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L’Anpi nazionale sta sbagliando strada

Roberto Cenati, a lungo a capo dell’Anpi di Milano, si è dimesso in disaccordo con le scelte della direzione nazionale di schierarsi su posizioni radicali contro Israele

Dottor Cenati, dopo oltre 13 anni alla direzione del comitato provinciale dell’Anpi, poche settimane fa lei si è dimesso. Può spiegarci i motivi?

Roberto Cenati

Le cause sono state determinate dal profondo disaccordo registrato con le scelte dell’Anpi nazionale, che ha adottato, tra gli altri, lo slogan secondo il quale a Gaza occorre “impedire il genocidio”. Si tratta di una frase estrapolata dall’istruttoria svolta dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aja lo scorso gennaio, la quale ha chiesto a Israele di fare di tutto per evitare che si possa verificare il rischio di genocidio. Come si può verificare, la Corte non ha emesso alcuna sentenza di condanna di Israele per un genocidio in corso. Trovo estremamente sbagliato utilizzare quello slogan.

Perché?

Perché le parole sono pietre e il termine genocidio non può essere usato con leggerezza. La parola genocidio ha un significato preciso: si tratta di uno sterminio programmato e realizzato contro un intero popolo, dalla prima all’ultima persona. Il termine, come è noto, fu elaborato dal giurista ebreo polacco Lemkin, il quale, fuggito dal nazismo prima in Svezia e poi negli Stati Uniti fece adottare questa definizione dall’ONU, che la pose a base della omonima convenzione del 1948. Detto questo, il termine genocidio non è assolutamente adatto a quanto sta avvenendo nella Striscia di Gaza.

Rapahel Lemkin (1900-1959)

Tuttavia, il numero dei morti civili ha raggiunto parecchie migliaia in questi sei mesi di guerra.

Infatti sono d’accordo nel giudicare molto negativamente la gestione del governo Netanyahu, il quale, voglio ricordare, a mia memoria, è il primo presidente israeliano che ha compromesso gravemente i rapporti con gli Stati Uniti. Netanyahu in questi mesi ha compiuto un bagno di sangue a Gaza. Tuttavia rimango convinto che confondere l’azione militare israeliana con il genocidio sia estremamente sbagliato. Il governo israeliano, pur attraverso un’azione condannabile, non ha mai avuto in mente, né ha perseguito, l’obiettivo di sterminare l’intero popolo palestinese. L’obiettivo del governo israeliano è eliminare Hamas, un’organizzazione terroristica che persegue la distruzione di Israele e degli ebrei.

Resta il dramma delle morti civili.

a Gaza è emergenza umanitaria

È un dramma di cui sono certamente consapevole e profondamente addolorato. Occorre però precisare che questo alto numero di morti civili deriva soprattutto dalla scelta di Hamas di farsene scudo. A dire la verità, ad Hamas non importa proprio nulla delle sorti del popolo palestinese, basta vedere come i finanziamenti arrivati in tutti questi anni a Gaza siano serviti ad Hamas per scavare tunnel, gallerie e quartier generali, soprattutto sotto scuole, ospedali e moschee, ora colpiti dai bombardamenti israeliani. Dopo sei mesi, Hamas ha ottenuto un risultato.

Quale?

il 7 ottobre un numero compreso tra 1200 e 1400 israeliani sono tati uccisi o rapiti da Hamas

L’opinione pubblica ha quasi completamente dimenticato quel che è accaduto il 7 ottobre. Io ritengo invece che è da lì che bisogna partire per comprendere quello a cui assistiamo oggi. Il 7 ottobre si è registrato contro Israele l’attacco più grave nella sua storia, con oltre 1200 morti e il rapimento di oltre 250 persone. Molti di essi, di cui oggi chiediamo l’immediata liberazione, sono ancora nelle mani dei loro rapitori. Inoltre, appare evidente come la strategia di Hamas abbia in questo modo ottenuto anche il risultato di fermare il processo di distensione di Israele con l’Arabia Saudita, proprio nella fase in cui si stavano svolgendo in Israele da circa 10 mesi, ogni settimana, imponenti manifestazioni con centinaia di migliaia di partecipanti contro la riforma della giustizia del governo Netanyahu. L’attacco del 7 ottobre ha annullato tutti questi processi e ci ha condotto alla guerra che abbiamo oggi davanti agli occhi.

Gianfranco Pagliarulo, presidente Anpi

Vorrei tornare alle sue dimissioni dall’Anpi. Lei parlava di un disaccordo con la direzione nazionale dell’associazione. Ci può aiutare a comprendere quali siano le linee seguite oggi dall’Anpi?

La crisi dei partiti ha spinto molte persone ad iscriversi all’Anpi, vedendo in essa un punto di riferimento fondamentale. L’Anpi non può tuttavia sostituirsi a partiti e sindacati, ma deve seguire il ruolo storico previsto nel suo Statuto: tenere viva la memoria attraverso un’azione di carattere culturale, storico e ideale, per sensibilizzare le nuove generazioni ai valori dell’antifascismo e della Resistenza, alla base della Costituzione repubblicana. Io credo che questo sia oggi il ruolo che deve sempre più svolgere l’Anpi, con la promozione dei valori della nostra Costituzione e la contrapposizione alle derive xenofobe, neofasciste, nazionaliste e antisemite che purtroppo si registrano.

la Brigata ebraica ha sempre sfilato a Milano per il 25 aprile, mentre da anni non sfila insieme ad Anpi a Roma

Mi sembra che la sua frattura si sia determinata in particolare sulla lettura del conflitto mediorientale.

È così. l’Anpi ormai ha scelto un posizionamento sulla questione israelo-palestinese molto sbilanciata. Manca una approfondita riflessione sul ruolo e l’importanza di uno stato democratico come Israele in quell’area del mondo. Tutto ciò senza considerare le occasioni offerte ai palestinesi per veder nascere uno Stato, come avvenuto nel 2000 alle trattative di Camp David, con il rifiuto da parte dell’Olp della proposta del Presidente Barak, la più favorevole che Israele abbia mai sottoposto alla dirigenza palestinese.

Che reazioni hanno avuto le sue dimissioni all’interno dell’Anpi?

Eugenio Curiel (1912-1945)

Da parte della direzione nazionale non c’è stata alcuna reazione, anche perché ho subito chiarito che le mie dimissioni erano irrevocabili, e motivate. Al contrario ho ricevuto molte attestazioni di stima da parte di esponenti del Comitato provinciale, i quali hanno condiviso  le posizioni da me assunte.

Il Comune di Milano le ha espresso solidarietà?

Il sindaco Sala ha rilasciato una dichiarazione con cui ha detto di provare rincrescimento per le mie dimissioni ed ha confermato il rapporto di stima nei miei confronti, per il lavoro unitario inclusivo che ho sempre svolto.

Tra pochi giorni si celebrerà il 25 Aprile, che da molti anni segna una frattura fra l’Anpi e l’ebraismo italiano. Lei a Milano si è sempre sforzato per una celebrazione condivisa. Quest’anno che previsioni si sente di fare?

Umberto Terracini

In questi 13 anni ho avuto come mio obiettivo la celebrazione di un 25 Aprile unitario, per questo ho sempre invitato la comunità ebraica di Milano, l’Ucei e la Brigata ebraica. Ricordo infatti che gli ebrei italiani hanno avuto un ruolo essenziale nella storia della Resistenza: pensi solo a Leo Valiani, ai fratelli Rosselli, a Eugenio Curiel, a Giulio Bolaffi, a Umberto Terracini e a molti altri. La brigata ebraica, inoltre, è stata protagonista dello sfondamento della linea gotica. Certo, in questi 13 anni ci sono state contestazioni, da parte di un piccolo gruppo di provocatori a piazza San Babila, con il pronunciamento di slogan antisemiti. Tuttavia, devo anche registrare che, con il passare del tempo, queste provocazioni, che ho sempre stigmatizzato, sono diminuite, fino a che, lo scorso anno, non si sono verificate e la Brigata ebraica ha potuto sfilare insieme ad oltre 100.000 persone senza alcuna contestazione, in un clima di grande unità e serenità.

Quest’anno però c’è una guerra in corso.

lo striscione della Brigata ebraica a Roma, a porta S. Paolo lo scorso 25 aprile

Sì, e questo produce qualche preoccupazione. Resto convinto che il 25 Aprile debba essere la festa della Liberazione del nostro Paese dal nazifascismo, che quindi sia una giornata in cui   quel ricordo debba rimanere centrale. A mio avviso il 25 Aprile deve essere un momento per rilanciare i valori dell’antifascismo, della Resistenza, della Costituzione repubblicana, che va difesa e attuata. Mi auguro, per questo, che non ci siano tensioni, e che tutto si possa svolgere pacificamente. Ulteriori questioni che mi preoccupano molto sono l’inaccettabile clima di intolleranza che sta crescendo ovunque, persino nelle  università italiane, luoghi di confronto e di libertà di pensiero e  la crescita esponenziale della deriva antisemita che si registra anche nel nostro Paese.

Lei si è dimesso dall’Anpi, ma immagino che non abbia con ciò terminato il suo impegno civile.

partigiani italiani

Certamente no. Mi sono iscritto all’Anpi oltre trent’anni fa, diventando presidente della sezione di Porta Venezia nel 1997 e Presidente dell’Anpi Provinciale di Milano nel 2011. Ora che mi sono dimesso dall’incarico continuerò certamente il mio impegno nelle scuole. Credo che sia fondamentale infatti trasmettere i valori dell’antifascismo, della solidarietà, della tolleranza, della libertà, contenuti nella nostra Carta Costituzionale, ai nostri ragazzi. Il concetto di libertà trasmessoci dalla Resistenza è molto diverso da quello che molti oggi intendono. Libertà non significa essere liberi di fare ciò che si vuole, senza tener conto degli altri. Non è per questo che hanno sacrificato la propria vita i Combattenti per la libertà. Il loro concetto di libertà, che emerge dalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza Italiana, è profondamente diverso. È quello attualissimo della libertà concepita in funzione del nostro prossimo, delle sue sofferenze, di una concezione della politica come servizio disinteressato al bene comune.

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