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Il rimon, la melagrana: meriti e ornamenti per Rosh ha-Shanà

Massimo Giuliani ci aiuta ad entrare nel clima di festa per il nuovo anno che inizia stasera. Assieme a lui, Riflessi augura un anno dolce e felice a tutti i suoi lettori!

Rosh ha shana visto da Lele Luzzati

I rimonim, intesi come le melegrane o mele granate, intere o già sgranate, di fatto non mancano mai nelle case ebraiche durante la festa di Rosh ha-shanà, il capodanno, o almeno sulle loro tavole imbandire per i due sedarim, le cene di rito.

Eppure si cerchrebbe invano una loro esplicita mezione nello Shulchan ’arukh, il codice halakhico stilato da Yoseph Caro nel XVI secolo.

Esplicita menzione alla tradizione di mangiare questo frutto – dell’albero tecnicamente detto Punica granatum – si trova solo nelle Aggiunte (nel Mappà) a quel codice apposte da Moses Isserles qualche anno dopo, dove leggiamo:

C’è chi usa mangiare una mela dolce con il miele, e dice: ‘Si rinnovi per noi un anno dolce’, e c’è chi mangia la mela granata e dice: ‘Moltiplicheremo i nostri meriti come i grani della mela granata”.

Rimomnim della comunità di Amsterdam

Con le fonti halakhiche non si va più in là, e potremmo dire che si tratta solo di un minhag, ashkenazita e italiano. Secondo il Seder di Rosh ha-shanà secondo un antico minhag della comunità ebraica di Cuneo, testimonianza di un rito provenziale che affonda le sue radici nel basso medioevo, la melograna è assaggiata durante il seder dopo i datteri chiamati dattoli (tamarim) e dopo i fichi (teenot) – questi in Piemonte non erano esotici come i dattoli – e su di essa la berakhà recita: “Sia Tuo gradimento, D-o nostro e D-o dei nostri Padri, che si moltiplichino i nostri meriti come i semi della melagrana e si compia per noi il versetto: ‘Come uno spicchio di melagrana è la tua tempia dietro il tuo velo: ti disseterò con il vino speziato e con il succo del mio melograno’ (Sir ha-shirim/Ct 4,3; 8,2)”. A rav Alberto Moshe Somekh il merito di aver recuperato e ripresentato, con Zamorani editore, questa storica testimonianza ebraico-piemontese.

In effetti, il frutto del melograno è citato ben cinque volte nella meghillà biblica del Cantico dei cantici, evocando in tal modo la gioia, la dolcezza, persino i piaceri amorosi. Ma è citato anche tra le otto specie che caratterizzano la terra di Israele e sono segno della sua fertilità, secondo Devarim/Dt 8,8.

coltivazione di melagrani

Pur non avendo una funzione halakhica, per così dire, questo frutto è dunque altamente simbolico di quel che ci aspettiamo dall’anno nuovo: opere buone, che siano per noi meriti; cose belle anche se non necessariamente ‘da usare’; un legame sempre più forte con eretz Israel dove speriamo di salire, anche solo per una vacanza. La sua funzione simbolica fa tutt’uno con quella ornamentale, e ci ricorda che il mondo ebraico non è mai stato privo di – e men che meno contrario a – valori estetici, la sfera del bello in sé (purché essa non sia separata dall’elemento etico, morale). I rimonim interi sulla tavola, anche in forma di piccole oggetti in ceramica o altri materiali, ci ricordano appunto che il mondo è bello, colorato e ricco, purché appunto a questa bellezza per l’occhio corrisponda la purezza del cuore e il ‘succo’ delle opere, le sole che producono meriti.

Rimomnim della comunità di Londra

In tal senso si esprime il Talmud là dove cita Rabbi Meir, il quale “trovò una melagrana, mangiò la polpa (i semi) e scartò la buccia, insegnandoci a discernere tra l’essenza e l’apparenza” (Chaghigà 15b). A volte occorre distinguere anche tra i semi, perché, come ricorda la Toseftà nel trattato Terumà, esistono anche melograni amari… Si cerchi dunque di mangiare solo quelli dolci, e di apprezzare quei semi rossi e ben ordinati che assomigliano, dice un proverbio, ai bambini seduti ordinatamente sui banchi del cheder, della scuola elementare, intenti a studiare Torà.

Proprio il Sefer Torà sta arrotolato su due legni (etz chayim) in cima ai quali, sempre per ragioni estetiche, si pongono i due pinnacoli o pomelli d’argento, detti non a caso rimonim, melograni, in fogge le più diverse e con gioiosi campanelli. Un invito a cibarsi di Torà come i profeti?

Rimomnim della comunità di Roma

Shanà tovà u-meteuqà a tutte e a tutti.

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