In ricordo della Shoah degli ebrei di Libia
L’associazione ASTREL e il tempio Bet Shmuel dedicano Yom Ha shoah a una storia ancora poco conosciuta: la persecuzione degli ebrei libici e il campo di concentramento di Giado
Al tramonto di questa sera in Israele si ricorderà Yom ha Shoah, in corrispondenza con l’anniversario della rivolta del ghetto di Varsavia. Come già avvenuto in occasione del Giorno della memoria, l’associazione ASTREL (Associazione Salvaguardia Trasmissione Retaggio Ebrei di Libia), presieduta da David Gerbi, ha organizzato un incontro in ricordo degli ebrei di Libia perseguitati dal nazifascismo. L’incontro che si terrà presso il tempio Bet Shmuel (via Garfagnana, 4) dalle 17 alle 20.
Ma cosa verrà ricordato, in particolare? A prima vista, infatti, si potrebbe pensare che gli ebrei libici, lontani dall’Europa, riuscirono a passare più o meno indenni gli anni più duri della persecuzione nazifascista; in realtà, come ormai sempre più studi mettono in evidenza, non fu così.
Gli ebrei in Libia
Presenti nell’attuale Libia fin dall’esistenza del primo Tempio di Gerusalemme (VI secolo a.e.v.), si stima che, attorno agli anni Trenta del Novecento, la popolazione ebraica nel paese ammontasse a circa 25.000 persone. Di questi, oltre 15.000 vivevano a Tripoli (su circa 60.000 abitanti) e poco meno di 3.000 a Bengasi. Complessivamente, gli ebrei rappresentavano circa il 3,6% dell’intera popolazione libica. Si trattava di una comunità giovanissima, visto che ogni famiglia era composta, in media, di 4,38 membri, tra cui la fascia da 0 a 10 anni era la più numerosa.
La persecuzione razziale
Sottoposta a controllo italiano fin dalla guerra coloniale del 1911 voluta dall’Italia giolittiana, con l’avvio della persecuzione razziale del 1938 il fascismo inasprisce progressivamente anche le condizioni degli ebrei libici. Il 1942, quando nel corso dell’anno il regime fascista è sempre più profondamente logorato dalla guerra, e in Libia è prossimo a perdere il controllo del territorio per mano inglese, si assiste a un progressivo peggioramento della condizione degli ebrei. A febbraio Mussolini ordina l’evacuazione di tutti gli ebrei dalla Cirenaica e dalla Tripolitania, con la possibilità di una eventuale deportazione in Italia, mentre vengono trasferiti anche quelli con passaporto francese e inglese: i primi finiscono in Tunisia (poco meno di 2.000 persone), i secondi in Italia.
Ma che ne è degli ebrei libici che non vengono trasferiti altrove?
La Shoah degli ebrei libici
Con la Legge 9 ottobre 1942, n. 1420 (“Limitazioni di capacità degli appartenenti alla razza ebraica residenti in Libia”) il regime fascista si accanisce ulteriormente contro gli ebrei libici; nel frattempo, si avvia anche l’opera di internamento e deportazione. Dal 19 maggio al 21 giugno 1942 15 scaglioni di ebrei libici, per un totale 2.527 unità, vengono internati, dopo essere stati deportati dalla Cirenaica, a Giado, una ex caserma riconvertita in campo di concentramento. La decisione è presa anche come ritorsione, dal momento che gli ebrei di Libia si schierano fin dall’inizio del conflitto dalla parte degli inglesi, partecipando a delle sommosse in Cirenaica.
Giado si trova a circa 180 km a sud di Tripoli, nel deserto del Gebel. In questo modo il campo di Giado diventa il più importante di tutti i campi di detenzione e di lavori forzati dove vengono rinchiusi gli ebrei libici (un secondo campo, più piccolo, è allestito ad agosto a Sidi Azaz, a 150 km da Tripoli, ed è destinato soprattutto agli ebrei tripolini e ai lavori forzati: circa un migliaio di ebrei saranno internati e poi impiegati come lavoratori dietro il fronte e lungo le linee di comunicazione per l’Egitto; altri campi saranno approntati a Buerat El Hsum e Buq Buq).
Il campo di Giado, pur con la presenza di qualche soldato tedesco, è gestito dagli italiani: militi fascisti e carabinieri, con l’ausilio di ascari libici e carabinieri arabi. Gli internati sono sottoposti a persecuzioni e continue privazioni. A causa dei maltrattamenti, degli stenti, delle malattie, del caldo e della mancanza di igiene, si diffondono le malattie e numerose sono le vittime. In poco meno di un anno di detenzione, tra stenti o colpiti da tifo, muoiono oltre 500 ebrei.
Non è tutto. Mentre gli inglesi, tra il 1941 e il 1942, portano a compimento la conquista della Cirenaica, si inaspriscono le misure italiane anche contro gli ebrei non internati. Numerose anche le esecuzioni sommarie (Abramo Bedusa, i fratelli Iona e Shalom Berrubbi, ad esempio, il 12 giugno del 1942 vengono fucilati con l’accusa di aver seguito gli inglesi; molti altri ebrei vengono reclusi con analoghi capi d’imputazione).
La fine della persecuzione
Infine, il 23 gennaio 1943 il generale Montgomery sbarca a Tripoli, segnando la fine dei possedimenti africani italiani. Insieme agli inglesi arriva in Libia anche la Brigata ebraica, che aveva preso parte attiva nelle azioni di guerra al fianco dell’ottava armata britannica. Per gli ebrei di Libia è la fine della persecuzione.
Cosa sappiamo di Giado e degli altri luoghi di persecuzione?
La storia del campo di concentramento di Giado non è nota al grande pubblico. Mentre Auschwitz, Mauthausen o Majdanek indicano i luoghi della Shoah, si pone il bisogno di ricordare una storia che anche in Israele è stata in passato ignorata. A Giado 562 ebrei di Libia furono uccisi. A rendere difficile il percorso di ricostruzione di quello che accadde è il fatto che nessuna traccia fisica di quanto accaduto è resistita al tempo e allo sforzo del fascismo di cancellarne le tracce: le strutture del campo sono state rase al suolo; il cimitero ebraico è stato distrutto. Da qui la necessità di realizzare nuovi studi e diffondere la consapevolezza di quel che accadde in Libia.
L’iniziativa dell’ASTREL
Tra i partecipanti all’incontro di giovedì pomeriggio, Allegra Gutta Naim, sopravvissuta alla Shoah; Elia Lillo Naman, presidente del Bet Shmuel; il rabbino capo Di Segni, il presidente dell’Ari, rav Arbib, e i rabbini Hazan, Colombo, Carucci Viterbi, , Springer, Fisher e Roy. L’ambasciatore ex ministro degli esteri Giulio Terzi di Santagata, il presidente della fondazione Luigi Einaudi, Giuseppe Benedetto, l’on. Emanuele Fiano, il consigliere dell’Ucei, Saul Meghnagi (coordinatore della commissione cultura), la presidente Cer, Dureghello. Moriah Hacmun leggerà un passo di “Se questo è un uomo”, che ricorda la deportazione libica verso Auschwitz; il momento musicale sarà curato da Kinga Sadzinska, al violoncello, e dal coro dei bambini “Tiferet Israel”. Il suono dello Shofar è a cura di Mayer Naman, copresidente del Bet Shmuel.
Al termine della serata, dopo minchà e arvit, seguirà un rinfresco.
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