Resistere al male

Nel racconto di Roberto Coen, l’esperienza di due anziani coniugi al confine con Gaza

Sabato 7.10.2023.

qui e sotto: alcune immagini del moshav di Netiv HaAsara, attaccato il 7 ottobre

Come ogni giorno, Ovadia si è alzato la mattina presto per fare una camminata intorno alla collinetta del moshav Netiv Ha’Asara, posto al confine con Gaza nord, proprio dove si trova il valico di Erez. Quel giorno, però, a causa di un leggero malessere, è tornato a casa prima del solito ed, appena rientrato, ha sentito suonare la sirena e, poco dopo, i primi colpi di arma da fuoco, molto ravvicinati. La moglie Roni si è svegliata di soprassalto ed ha cominciato a chiamare il marito, tranquillizzandosi solo dopo aver capito che era in casa.
Si tratta di una coppia di signori ultra ottantenni “che si amano da oltre 54 anni”, lei, askenazita di origine inglese, arrivata nel 1949 e lui, sefardita nato a Il Cairo, arrivato in Israele, dopo essere passato per Genova, nel 1957 a seguito del colpo di stato di Nasser. Lui ha votato Ganz ed amava dipingere, lei ha votato Merez e si dedicava al volontariato ed in particolare offriva assistenza ai palestinesi abitanti di Gaza quando avevano bisogno di cure mediche: con la propria macchina li prendeva al confine e li portava negli ospedali israeliani specializzati.
Quella mattina hanno capito subito che si trattava di un attacco terroristico ed hanno immediatamente cercato di contattare la figlia, che abita nello stesso moshav, senza riuscirci; i tentativi si sono ripetuti con sempre maggiore ansia fino a che non hanno ricevuto un messaggino via whatsapp dal nipote che li tranquillizzava un po’, per quanto possibile, in quei momenti molto concitati.
Nel loro moshav sono entrati tre terroristi con i deltaplani, sono atterrati in tre punti diversi e lontani fra loro, e subito hanno cercato di riunirsi, senza rinunciare ad uccidere le persone che incontravano nelle strade e senza entrare nelle prime case. I tre terroristi, ci raccontano Ovadia e Roni, hanno ucciso nel moshav venti persone ed hanno incendiato una casa, uno di loro è morto e due sono scappati, senza riuscire ad aprire il cancello elettrico del moshav perché la luce era saltata, per cui gli altri terroristi non sono riusciti ad entrare.
I loro figli, ci raccontano, si sono salvati lasciando aperta la porta del mamad (camera di sicurezza) e nascondendosi, con il loro cane, in un armadio della casa dove sono rimasti per ore.
La sera stessa sono partiti tutti e sono stati trasferiti in appartamenti disabitati. Lo stato ha consegnato a tutti gli sfollati un appartamento dove vivere. A loro è capitata una villetta, destinata alla demolizione, ad Herzelia che alcuni volontari hanno subito arredato per loro. Ovadia qualche giorno dopo ha ricevuto le tele bianche ed i colori per dipingere ed alcuni suoi dipinti a cui era particolarmente affezionato, le uniche cose portate via dalla sua casa nel moshav.
Porgere a Ovadia e Roni alcune domande non è stato facile anche se raccontare, per loro, era una forma terapeutica per cercare di elaborare il trauma subito. Ovadia era particolarmente provato e segnato dagli eventi ed il suo stato d’animo appariva evidente dalla diversa tipologia di quadri dipinti prima e dopo il 7 ottobre, i primi molto luminosi ed i secondi molto tetri. Roni, più disposta a raccontare, riconosceva la necessità di un periodo di pausa per riordinare le proprie idee.

Non c’è dubbio che anche lei, che si era convintamente dedicata per decenni al dialogo con i palestinesi di Gaza, adesso aveva bisogno di fermarsi, riflettere e capire, non più sicura delle proprie idee. Non rinnega il passato ma riconosce anche che non c’è scelta alla guerra. Non vuole generalizzare il proprio giudizio sui gazawi e sostiene che ce ne sono alcuni con cui è possibile dialogare e vuole sperare che alcuni di loro siano stati costretti a dare informazioni ad Hamas per compiere il pogrom. La coppia non sa se riuscirà a tornare in quel moshav; sicuramente andrà a vivere in una comunità agricola, ma non sa ancora quale.

Il muro di separazione, purtroppo inefficace il 7 ottobre

Ovadia ci racconta che, essendo lui agronomo, era stato coinvolto dagli accordi di pace con l’Egitto e per cinque anni aveva insegnato loro come coltivare la terra. Conclusa l’attività con loro, quando Israele aveva insediamenti nella striscia, lui ha insegnato anche ai palestinesi, poi con l’uscita di Israele ha interrotto ogni rapporto con loro ma, in fondo, sembra contento che la moglie abbia continuato ad averli perché ciò dimostra l’esistenza di una flebile speranza ed una luce non ancora completamente spenta.

Per vedere le opere di Ovadia:

https://1-ovadia-keidar.pixels.com/ 

I Coen hanno prestato aiuto nei campi intorno al Moshav

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