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Che reazione ha avuto il documentario?

Sergio Israel

Sergio: il film è uscito da poche settimane, e noi confidiamo che, a poco a poco, potrà essere proiettato ovunque, nelle scuole e nelle scuole e Associazioni ebraiche. Io credo che questo film abbia molte potenzialità, perché contiene un grande messaggio educativo. In effetti molti educatori, insegnanti e pedagoghi ci stanno contattando per organizzare future proiezioni. Tra breve andremo a Treviso, a Fondi, a Genova e a Lugano. Siamo stati a Fano, al Film Festival di Ancona a Senigallia, a Reggio Emilia e a Reggio Calabria, a Messina, a Roma (al Barberini e al Troisi), a Trento e a Milano (al Beltrade) e in molti altre parti. Il 22 gennaio abbiamo una nuova proiezione al Beltrade di Milano. Inoltre è stato appena concluso un accordo per la distribuzione internazionale con Intramovies, che assicurerà la presentazione nei principali Festival d’ Oltremare ed europei oltreché nei cinema delle grandi città.

L’identità ebraica familiare ha inciso nella crescita dei vostri figli? E se sì, in che modo?

Monica Carletti

Sergio: l’identità ebraica di Benjamin e Joshua è percepita in maniera molto forte da parte loro, del resto noi li abbiamo sempre educati in questa direzione, fin dalla nascita. In famiglia abbiamo sempre dato una forte impronta sionistica, anche se laica, pur rispettando i moadim. Monica ed io abbiamo sempre concordato questa scelta. Sapevamo però che non potevamo far loro fare il ghiur presso una comunità ortodossa, perché la fragilità dei nostri figli non consente loro di avere una sufficiente ritenzione teorica delle cose da imparare per essere perfettamente osservanti, ma questo non ci ha fatto rinunciare a perseguire l’obiettivo di farli entrare nel mondo ebraico. Oggi noi frequentiamo la sinagoga reform di piazza Napoli, a Milano, il nostro punto di riferimento è stato a lungo il rabbino Haim Cipriani, che ora si è trasferito prima a Marsiglia e poi a Genova. I ragazzi hanno effettuato con lui il ghiur a Parigi, ed il bar-mizvà nella Sinagoga di Lev Chaddash, poi hanno sempre frequentato l’Hashomer, ed è per questo che Joshua ha sempre sviluppato il desiderio di andare in Israele ad effettuare la sua Gadnà. Alla fine è riuscito anche a vestire la divisa militare, grazie all’ Associazione “Gadolim bamadim – Special in uniform” un’associazione legata al Jewish National Fund  che consente a persone con disabilità di svolgere un ruolo nell’IDF, come formazione per successive attività lavorative. Credo che l’IDF sia l’ unico esercito al mondo aperto all’ etica del coinvolgimento di giovani disabili in alcuni suoi tirocini e non hai idea dell’ effetto che questi producono sui ragazzi in termini di autostima e di senso di orgogliosa appartenenza. Voglio precisare che per la realizzazione del film abbiamo avuto un aiuto dall’Hashomer, che ha partecipato attivamente ad alcune fasi della sua realizzazione, dandoci una mano sia nella parte girata in Israele, sia nella ricostruzione delle scene del campeggio.

il cast e la regista a Venezia

Che effetti ha fatto il film su di voi, come genitori?

Monica: ci siamo messi in gioco totalmente, abbiamo dato tutta la nostra disponibilità, tant’è che il film è girato molto in casa nostra. Tuttavia, voglio precisare che la nostra visibilità, nel film, soprattutto la mia, è di semplice accompagnamento. Non abbiamo mai voluto invadere il campo, d’accordo con la regista. Nel film credo si veda bene che i protagonisti sono loro, Benjamin e Joshua, che si esprimono nel modo in cui affrontano le gioie e la bellezza del mondo, ed anche i momenti più difficili. Lungo un arco di 5 anni, dalla loro Maturità scientifica (solo attestato di frequenza) fino ai nostri giorni, si impadroniscono a poco a poco della loro esistenza, anche con un semplice sguardo, crescendo con lo stesso film. Noi c’eravamo, ma senza essere mai invasivi. Girare questo film è stato un momento magico, che ci ha consentito di far emergere da un lato le fragilità “creativa” dei nostri figli, e quindi anche il talento che spesso le persone come Benjamin e Joshua hanno. Per noi insomma è stato un motivo di orgoglio, fare questo film. Volevamo dare la possibilità a due persone, che nella realtà fanno fatica a esprimersi, di mostrare e comunicare la loro leggerezza e la loro creatività.

Valentina Bertani

Sergio: questo atteggiamento non invasivo che descrive Monica, ben integrato dalla regia, alla fine ha trasformato anche noi. Voglio dire che al termine del film è cresciuta la consapevolezza che è possibile far sviluppare, coi tempi e i modi dovuti, i valori, le creatività che le persone con fragilità possiedono. Si tratta solo di imparare ed insegnare a scoprirli. Tutto lo staff ha lavorato in questo senso, in un luogo di crescita comune, emotiva e consapevole, un interplay corale intimamente vissuto e trasformante.

Per la vostra esperienza, il nostro paese è a misura delle persone fragili?

Monica: il tema è proprio questo. Non è affatto facile per le persone con fragilità e le loro famiglie vivere nel nostro paese. Dobbiamo applicarci in un lavoro costante, io dico sempre che sono i miei figli a essere i nostri maestri, sono loro che ci insegnano come fare i genitori. È tutta una scoperta, questa vita ci pone la necessità di trovare nuove soluzioni; a volte siamo noi che ci riusciamo, a volte sono gli psicologi e gli educatori. Fin dalla nascita di Benjamin e Joshua noi ci siamo attivati per cercare di dargli sempre tutto. Se però devo giudicare il sistema in cui viviamo, devo dire che è ancora molto deficitario. Il paese è molto indietro rispetto alla realtà, e tutto sommato noi siamo fortunati di vivere a Milano, dove ci sono molte più opportunità che altrove.

il film si svolge anche in Israele

Sergio: viviamo in un sistema che ha un’impostazione ancora molto assistenziale, e che fa enorme fatica a far emergere le potenzialità, i valori, i talenti che possiedono le persone con fragilità. Le parole hanno un peso, e oggi si parla di inclusione, che certo è un termine migliorativo rispetto a disabilità o a persone con handicap, ma ancora esprime una visione in cui le persone con fragilità sono in qualche modo subalterne. È come se vivessimo in un mondo superiore che, bontà sua, aspira ad includere uno inferiore. Tutto il sistema, i suoi istituti, le sue strutture, i suoi luoghi, i suoi spazi ideativi soffrono questa contraddizione, dove la bellezza è spesso tenuta ai margini. Io invece credo che viviamo tra diversi in sistemi diversi ma totalmente paritari, che devono solo capire come integrarsi tra loro, come sostenersi l’un l’altro e come, inversamente, vivere e creare bellezza.

Che prospettive si aprono ora per i vostri figli?

Sergio: Joshua è iscritto al Conservatorio Vittadini di Pavia, attivando un percorso analogo a quello intrapreso dal maestro Fabrizio Acanfora, che è un musicista e pubblicista autistico di grande valore e che ha ingaggiato una benemerita battaglia per far cadere quei vincoli burocratici che impediscono l’accesso ai Conservatori a giovani con disabilità cognitive e comportamentali. Abbiamo così anche noi concorso all’abbattimento dei paletti che ancora impediscono ai ragazzi con fragilità di studiare musica; al momento abbiamo dovuto ripiegare sui corsi più semplici per poter aggirare i vincoli ministeriali, ma io credo che dovremo ancora impegnarci molto riguardo a questo. Al momento Joshua sta facendo il corso propedeutico, della durata di tre anni, ma già ora è uno studente a tutti gli effetti del Conservatorio, avendo già frequentato i tre anni pre-accademici. Inoltre canta con me nel Coro ebraico Kol Hashomrim.

Monica: Benjamin, oltre ad essere diventato un buon batterista (conosce bene tutto il repertorio dei Muse) invece vive molto lo sport. Gli piace giocare a calcio. Anche qui si stanno aprendo delle prospettive gratificanti. Ha vinto con la sua squadra il Campionato regionale di Calcio integrato e chissà che non lo vedremo giocare nelle Paralimpiadi. Intanto continua lo studio della batteria, frequentando corsi di musica d’ insieme nelle Scuole Civiche.

Il film è una storia di formazione di due giovani, che, come ogni giovane, lottano per trovare una posizione nel mondo. Qual è la posizione nel mondo di Benjamin e Joshua?

Monica: direi che la stanno cercando, e noi insieme a loro. Quel che so è che gli stiamo proponendo tutto ciò che possiamo perché la trovino. Abbiamo capito che l’arte può essere una strada, e forse anche lo sport. Vedremo. Soprattutto, vedranno.

Per informazioni su eventuali proeizioni:

IWonderpictures

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