L’ebraismo italiano non ha più pregiudizi a destra?
Anna Foa ricostruisce il rapporto tra ebrei italiani e politica. Da Ernesto Nathan a Giorgia Meloni
Anna, i tuoi studi sull’ebraismo europeo, in particolare quello del Novecento, evidenziano come gli ebrei si siano sempre posizionati lungo tutto l’arco politico: ci sono stati ebrei rivoluzionari, ebrei liberali, ebrei conservatori. In alcuni casi isolati, perfino ebrei antisemiti (penso a Weininger). Vorrei cominciare allora dagli inizi: qual era l’orientamento politico dell’ebraismo italiano, tra la proclamazione di Roma capitale (1870) e alla viglia della marcia su Roma (1922)?
Come hai detto, sono vari gli orientamenti politici che dall’inizio dell’Unità il mondo ebraico italiano esprime. Possiamo dire che di certo all’inizio gli ebrei si schierano con la Destra storica, perché legata ai Savoia che gli avevano dato la libertà e l’uguaglianza, e si sentivano garantiti da figure come l’ebreo Isacco Artom, segretario particolare di Cavour. Poi, dopo il 1890, lo schieramento si sposta più verso la Sinistra storica, questo lo si vede bene con il posizionamento dei notabili della comunità di Roma, che passano alla massoneria e al sostegno a Ernesto Nathan sindaco, espressione del blocco radicale contro quello clericale. Poi, con la prima guerra mondiale, cambia di nuovo tutto. Cambia innanzitutto il contesto sociale e storico: nasce un nazionalismo che sarà poi la matrice antisemita italiana del primo Novecento. Con la guerra di Libia (1911-1912) e poi con lo scoppio della guerra (1914) gli ebrei sono schierati per lo più sul fronte interventista. Si arriva infine al fascismo, quando gli ebrei fascisti della prima ora sono tutto sommato ancora pochi. Infine, non va dimenticata la componente ebraica nella sinistra, con figure come Giuseppe Amedeo Modigliani, o anche Anna Kuliscioff, che benché russa ha operato nel nostro paese a lungo.
Che atteggiamento ha l’ebraismo italiano verso il fascismo, tra il 1922 e il 1938?
C’è stata una parte dell’ebraismo italiano filofascista, mi pare anche ben radicata, sebbene con caratteri diversi dal resto del fascismo, quello orientato verso la Germania nazista. Ricordo ad esempio che quando mio padre [Vittorio Foa, n.d.a.] venne arrestato la comunità degli ebrei torinesi lasciò la nostra famiglia piuttosto sola. Poi, certo, le leggi del ’38, le deportazioni e la shoah rompono questo legame, anche se io credo che ancora oggi l’ebraismo italiano non si renda ancora bene conto del ruolo della Repubblica di Salò nella shoah italiana. È stato invece un ruolo predominante, anche se oggi non se ne parla più.
Veniamo alla Repubblica. Dopo il 1945, ebrei posizionati a destra della DC non ce ne sono (almeno credo), perché in quell’area lì si trovavano i diretti eredi del partito fascista, quello della Repubblica sociale italiana.
Direi che dopo il 1938 il legame tra ebraismo e fascismo si rompe, anche se, come ti dicevo, forse meno velocemente di quello che si può credere. Nella Repubblica gli ebrei non votano più a destra della DC, a parte forse per il Partito liberale. Quanto all’erede della Repubblica di Salò, cioè il MSI, lascia cadere ufficialmente la parte antisemita, anche se il suo segretario, Almirante, resterà sempre legato a Salò. Però, per opportunismo, l’MSI mette da parte la sua matrice, che, ripeto, resta a Salò.
Oggi pare che non ci sia più una pregiudiziale dell’ebraismo italiano contro la destra. A tuo avviso negli ultimi anni è avvenuta una trasformazione di cui non ci siamo accorti? Insomma: nel mondo ebraico italiano è caduta ogni pregiudiziale verso la destra?
Con il 1994 cambia completamente il clima. Berlusconi, per esempio, attira molti consensi, anche se certo non sa di cosa parla quando parla del 25 aprile. Cambia anche il richiamo all’antifascismo, che smette di essere un valore fondante per alcuni partiti. Eppure la nostra Costituzione resta antifascista. Per quanto riguarda il mondo ebraico, la destra che guarda a Israele con pieno favore, anche se non si dichiara nettamente e definitivamente antifascista, provoca in alcuni una specie di seduzione. C’è così chi pensa che si possa parlare e intrattenere rapporti, e naturalmente anche votare, i partiti della destra. L’esempio di Alemanno a Roma è evidente. Nasce una collaborazione, non c’è più alcuna pregiudiziale.
Arriviamo a oggi. Con le prossime elezioni politiche c’è davvero un pericolo democratico nel nostro paese, in caso di vittoria della destra?
Secondo me il rischio c’è solo se avranno la maggioranza sufficiente per la modifica della Costituzione, come pensa Zagrebelsky. Vedi, la nostra Costituzione è un baluardo contro ogni deriva fascista. Io non temo certo il ritorno del fascismo, ma vedo con preoccupazione alcuni rischi.
Quali?
Vedremo le ripercussioni sulla guerra in corso. Che succede se in Italia vince la destra? Il nuovo governo sarà sensibile alla posizione di Mosca? Si alleerà con chi, in Europa, vuole rompere il fronte unito a favore dell’Ucraina? Ecco, una vittoria di Meloni, Salvini e Berlusconi potrebbe avere ripercussioni negative anche in Europa. Guarda Salvini, che si rifà alla politica familista dell’Ungheria, contro le donne e gli omosessuali, o contro l’aborto, oltre al fatto che l’Ungheria è una nazione filorussa.
Come spieghi allora questa capacità di seduzione della destra italiana presso alcuni ambienti ebraici?