele possa rappresentare una vera svolta per tutta la politica del Medio Oriente, se sarà sostenuta ed incoraggiata. Sta a noi europei ora fare la nostra parte.

Netanyahu ha comunque lasciato in eredità gli accordi di Abramo, tra Israele e alcuni paesi arabi. Come giudica questo cambiamento nelle relazioni diplomatiche tra paesi da sempre in regime di guerra fredda?

la firma degli accordi di Abramo

Positivamente, è ovvio. In realtà con le monarchie del Golfo le condizioni per esplicitare il miglioramento delle relazioni erano mature da tempo, a mio parere. Le esigenze di sicurezza e gli interessi economici, nonché la comune avversione al regime iraniano, che rappresenta una minaccia oggettiva per la stabilità di tutto l’area, hanno creato le condizioni per superare una conflittualità che non aveva più ragione di esistere. Purtroppo questo non basta per rendere sicuro il Medio Oriente perché i proxy di Teheran, come Hamas o Hezbollah, fanno proselitismo nei giacimenti dell’odio ed hanno consenso nelle popolazioni che soffrono. Per questo considero tanto importante il discorso di Lapid su Gaza, che propone di “iniziare un grande processo pluriennale di economia per la sicurezza. È la versione più realistica di quello che in passato si chiamava riabilitazione per la demilitarizzazione. Lo scopo del processo è quello di creare stabilità su entrambi i lati del confine, dal punto di vista civile, della sicurezza, dell’economia e della diplomazia (…). Avanzare la formula di economia per la sicurezza costringerà Hamas a spiegare agli abitanti di Gaza perché vivono in condizioni di povertà, scarsità, violenza e alta disoccupazione, senza alcun tipo di speranza.”

Quali sono le linee di politica estera che il nostro paese segue in medio oriente?

L’Italia è una media potenza regionale che da sempre ha come il suo ambito di azione principale nel Mediterraneo, e questo ci ha portato anche nel passato ad avere momento di felice collaborazione con lo Stato di Israele e momenti di drammatica incomprensione. Ci sono ragioni strategiche profonde alla base di questo perché la storia, l’economia e le ragioni di sicurezza ci avvicinano ad Israele, ma il nostro interesse nazionale a volte era in contrasto con quello israeliano.

Ad esempio?

Enrico Mattei (1906-1962), fondatore dell’ENI

La politica filoaraba perseguita nella Prima Repubblica, che ha avuto grandi protagonisti come Enrico Mattei ed Aldo Moro, tragicamente scomparsi, ha permesso all’Italia, sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, di conquistare una posizione di primo piano nel Mediterraneo, e di diventare riferimento essenziale per gli Stati Uniti, e di diventare una potenza industriale.

Il velivolo Argo 16, caduto nel 1973, fu utilizzato, tra l’altro, per riportare in Libia un gruppo di terroristi accusati di progettare un attentato alle linee aeree israeliane in Italia.

Questo può essere che a volte sia stato visto male in Israele. Inoltre ci sono state vicende come quella di “Argo 16”, o le dichiarazioni del brigatista pentito Patrizio Peci sui tentavi del Mossad di infiltrare le BR, cosa giusta ed opportuna solo se ha finalità informative, e non di influenza. Insomma, ci sono stare incomprensioni tra dei Stati Sovrani, è normale che succeda, ma le cose migliori nel Mediterraneo sono successe quando Italia ed Israele hanno saputo collaborare. Questo dobbiamo ricordare, e ci deve essere insegnato.

 

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2 risposte

  1. Andai in Israele da turista. Approvo quanto letto. Io da sprovveduto quale sono, pensavo che fin dall’inizio l’unione europea nascesse come Stati Uniti con un presidente. Quando iniziammo a votare credevo che la scheda fosse unica ed uguale in tutta Europa.

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