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La Brigata ebraica si trovò quindi ad operare dopo un ulteriore periodo di addestramento al combattimento in Italia (tra Fiuggi e Palestrina nel Lazio), tenutosi successivamente al suo sbarco a Taranto. Sotto il comando inglese, inserita negli ordini di battaglia dell’Ottava armata, fu in un primo tempo trasferita nell’area adriatica del fronte anglo-tedesco e poi inserita in linea nei primi giorni di marzo del 1945. Attestatasi in prossimità delle truppe nemiche, ricevette quindi la bandiera di combattimento (tre strisce bianche, intervallate da due azzurre, con al centro il simbolo del Maghen David, la stella di Davide). Con tali insegne, partecipò ai combattimenti, insieme ad unità del Corpo italiano di Liberazione e reparti della Terza divisione del Corpo di armata polacco.

4. La partecipazione della Brigata alla guerra di Liberazione in Italia

Alfonsine durante la guerra

Così ad Alfonsine, in prossimità di Ravenna, tra il 19 e il 20 marzo 1945, poi a Brisighella, con i bersaglieri e i granatieri del Gruppo di combattimento Friuli contro la Quarta divisione paracadutisti germanica, dove conquistò la zona meridionale del fiume Senio, stabilendovi quindi una testa di ponte sulla riva opposta. Nei primi dieci giorni di aprile operò, in accordo con il resto del fronte alleato, nello sfondamento della Linea gotica, sulla quale erano attestate le truppe tedesche. Il ciclo operativo dell’unità durò dal 3 marzo alla fine di aprile 1945, contando ottantatre caduti (parte dei quali tumulati in Italia, a Piangipane, nel ravennate) e circa duecento feriti. A conflitto concluso, venne raccolta ed acquartierata a Tarvisio. Le compagnie di genieri e trasporti furono inoltre suddivise nel nord d’Italia.

Al di fuori degli impieghi bellici, vincolati alla rigida volontà del comando britannico, la Brigata ebraica svolse altre funzioni, provvedendo al sostegno della popolazione ebraica sopravvissuta all’occupazione nazifascista. In tali vesti, in un’Italia che era stata appena attraversata dal ciclone della guerra, si impegnò in un’azione di supplenza rispetto alle autorità pubbliche nel concorso attivo (cibo, indumenti, abitazioni, medicinali ma anche informazioni e comunicazioni oltre che i servizi religiosi e liturgici) verso le famiglie, i profughi, gli orfani, cercando di garantirgli inoltre le condizioni minime per la ripresa della vita civile e sociale. Dopo la liberazione di Roma, ad esempio, i militari ebrei si impegnarono nell’azione di soccorso verso la comunità capitolina, drammaticamente colpita dalle deportazioni. Contribuirono a riaprire il Tempio e la scuola elementare Vittorio Polacco. Inaugurarono il centro giovanile in via Balbo, dove tennero corsi di storia, cultura e lingua ebraica. In tali vesti, vennero anche spiegando quale fosse il significato dell’istituzione di una comunità politica ebraica nella Palestina mandataria. Furono inoltre tra quanti concorsero a riattivare l’attività della Delasem, l’organizzazione (istituita ai tempi del fascismo, nel 1939, e poi dal 1943 entrata in clandestinità) di coordinamento per l’assistenza verso i profughi ebrei.

5. La Brigata dopo la guerra

qui e sotto: militari della brigata ebraica

Una seconda funzione fu quella, di sostenere i profughi che dall’Europa centrale si trasferivano verso altre mete, soprattutto la Palestina mandataria. Tale attività era considerata totalmente illegale dagli inglesi, e quindi sistematicamente osteggiata. Le unità della Brigata ebraica si adoperarono attivamente nella tessitura di una rete di comunicazioni clandestine che trovava nei porti liguri, dove spesso il sostegno della popolazione locale e dei lavoratori risultava strategico, il punto di partenza per un naviglio (nel suo insieme si conteranno più di una sessantina di battelli di vario tonnellaggio, molto spesso abborracciati, adibiti al trasporto di sopravvissuti alla deportazione e allo sterminio) che si muoveva verso le terre del futuro Stato d’Israele. Segnatamente, molte di queste imbarcazioni, una volta arrivate in prossimità delle coste del Mediterraneo orientale, venivano intercettate dagli inglesi, abbordate, sequestrate, mentre il personale di bordo veniva arrestato e i passeggeri internati perlopiù a Cipro. Nel complesso, quella che era conosciuta come «Brichà» («volo») e «Aliya Beth», garantì a molti ebrei europei, divenuti nel mentre apolidi di fatto, l’approdo nel Mediterraneo orientale. Si stima che il contributo dei membri della Brigata ebraica a questa migrazione collettiva abbia interessato tra i 15mila e i 22mila correligionari. Non era infrequente che ad una tale opera si accompagnasse nel mentre l’impegno ad avviare i profughi verso attività di preparazione al lavoro agricolo, artigianale e di auto-protezione, in previsione degli impegni che li avrebbero coinvolti una volta giunti alla loro definitiva destinazione.

Nel suo complesso, l’attività di assistenza dei membri delle unità ebraiche, era a malapena tollerata dalle autorità britanniche. Se da un lato ciò contribuiva ad alleviare le penose condizioni nelle quali versavano molti profughi, dall’altro era chiaro che l’obiettivo di essa era quella di preparare i beneficiari all’immigrazione nella terra d’Israele. Anche per questa ragione, ossia dinanzi al ripetersi delle frizioni con il comando inglese, che guardava con ostilità alla migrazione in atto, la Brigata fu prima trasferita come unità di occupazione in Belgio e in Olanda e poi smobilitata, dopo essere stata assegnata all’Ottavo corpo dell’esercito britannico, all’epoca stanziato sul Reno, nello Schleswig-Holstei.

Entro la fine dell’estate del 1946 aveva cessato formalmente di esistere, anche se una parte dei suoi componenti, non rientrati nella Palestina mandataria, continuarono ad operare in Europa ed in Italia per continuare a favorire l’ingresso dei profughi in quello che di lì a poco sarebbe divenuto lo Stato d’Israele.

6. La Brigata ebraica medaglia d’oro al valor militare

Il presidente Sergio Mattarella al Tempio maggiore di Roma, nel 2020

Conclusosi quell’arco di tempo e subentrato, nel maggio del 1948, lo Stato d’Israele, la vicenda della Brigata fu riassorbita dentro l’evoluzione delle forze armate israeliane, divenendo oggetto di memoria. In Italia, il 3 ottobre 2018, per volere del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dopo il voto unanime delle Camere, l’ex unità è stata insignita della medaglia d’oro al valor militare per il suo contributo alla lotta di Liberazione. In Israele, tra i veterani che avevano già combattuto sul territorio italiano, trentacinque di loro divennero poi generali. Al di là del medagliere e delle onorificenze restano tuttavia le motivazioni politiche che spinsero alla lotta, indossando la divisa dell’esercito inglese, migliaia di uomini. I quali si trovarono ad agire entro i rigidi margini di manovra imposti dalla Gran Bretagna, potenza mandataria fino al 1948. L’adesione alle ragioni del fronte alleato erano peraltro incontrovertibili e insindacabili, trattandosi di una questione di vita o di morte. Ma anche di dignità.

Al pari di ogni resistente d’Europa.

 

 

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