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Edoardo Volterra, un ebreo della diaspora

Edoardo Volterra è stato un giurista e un romanista tra i più noti della scienza del diritto. Ebreo, fu partigiano durante la resistenza, poi rettore dell’Università di Bologna, infine giudice costituzionale. Ne abbiamo ricordato la figura parlando con la figlia, Virginia

Signora Virginia, oggi ricorrono i quarant’anni dalla fine di mandato di giudice costituzionale di suo padre, Edoardo Volterra, e Riflessi vorrebbe, seppure in breve, ricordarlo. Si tratta di una figura conosciuta e studiata ancora oggi nel mondo del diritto per i suoi studi di diritto romano.

Edoardo Volterra (1904-1984)

La sua passione per il diritto romano nasce dai suoi maestri, Vittorio Scialoja e Pietro Bonfante con il quale poi si laureò.

Leggendaria a tale proposito è la Biblioteca che suo padre ha lasciato agli studiosi.

Oggi si trova all’Ecole francaise a Palazzo Farnese. Mia sorella Laura ed io volevamo infatti metterla a disposizione degli studiosi, purché però fossero rispettate tre condizioni: che avesse sede a Roma, che restasse unita, pur rispettando l’originaria ripartizione in un Fondo antico e in uno moderno, e naturalmente che si ricordasse con il nome di papà. Gli unici a garantirci il rispetto di tutte e tre le condizioni sono stati i responsabili dell’Ecole. Pensi che il Fondo antico ricostruisce anche il suo studio, con il tavolo di consultazione e la sua libreria. Il Fondo moderno è accessibile a tutti, ogni volume è stato catalogato, e così anche gli estratti.

l’Ecole Francaise, a Roma

Ai nostri lettori interesserà conoscere anche qualcosa della famiglia Volterra.

Mio nonno paterno, Vito, fu un illustre matematico, uno dei più importanti della matematica italiana, fondatore del CNR e senatore del regno. Mia madre invece veniva dall’Egitto, era una Levi Mortera, che mio padre conobbe durante una gita organizzata nel nord Italia dal geografo Roberto Almagià, cugino di mia nonna Virginia. Al Cdec tra l’altro sono conservate le sue memorie. ebbero due figlie: mia sorella maggiore, Laura [e me. La differenza d’età, 20 ani, era notevole, per cui mio padre, scherzando, diceva sempre che aveva avuto una figlia prima del fascismo, e una dopo il fascismo.

Che poi è un modo ironico per accennare a tutte le traversie vissute durante la dittatura.

Vito Volterra (1860-1940)

Mio nonno si schierò fin da subito contro il regime, per questo subì pesanti conseguenze e fu progressivamente allontanato da diverse cariche. Mio padre da studente era stato picchiato all’università durante dei tafferugli, perché fin da subito fu fortemente antifascista. Mio nonno si rifiutò di effettuare il giuramento di fedeltà fascista; mio padre, invece, alla fine nel 1931 acconsentì, anche consigliato in questo dal suo circolo di amici, tutti antifascisti, con l’idea che un giovane studioso, all’inizio della carriera come lui sarebbe stato utile dentro il mondo universitario per non lasciarlo completamente in mano agli uomini del regime. Di fatto sia Gramsci che Croce dicevano che sarebbe stato utile farlo, per restare dentro l’università. Fu comunque una decisione molto sofferta.

Alla fine arrivò la guerra a porre fine alla dittatura.

Sì. Durante la guerra mio padre fu partigiano, nella zona dei Castelli romani, dove avevamo uno storico villino di famiglia, ad Ariccia, occupato dai tedeschi nel 1943. Partecipò a molte azioni armate, come attestato dalle memorie di altri partigiani, come ad esempio Mario Fiorentini. Vittorio Sacerdoti se lo ricorda in un incontro clandestino al Fatebenefratelli che indossava delle armi sotto il mantello. Ricordo che mi raccontava come si fecero insegnare da Joyce Lussu (la moglie di Emilio Lussu, n.d.a.] come montare alcune armi che recuperavano dai lanci degli alleati.  Una volta durante il recuperò di uno di questi lanci con materiale prezioso, quando già erano sulla strada del ritorno, lui tornò indietro per recuperare la stoffa del paracadute che sarebbe stato prezioso per cucire delle camicie. Mio padre fu uno dei fondatori di “Giustizia e Libertà”, e alla fine della guerra, per la sua attività di partigiano nella lotta armata, fu insignito della medaglia d’argento. Il periodo della guerra e della clandestinità viene descritto molto bene da mia mamma in un racconto “Ritorno alla libertà” (reperibile qui)

E dopo la guerra?

il Villino Volterra, casa storica della famiglia, si trova ad Ariccia.

Naturalmente riprese l’insegnamento universitario, che fu sempre la sua passione, fino alla fine. Tra l’altro fu rettore a Bologna, dove fu determinante per ricostruire l’università bombardata dagli alleati durante la guerra.

Immagino che per il suo prestigio e per la sua esperienza politica, il salotto di casa fosse molto frequentato.

In casa si parlava di diritto e di politica, ricordo che da noi venivano Emilio Lussu, Mario Segni, con cui mio padre aveva legato dai tempi della cattedra a Sassari, e poi ancora Carlo Levi, Linuccia Saba, Pietro Sraffa, Emilio Sereni, Giorgio Amendola, Nerio Nesi, Riccardo Lombardi, Riccardo Bauer. Oltre naturalmente i tanti studiosi di diritto romano.

Suo padre era schierato politicamente?

Emilio Sereni, dirigente del PCI, fratello di Enzo Sereni, emigrato in Palestina e caduto in guerra

Politicamente fu sempre vicino al PCI, anche se non fu mai iscritto. Votava comunista, Definirei mio padre un grande conservatore liberale, filo comunista.

Poi, nel 1974, arrivò la nomina a Giudice costituzionale.

Naturalmente ne fu molto contento, però allo stesso tempo gli dispiacque molto lasciare l’università, anzi credo che per lui fu un dolore immenso. La nomina la fece Giovanni Leone, come Presidente della Repubblica: anche se erano colleghi, certo non avevano le stesse idee politiche, e per questo fu anche un po’ inaspettata. Comunque, prese il suo nuovo impegno con grande rigore. Scrisse la sentenza sul delitto di plagio (sent. n. 96 del 1981, n.d.a.) – anche se noi in caso ci scherzavamo su, dicendo che aveva dichiarato incostituzionale la norma perché lui, in fondo, aveva plagiato la mamma… – e poi ancora delle pronunce importanti in materia di diritto del lavoro. E poi ci fu il processo Lockheed, che pure lo vide molto impegnato. Per tutto il suo mandato fu attentissimo a rispettare le regole che gli imponeva il suo ruolo. Si figuri che a noi familiari fu sempre vietato servirci della vettura di servizio se non per accompagnarlo.

Braibanti, condannato per il delitto di plagio, fu al centro dello scandalo che portò poi la Corte a dichiarare incostituzionale il reato

E per quel che riguarda la vostra identità ebraica?

Mio padre, anche se per i suoi studi leggeva ebraico e aramaico, era decisamente laico, e rimase tale per tutta la vita. Io sapevo di essere ebrea, ma siccome non andai a scuola fino a 8 anni – mio padre non voleva, di fatto che andassi a scuola e preferiva che stessi all’aria aperta, cominciai solo quando mia madre, un po’ per scherzo, minacciò mio padre di denunciarlo ai carabinieri –  allora presi coscienza solo col tempo della mia identità. Ricordo che, in classe, cominciai dalla quarta elementare, e che ogni mattina si cominciava con una preghiera cattolica. Io mi alzavo come tutti, ma non recitavo la preghiera Il mio problema era come tenere le mani, dicevo di essere ebrea ma quando mi chiedevano qualcosa su questa religione non sapevo spesso cosa rispondere. Ero insomma molto ignorante. Poi accadde che alle medie fui in classe con Aldo Astrologo, e Paolo Mieli, e, all’ora di religione uscivamo in tre dalla classe, finalmente non ero più sola e “diversa”!

E sua madre?

Il Tempio maggiore

Mia madre, invece, era un poco osservante; teneva ad alcune tradizioni e alle festività principali; a Kippur, ad esempio, si andava spesso al tempio maggiore (noi abitavamo a Porta Pinciana). A lei la nonna Virginia, moglie di Vito, aveva affidato un libro dei Salmi su cui erano state appuntate tutte le ricorrenze familiari, nascite, morti e matrimoni degli Almagià (i genitori della nonna) e dei Volterra, inclusa la nascita del Nonno Vito. La mamma rispettava il sabato, seppure a modo suo. Il seder non lo facevamo, abbiamo cominciato solo dopo che diventai amica di Fiorella Bassan, che prese a invitare mio padre e la nostra famiglia. In una di queste occasioni mio padre raccomandò a suo padre, Ugo, di continuare ad invitarci anche nel futuro, in particolare mia figlia Sara, forse in qualche modo ci volle affidare a loro, per così dire. Per il resto, ricordo che mio padre prendeva in giro la mamma perché rispettava le regole alimentari della pasqua ebraica. Però questo non significa che mio padre non fosse legato alla sua identità ebraica, solo che non era religioso. C’era forte l’idea che la nostra famiglia fosse sì ebraica, ma della diaspora, e che quindi facessimo parte a pieno titolo della vita sociale e politica del paese. Le racconto questo aneddoto: quando si andava al ristorante – erano i primi anni del dopoguerra – mio padre era abituato a osservarsi intorno, e a immaginare chi, in caso di necessità, cioè se noi ebrei fossimo di nuovo perseguitati, ci avrebbe potuto aiutare. Mi padre ci tenne sempre molto, a riconoscere quelli di cui ci potevamo fidare.

Edoardo Volterra (al centro) il giorno del giuramento a giudice costituzionale

Che rapporti aveva suo padre con Israele?

Fu sempre molto critico.

Perché?

Innanzitutto c’era la motivazione politica. Mio padre ed Emilio Sereni furono sempre molto amici – mio padre aveva salvato Mimmo dai fascisti, come ha scritto sua figlia Clara ne “Il gioco dei Regni” –, e come sa il PCI si schierò dalla parte dell’URSS e contro Israele durante e dopo la guerra dei Sei giorni. Di fatto io potei visitare Israele solo dopo la morte di mio padre, perché sapevo che gli avrei dato un dispiacere. Durante la guerra dei sei giorni era costantemente attaccato alla televisione e in pena per gli ebrei, ma la sua contrarietà allo Stato rimase. E poi ci fu un altro motivo.

Quale?

soldati israeliani durante la guerra dei giorni

Nel suo giudizio pesava anche il fatto che, come le ho detto, mio padre si sentiva sì ebreo, ma un ebreo della diaspora, e temeva che la nascita di uno Stato ebraico avrebbe messo a rischio l’esistenza degli ebrei che vivevano fuori di esso. Credo che abbia sempre ragionato da ebreo italiano. Quando si pose la possibilità di lasciare l’Italia per sfuggire al fascismo, si rifiutò di abbandonare il paese, anche se gli vennero proposte dal Sudamerica e credo anche dall’allora Palestina.

Ci può aiutare a ricordare suo padre nella sfera privata?

la PaulyWissova
la Pauly-Wissova

Fisicamente lo ricordo come un uomo molto alto, magro. Forse all’esterno appariva austero, ma con noi, soprattutto con me che ero la più piccola, è sempre stato molto affettuoso. Io ero autorizzata a raggiungerlo nella sua biblioteca di Porta Pinciana: lo studio nero per i libri antichi, lo studio moderno per gli altri, dove bisognava bussare per entrare. Eravamo tutti terrorizzati della biblioteca! Io avevo il raro privilegio di aiutarlo nell’ordinare e ripulire i suoi preziosi volumi. Mi faceva mettere la naftalina, da noi si viveva nella naftalina. Qualche volta, per spaventarlo, minacciavo di rovinare la Pauly-Wissowa (l’Enciclopedia reale dell’antichità classica, fu pubblicata dal 1893 al 1978, n.d.a.). Quando c’era qualcosa di noi che lo faceva arrabbiare – si arrabbiava per gli scuri lasciati aperti, perché la luce avrebbe rovinato i quadri o i libri più antichi – facevano parte delle cosiddette “delinquenze e criminalità!”, un po’ come il padre di Natalia Ginzburg.

Per concludere, qual è l’eredita morale che le ha lasciato suo padre?

L’importanza dello studio e della scienza, innanzitutto. E poi il rispetto delle idee proprie e altrui. E l’importanza dello studio delle lingue. Pensi che il tedesco ho dovuto imparare a scriverlo quasi prima dell’italiano. il tedesco per mio padre era la lingua della cultura e della scienza, ma non solo, la sua ottima conoscenza del tedesco aveva contribuito a salvare lui e i suoi compagni nel periodo della resistenza.

 

10 risposte

  1. Un insieme di notizie che, essendo profana a riguardo, non conoscevo, ricordo solo alcuni nomi di cui si parlava in famiglia…Molto interessante, e mi appartiene essendo una Volterra!!!grazie

  2. Brava Virginia e’ questo il messaggio da offrire oggi e cioè’ far conoscere il contributo dato in vari campi all’Italia da parte dei suoi cittadini ebrei.

  3. Bella intervista, lucida e vivace. Senza fronzoli e sentimentalismi ma profondamente laica: uno stile pienamente Volterra! C.C.

  4. Grazieeeee Virginia di queste pagine come sai ho potuto conoscere bene il Professore quando per ben due volte ho sostituito la sua assistente. Durante i nostri pomeriggi era per me affascinante ascoltare i suoi ricordi ed era pieno di attenzioni nei confronti di chi lo circondava. Parlava con affetto sincero dei suoi alunni e collaboratori e aveva uno straordinario senso dell’umorismo. Potrei continuare per ore con i ricordi e tu lo sai. Il mio affetto la mia ammirazione per Lui e per tutta la vostra famiglia ti è nota e considero la vostra amicizia uno dei doni più grandi che la vita mi abbia fatto. Cristina sannucci

  5. Interessantissima intervista che ricostruisce in pieno la figura di un uomo straordinario, di studio e di azione – cose rarissime da trovare insieme – coraggioso e riservato, e per di più dotato di un finissimo senso dell’umorismo. Assolutamente da non perdere il vivo racconto delle traversie dell’esilio e della clandestinità fatto dalla diversissima e inseparabile moglie Nella, che ha condiviso con lui tutta una lunga vita movimentata.
    Per quanto riguarda il suo particolare rapporto con l’ebraismo, vorrei ricordare quanto mi raccontò più volte, che a suo tempo, credo negli anni Trenta, aveva combattuto una battaglia legale per non essere iscritto di ufficio alla Comunità ebraica; ma quando ci furono le leggi razziali, chiese ed ottenne di essere iscritto. Questo chiarisce molto bene che tipo di uomo e di gentiluomo era.

  6. Virginia varie notizuole di questa interessante stringata quantunque profonda intervista le conoscevo dalle nostre passeggiate montane raccontandoci. Sei stata brava, riconoscente, rispettosa, orgogliosa a tutto tondo. Letto fino in fondo con interesse e partecipazione emotiva. A presto

  7. in questo ritratto di Virginia ho riconosciuto perfettamente il mio professore. aggiungo due ricordi . il coraggio anche fisico con il quale reagì, me presente, alla minaccia della pistola puntata contro di lui da uno studente fascista nel post 68, dandogli una bastonata in testa (si era rotto una gamba dopo una nevicata) e correndogli dietro, pur zoppicando. il signorile rammarico con il quale non accettò che io, bibliofilo, gli regalassi un libro prezioso acquistato per caso – appendix codicis theodosiani 1631 — che mancava alla sua biblioteca, dicendosi appagato del privilegio che glielo lasciassi in prestito per qualche giorno

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