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Israele e il mondo intorno

Dopo 8 mesi di guerra, qual è lo stato delle relazioni ta Israele e i paesi arabi dell’area? Ne abbiamo parlato con Gianluca Pacchiani, esperto per Times of Israel del mondo arabo

Gianluca, qual è lo stato animo dell’opinione pubblica israeliana dopo oltre 8 mesi di guerra?

Gianluca Pacchiani, corrispondente per Times of Israel, è esperto del mondo arabo

Il termine che secondo me riassume l’atmosfera in cui siamo immersi è: sfinimento. All’inizio del conflitto c’è stato un forte sostegno popolare alla guerra, e anche ottimismo dopo che i primi ostaggi erano stati liberati a novembre. Oggi invece si capisce che non c’è una prospettiva breve per il termine del conflitto e che gli ostaggi non saranno liberati attraverso un’azione militare. Inoltre, Netanyahu si rifiuta di proporre un piano per il dopoguerra, come pure gli stanno chiedendo Gallant e Gantz, il che non fa che irritare gli americani e i sauditi. Al momento, dunque, Israele non sa proporre una via di uscita alla guerra, e le nuove vittime tra i soldati israeliani, registrate nei giorni scorsi come non succedeva più da tempo, non fanno certo aumentare l’ottimismo.

Per “Time of Israel” tu ti occupi del mondo arabo. Innanzitutto, oggi ancora senso di parlare di panarabismo, o piuttosto occorre utilizzare la formula del panislamismo, per descrivere il movimento dei paesi arabi e islamici ostile a Israele?

Gamal Abdel Nasser, a capo dell’Egitto durante la guerra dei sei giorni

Il passaggio dal panarabismo al panislamismo è una lettura ormai piuttosto condivisa da parte degli osservatori. Si è cioè passati dall’impostazione del presidente egiziano Nasser, laico e socialista, che aveva creato un’alleanza che andava alla Siria fino all’Iraq, a una versione più ampia. Dopo la Guerra dei sei giorni, infatti, il panarabismo è stato progressivamente sostituito dal panislamismo politico. Detto questo, è anche vero che l’idea di un mondo arabo compattamente ostile a Israele deve considerarsi superata, o forse non c’è mai stata. In realtà, infatti, Israele ha sempre avuto qualche rapporto con i paesi arabi, seppure mai ufficializzato. Come mi disse una volta un esperto di relazioni fra Israele e il mondo arabo islamico, Israele è l’amante segreta di cui nessuno parla, ma che tutti custodiscono con cura.

Che effetti sta producendo questa guerra nelle relazioni fra Israele e i paesi arabi? Innanzitutto, con i suoi vicini: Egitto, Giordania, Libano.

una vista del lungo mare di Beirut, alcuni anni fa

Ovviamente dobbiamo distinguere l’Egitto e la Giordania da un lato, con il Libano dall’altro. I primi due paesi hanno firmato un trattato di pace, rispettivamente nel 1979 e nel 1994. Giordania ed Egitto sono dunque formalmente in pace con Israele, sia pure molti osservatori parlino di pace fredda. Il fatto è che essendo alleati degli Stati Uniti, conseguentemente hanno un rapporto diplomatico anche con Israele. Tuttavia, l’opinione pubblica nei due paesi è nettamente antisraeliana, anche perché in Giordania, ad esempio, molto numerosa è la popolazione palestinese, mentre in Egitto è ancora vivo lo smacco per la guerra dei Sei giorni del 1967, e così Israele ancora oggi nell’opinione pubblica di questi paesi è spesso demonizzata, mentre i rispettivi governi conoscono bene i vantaggi dell’alleanza, sia sul piano militare che economico e idrico. È vero che a novembre scorso la Giordania ha ritirato il proprio ambasciatore, e ha registrato grandi manifestazioni popolari ostili a Israele, soprattutto durante il Ramadan. Tuttavia, nonostante periodicamente si minacci di recedere dagli accordi di pace, questi non sono davvero in discussione. Piuttosto sarà interessante vedere se Egitto e Giordania saranno disponibili a comporre una forza panaraba per l’amministrazione di Gaza quando il conflitto sarà cessato.

l’incontro tra Bennett e Al Sisi (settembre 2022)

E per quanto riguarda il Libano?

Con il Libano non è stato firmato nessun accordo di pace, e ancora viva è la memoria dell’occupazione israeliana nel 1982, che durò fino al 2000. Al momento la società civile e politica libanese è fortemente influenzata da Hezbollah, che fin dal 2006 ha stretto alleanza anche con i partiti cristiani. Questa progressiva estensione dell’influenza di un movimento legato all’Iran ha fatto sì che Israele abbia minacciato di intervenire. L’effetto è che nell’opinione pubblica libanese si sono registrate voci contrarie ad Hezbollah, anche perché lo scambio di colpi che continua dal 7 ottobre al confine ha determinato, così come in Israele, l’effetto di sfollare circa 100.000 libanesi dal confine a sud. A differenza di Israele, Il Libano è una situazione economica disastrosa, e quindi il rischio di una guerra peggiora le prospettive del paese dei cedri, che si trovano dopo molti mesi ancora senza un presidente.

Andiamo ora nel Golfo. Qual è lo stato delle relazioni con l’Arabia Saudita? E che ruolo gioca il Qatar nella guerra in corso?

il principe Saudita Mohammed bin Salman

Arabia Saudita e Qatar hanno posizioni diametralmente opposte. L’Arabia Saudita storicamente ha sempre sostenuto, si ha pure non ufficialmente, il radicalismo islamico, almeno fino all’undici settembre del 2001. Da quel momento in poi c’è stato un progressivo cambio di prospettiva del regime Saudita, che ha compreso quanto potesse essere pericoloso alimentare il radicalismo religioso. Soprattutto dopo che il potere e andato nelle mani di Mohammed bin Salman (MbS), l’Arabia Saudita ha avviato un percorso di progressivo avvicinamento al mondo occidentale, il che inevitabilmente ha compreso anche Israele. Tra il rischio di un accordo con lo Stato ebraico e quello di subire l’influenza del radicalismo islamico, MbS ha scelto la prima strada. Questo ha portato alla gli accordi di Abramo, siglati da due Stati satellite dell’Arabia Saudita, gli Emirati arabi e il Bahrein. Prima del 7 ottobre era ormai chiaro che anche l’Arabia Saudita fosse disponibile a entrare negli accordi, per cui l’attacco di Hamas è stato anche il tentativo, finora riuscito, di bloccare questo processo, che sembrava potesse riguardare anche altri paesi, come la Libia o l’Indonesia. Da qualche tempo nel mondo arabo si ricomincia a parlare degli accordi, anche perché sembra che gli Stati Uniti ne facciano uno strumento di pressione, offrendo a Israele un accordo con l’Arabia Saudita in cambio di una cessate il fuoco a Gaza, e in cambio della tecnologia per il nucleare civile a vantaggio dell’Arabia Saudita.

La firma degli “Accordi di Abramo”

Israele è favorevole a che l’Arabia Saudita utilizzi l’energia nucleare?

Ufficialmente non si oppone. La condizione, che sia utilizzata soltanto a scopi civili, in realtà sappiamo che potrebbe essere facilmente aggirata. Per questo, di recente, anche in Israele si sono espressi dei dubbi al riguardo. Il fatto è che la svolta moderata e filoccidentale dell’Arabia Saudita è tutto sommato recente, mentre nel paese è ancora forte un movimento molto conservatore. il pericolo, dunque, è che se l’attuale leadership esaudita fosse per qualsiasi motivo spodestata si potrebbe avere la situazione in cui il paese più importante del mondo arabo, sterzando su posizioni radicali, avrebbe in mano lo strumento dell’atomica.

Veniamo al Qatar.

Doha, capitale del Qatar

Il Qatar in qualche modo ha ereditato il ruolo che negli anni passati aveva svolto l’Arabia Saudita, ossia quello di sostenere e finanziare il radicalismo islamico sunnita ovunque si manifesti. Il Qatar ha sorretto Al Qaeda, lo stato islamico, oggi sostiene le milizie jihadiste nel Mali. La sua politica è ambigua: da un lato offre il proprio territorio alla più grande base militare americana fuori dagli Stati Uniti, dall’altro sostiene il radicalismo islamico. È un paese piccolo e molto ricco, che attraverso questa polemica politica cerca di aumentare il proprio prestigio presso l’opinione pubblica araba.

Continuiamo il nostro giro e andiamo in Nordafrica.

la sede dell’emittente del Qatar Al-Jazeera

Anche qui la situazione è molto varia. il Marocco, ad esempio, non ha posizioni radicali, al contrario di quella fetta di popolazione marocchina immigrata in Europa. L’Algeria invece è profondamente ostile a Israele, perché sostiene una lettura antioccidentale e filoislamica. Ricordo che l’Algeria ha subito negli anni Novanta una guerra civile causata dal fondamentalismo religioso che provocò decine di migliaia di morti. In Tunisia la situazione invece è ancora diversa, perché fu il primo paese a essere attraversato dalle cosiddette primavere arabe, che portarono allo spodestamento della dittatura e all’avvio di una democrazia. A distanza di 10 anni oggi quel percorso sembra terminato, con lo scioglimento del Parlamento. In realtà, tale decisione ha visto l’assenso dell’opinione pubblica tunisina, perché un dato di fatto che va registrato e che in ogni paese arabo che si sia aperto a libere elezioni il risultato è stato l’infiltrazione del radicalismo islamico. Del resto, anche a Gaza, quando si è votato, il potere è stato preso da un movimento radicale ed estremista come Hamas.

Russia e Cina hanno interesse a operare nell’area del Medio Oriente?

il 10 marzo 2023 la Cina ha promosso il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita, interrotte dal 2016

Direi che la loro capacità di influenzare l’area è limitata. La Cina ha una presenza soltanto economica, nettamente inferiore a quella esercitata in Africa. L’unico tentativo di esercitare un ruolo nella Regione è stato quando ha svolto una mediazione fra Arabia Saudita ed Iran. Quanto alla Russia, se è vero che ha fatto della Siria un proprio protettorato, non ha una forte influenza sul resto della regione. Lo stesso presidente Assad si è tenuto fuori dal conflitto a Gaza, e se dalla Siria partono azioni ostili a Israele queste dipendono dalle milizie filo-iraniane.

A proposito di Iran: la morte del presidente Raisi che effetti potrà avere sulla stabilità del regime islamico?

Ebrahim Raisi, presidente dell’Iran, morto in un incidente aereo lo scorso maggio

La morte di Raisi, che qui in Israele viene considerata causata da un incidente e non da un’attività di intelligence – anche se la strategia di colpire la testa dei propri nemici è molto israeliana – pone il dubbio di che effetti avrà sulla società iraniana. La caratteristica dell’Iran è che ha una popolazione molto colta, che però non ha mai conosciuto una vera democrazia, perché prima della rivoluzione islamica c’era un regime monarchico. A distanza di tre generazioni dalla rivoluzione khomeinista del 1979, è chiaro che il sostegno alla rivoluzione islamica va scemando. Tuttavia, gli iraniani hanno il timore di sostituire l’attuale regime con qualcosa che non conoscono, visto anche l’esito delle primavere arabe nel 2011. Se è vero che i giovani protestano contro il regime degli ayatollah, è anche vero che al momento questa protesta non ha raggiunto ancora una dimensione veramente popolare nella popolazione.

La guerra a Gaza ha prodotto anche una serie di effetti collaterali, tra cui il bando della tv del Qatar Al Jazeera. Le accuse di essere uno strumento di Hamas sono fondate?

Muhammad Dief (a destra), stratega militare di Hamas, ideatore di numerosi attentati terroristici in Israele, da anni è ricercato dalle forze israeliane

Certamente all’interno di Al-Jazeera lavorano giornalisti professionisti, ma è altrettanto vero che la tv è completamente sottoposta al Qatar, e il Qatar, come ho detto, sostiene apertamente Hamas. Direi che non è lontana dalla verità l’affermazione che Al-Jazeera sia di fatto la portavoce di Hamas. Pensa soltanto che il 7 ottobre Deif, il capo militare di Hamas, ha rilasciato una dichiarazione proprio su Al-Jazeera. La difficoltà di comprendere la linea seguita dalla tv qatarina deriva dal fatto che trasmette sia in inglese che in arabo. In inglese la linea è più moderata, in arabo non ci sono freni all’ostilità contro Israele, al punto che città israeliane come Sderot e Tel Aviv vengono definite e delle colonie illegali. Su Al-Jazeera sentiamo parlare di resistenza di Hamas, di genocidio israeliano, di uccisioni volontarie. Io non so dire se questa televisione abbia suggerito ad Hamas le coordinate per colpire in territorio israeliano, ma è certo che la sua ideologia è pienamente in linea con quella di Hamas.

una riunione della lega araba

Un’ultima domanda: in Israele vive una componente arabo-israeliana. Quali sono state le sue reazioni dopo il 7 ottobre?

Direi che, a distanza ormai di tanti mesi, il patto sociale che lega la popolazione arabo-israeliana al resto del paese ha retto. Non ci sono stati in Israele episodi di linciaggio e violenza come ad esempio nel 2021. Va poi ricordato che il 7 ottobre sono stati uccisi anche arabi israeliani e beduini.

da ottobre si susseguono in Israele le manifestazioni per la liberazione degli oltre 130 ostaggi (non si sa quanti ancora vivi) prigionieri di Hamas

Certo, con il passare delle settimane, e con l’aumentare delle cifre delle vittime civili a Gaza, di cui tuttavia non conosciamo con esattezza il numero, anche la popolazione arabo-israeliana ha cominciato a esprimere il proprio dissenso, anche perché la guerra è per lo più seguita sul canale di Al-Jazeera. Tale sentimento negativo si è manifestato in alcuni casi con delle proteste nelle città arabe. Se però all’inizio la stretta della polizia è stata molto forte, con numerosi arresti, al punto che si è detto che Israele trattava i propri cittadini arabi come ogni Stato arabo tratta i propri, oggi la situazione si è andata normalizzando. Il dissenso oggi si può esprimere liberamente, ma tutto si svolge nelle forme di una democrazia.

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