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Da Pisa al Parlamento italiano, una vita nelle istituzioni

Valerio Di Porto per trent’anni ha servito le istituzioni parlamentari. Nato e cresciuto in una piccola comunità, racconta a Riflessi della politica italiana, ma anche della sua identità ebraica, costruita dentro una famiglia aperta all’accoglienza

Valerio, comincerei a parlare di te…iniziando dalla tua famiglia

Valerio Di Porto è stato consigliere parlamentare

Volentieri. Allora, partirei dai miei genitori. Mio padre era il minore di quattro fratelli. Il maggiore, Arturo, più grande di diciassette anni, è stato avvocato, interessato alla linguistica, appassionato di etimologie, con intuizioni geniali. Marina Di Porto, fragile e fortissima, ha sposato Ettore Di Segni, uno dei fratelli di Tosca, i cui diari sono stati di recente pubblicati. Con il terzo, Sergio, medico, mio padre si sentiva telefonicamente più volte al giorno, fin quando è mancato, in piena pandemia. Della famiglia originaria resta mio padre, Bruno, storico, per anni docente di storia del giornalismo all’Università di Pisa, città nei pressi della quale ancora abita con mia madre, romana di origine napoletana e cattolica, atea ma fondamentale per la mia identità ebraica.

E della generazione precedente che mi dici?

Il Diario di Tosca (Zamorani, 2020) racconta la vita di Tosca Di Segni, la cui famiglia si intreccia con quella di Bruno Di Porto

Mio nonno Samuele proveniva da un’antica famiglia romana e sposò Lavinia, figlia del barone Arturo Di Castelnuovo, personaggio poliedrico, che nel 1920 fondò l’originale rivista “Echi e commenti”, diretta per molti anni dall’economista ebreo mantovano Achille Loria. Probabilmente Matteotti avrebbe pubblicato sulla rivista del mio bisnonno le rivelazioni sulle speculazioni petrolifere dell’entourage di Mussolini, ma venne sequestrato e assassinato prima.

Che infanzia è stata la tua?

l’oratorio di via Balbo

Abbiamo vissuto a Viterbo, unici ebrei della cittadina, e poi a Pisa, dove mi sono trasferito a 14 anni. Lì ho conosciuto la comunità pisana, piccola, ma viva, di cui sono stato consigliere per undici anni e cui sono tuttora iscritto come comunità d’origine, grazie alla modifica statutaria del 2010, che sono fiero di aver contribuito ad elaborare, perché ha consentito la doppia iscrizione, al fine di non recidere i legami con le comunità più piccole. Sono venuto a Roma nel 1988. Ho frequentato per molti anni il tempio dei giovani, ora vado all’oratorio Di Castro di via Balbo. Chiaramente conoscevo la comunità di Roma, dove avevamo contatti e familiari, e avevo fatto i campeggi dell’ha-Shomer Hatzair. Quando sono arrivato mi è sembrata una comunità con molta intraprendenza, con voglia di fare, con le sinagoghe “di quartiere”, e con una vita culturale molto viva.

Perché ti trasferisti a Roma?

un’altra immagine di Palazzo Montecitorio, sede della Camera

Per lavoro. Avevo vinto il concorso da consigliere alla Camera dei deputati, dove ho lavorato per trent’anni, fino al 2018. Ora mi dedico alla didattica, alla ricerca, collaborando con enti, università, associazioni varie.

Che percorso professionale hai seguito alla Camera?

Mi sono sempre occupato del settore legislativo e della documentazione. Così ho lavorato al Servizio Assemblea, un ufficio di supporto alla presidenza nelle sedute di Aula e nella loro preparazione. Il mio lavoro è consistito soprattutto nella revisione dei progetti di legge presentati ai fini di una loro corretta redazione formale, e nella cura degli emendamenti presentati ai testi discussi in Assemblea. Poi sono stato diversi anni segretario della Commissione agricoltura, lavorando in stretto raccordo con la presidenza. Come segretario, seguivo tutto i lavori della Commissione, dalla loro programmazione fino alla resocontazione delle sedute, curando la corretta redazione formale dei testi discussi e approvati. Infine ho lavorato nel settore documentazione: ho coordinato per molti anni l’Osservatorio legislativo e parlamentare, luogo privilegiato per monitorare lo stato della legislazione italiana e dei principali Paesi europei, attraverso un reticolo istituzionale molto fitto che coinvolge le Assemblee legislative regionali. Nel mio percorso, c’è stata anche una parentesi governativa: dal 2000 al 2001 sono stato Capo ufficio legislativo del Ministero delle politiche agricole, un’esperienza breve ma intensa, faticosa e bella.

il deputato Orsenigo (Lega) mostra il cappio dai banchi della Camera

Stavo pensando che il trentennio 1988-2018 è stato ricco di grandi travolgimenti nella politica e nella società italiana.

È vero! Sono stati anni pazzeschi, soprattutto quelli tra il 1992 e il 1996. Tra le istantanee indimenticabili cito la terribile scena del cappio mostrato alla Camera da un deputato leghista e il drammatico discorso di Craxi sull’autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Tra il 1992 e il 1994 c’è stata una svolta anche nei rapporti tra parlamento, governo e magistratura. Con la scelta di modificare la disciplina dell’autorizzazione a procedere c’è stato il cedimento della politica nei confronti della magistratura. Giuseppe Benedetto ha titolato un suo recente volumetto – forse con qualche esagerazione ma non senza fondamento – “L’eutanasia della democrazia”.

Quindi vedi una parabola negativa della politica italiana?

il Governo Draghi ha da poco compiuto 1 anno dal suo giuramento

Non necessariamente. È vero che si sono ridisegnati i rapporti tra parlamento e governo e tra politica e magistratura e che i partiti sono diventati, come si usa dire oggi, entità molto liquide, ma credo che la politica e le istituzioni italiane abbiano una grande vitalità e doti inventive non comuni nel panorama comparato, che hanno permesso, per esempio, un’inedita successione di governi in questi ultimi anni, dal governo gialloverde al governo rossogiallo (con tanto di ribaltone), fino al governo Draghi. Se guardiamo altrove, Israele è passata da un’elezione all’altra per riuscire a voltare pagina con un governo non più guidato da Netanyahu; il Belgio è rimasto per anni senza un governo.

Che giudizio dai allora della nostra classe politica?

La sede del parlamento europeo, a Starsburgo

È cambiato completamente il quadro. Io sono entrato alla Camera nella X legislatura, in cui i partiti apparivano più solidi di quanto non fossero e il Parlamento recitava ancora un ruolo da assoluto protagonista nell’attività normativa. Tra tutti, forse il 1990 è stato un anno straordinario, in cui furono approvate con legge numerose riforme, da quella delle autonomie locali al sistema radiotelevisivo, fino alla fondamentale legge sul procedimento amministrativo. Però era anche un mondo dall’andamento più lento e con difficoltà enormi nella programmazione dei lavori, per la presenza di manovre ostruzionistiche e dilatorie facilitate da regole procedurali a maglie troppo larghe. Quando le maglie sono state ristrette, questi fenomeni sono stati fortemente ridimensionati, imprimendo maggiore efficacia e economicità ai lavori parlamentari. Nel frattempo, però, la scena è andata complicandosi per effetto di tanti fattori: globalizzazione, rafforzamento da un lato dell’Unione europea (a partire dagli accordi di Maastricht) e dall’altro delle regioni, la nascita di tante autorità indipendenti con poteri di regolazione, la lunga crisi economica e poi quella pandemica, le nuove tecnologie e la velocità con cui il mondo cambia …. Tutti fattori che hanno anche rinvigorito il ruolo del Governo rispetto a quello del Parlamento, che oggi non è più l’unico protagonista al centro della scena, ma un attore tra i tanti: però è anche l’unico attore scelto dal pubblico e che quindi lo rappresenta davvero.

Vedi il Parlamento in declino?

il presidente Mattarella nella cerimonia di giuramento del suo secondo setttennato

No. In realtà ci sono cambiamenti continui, in cui però il Parlamento riesce sempre a ritagliarsi un ruolo, di interlocuzione e di sintesi. Lo abbiamo visto di recente, anche con il Pnrr, quando il Parlamento si è inserito, sia in fase di elaborazione del piano, che ora nella governance e nel monitoraggio di ciò che viene fatto. Se posso permettermi un’analogia, mi sembra che la stessa dinamica si realizzi nell’ambito UCEI, col “parlamentino” nato dalla riforma del 2010, che ha sostituito – a mio giudizio opportunamente – il consiglio a 15, allargando l’assemblea a quasi tutte le comunità.

Tra i vari Presidenti della Camera, quali ricordi meglio?

Nilde Iotti, prima presidente della Camera donna

Di certo Nilde Iotti, figura leggendaria, equilibrata, dalla grande reputazione, e poi Luciano Violante, grande conoscitore della macchina ammnistrativa, cui imprimeva ritmi di lavoro intensi. Violante è stato non a caso l’artefice dell’ultima grande riforma regolamentare, cui prima accennavo.

Nella tua professione, come ha inciso la tua identità ebraica?

(continua a pag. 2)

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