Gli universitari italiani e i pregiudizi contro gli ebrei: a che punto siamo?
Una recente ricerca dell’istituto Cattaneo evidenzia come dopo il 7 ottobre il pregiudizio antisemita si sia rafforzato tra gli studenti universitari, con differenze che dipendono dall’orientamento politico: l’antisemitismo di destra e quello di sinistra, insomma, poggiano su pregiudizi diversi
Professor Colombo, l’Istituto Cattaneo ha di recente pubblicato una ricerca sul pregiudizio antiebraico tra gli studenti universitari iscritti in tre Atenei del Nord Italia. In che periodo è stato effettuato lo studio, e perché si è sentita tale necessità?
Si tratta di un’indagine in origine nata non solo sull’antisemitismo, ma sui valori e gli atteggiamenti degli studenti universitari delle università del Nord Italia nei confronti delle minoranze, come anche i musulmani, gli immigrati e altre. La rilevazione è iniziata il 29 settembre, con interviste realizzate mediate questionari via web, tra gli studenti di tre grandi atenei del Nord – Milano-Bicocca, Padova e Bologna – dei primi anni, quindi di età compresa tra i 19 e 20 anni. Ovviamente, dopo i fatti del 7 ottobre, con circa un migliaio di interviste già raccolte, abbiamo considerato che di fronte a tale situazione eccezionale fosse necessario concentrarsi sullo studio del pregiudizio antiebraico. Abbiamo così proseguito la rilevazione fino al 31 ottobre, dividendo il periodo immediatamente successivo all’attacco di Hamas (7 ottobre) fino alla data in cui era stato attribuito a Israele l’attacco all’ospedale di Gaza, poi dimostratosi errato (17 ottobre) per chiudere appunto al 31 ottobre. Abbiamo raccolto così circa 2.600 questionari utili alle nostre ricerche.
La ricerca evidenzia che tra gli studenti emergono tre tipi di pregiudizi: quello del “Complotto” (risalente al falso dei Protocolli dei Savi Sion); quello della “doppia lealtà” (come avvenne nel caso Dreyfuss); e quello del “negazionismo” (per cui Israele sfrutta la Shoah per tenere comportamenti nazisti nei confronti dei palestinesi).
Vorrei precisare che non siamo stati noi a classificare a priori il pregiudizio in queste categorie, ma è quello che ci siamo trovati a registrare semmai a posteriori, come è emerso dalle tendenze degli intervistati. E così, ad esempio, gli studenti che tendono ad accettare l’idea che gli ebrei controllano i mass media tendono poi ad accettare anche l’idea di un controllo finanziario, entrambi pregiudizi da ricondurre alla prima categoria. È risultato così che nella convinzione degli studenti ci siano quelle tre categorie, più una quarta, che vede invece dare un giudizio positivo sul contributo ebraico alla cultura e alla scienza moderne.
Il fatto che l’ultimo tipo di pregiudizio sia il maggiore come va interpretato?
I pregiudizi dei primi due tipi sono spesso così screditati e frutto di riprovazione sociale che si fa fatica a dichiararli. Questo si è visto nei giorni successivi al 7 ottobre, perché abbiamo registrato un calo della loro credibilità, seppure parziale. Invece, le affermazioni che possono essere ricondotte al terzo insieme, quello negazionista che accusa Israele di essere come la Germania nazista verso i palestinesi, è un pregiudizio più recente, che nasce dopo il 1967 e poi si afferma dopo il 1982, con la guerra in Libano, e che si è molto diffuso a sinistra, anche se non solo. Direi quindi che è la sua relativa novità che fa sì che sia più diffuso dei due precedenti. Inoltre tale pregiudizio non è soggetto a forte disapprovazione sociale, perché a differenza degli altri due si diffonde dopo la seconda guerra mondiale, cioè dopo la Shoah.
Se si incrocia la tavola dei pregiudizi con gli orientamenti politici, cosa emerge?
Se consideriamo l’antisemitismo classico, quello che si esprime nelle prime due categorie, gli atteggiamenti negativi verso gli ebrei continuano essere diffusi tra chi si colloca tra la destra estrema e il centro destra: qui le differenze sono molto forti rispetto agli elettori di sinistra, perché il rapporto tra destra e sinistra è anche di 7 a 1. Ad esempio, tra chi è a destra circa la metà pensa che gli ebrei siano più fedeli a Israele che al loro paese o pensa che non siano italiani fino in fondo. Al contrario, il terzo gruppo di pregiudizi, che giudica Israele in quanto tale come un paese che si comporta con i palestinesi come la Germania nazista si comportò con gli ebrei, vede presente una quota più alta delle posizioni più estreme, sebbene con una prevalenza della estrema di sinistra.
Questi risultati a suo parere in che modo dipendono dall’orientamento politico?
Sappiamo che la popolazione universitaria è in generale più a sinistra del resto della popolazione e lo è più dei coetanei non universitari. È così possibile che nella popolazione generale la quota di pregiudizio del terzo tipo sia più bassa, perché, almeno oggi, la maggioranza della popolazione è meno di sinistra. Tuttavia, alcuni dati elaborati dal programma Europe Union Agency for Human Rights, nel 2012 e nel 2018 ha mostrato come la quota di italiani che ritiene Israele simile a uno Stato nazista sia pari al 60%. Direi perciò che questa è un’idea piuttosto diffusa, anche se più a sinistra. Va però aggiunto che a destra resta molto forte la presenza delle altre due dimensioni di antisemitismo, in proporzione addirittura superiore a quanto sia presente nelle classi dirigenti dei partiti di riferimento.
Quanto l’attacco del 7 ottobre di Hamas, e la prima risposta militare di Israele, ha avuto effetto sul pregiudizio più forte, quello del terzo tipo (idea di Israele-Stato nazista)?
I dati ci mostrano un elemento tra i più rilevanti della ricerca. Gli eventi successivi al 7 ottobre hanno generato due effetti diversi. Il primo riguarda le prime due categorie di pregiudizio, e qui si registra, tra il 9 e l’11 ottobre, un calo, seppure lieve (che in parte è assorbito dopo il 17 ottobre). Al contrario, nel terzo gruppo di pregiudizi, quello su Israele simile a uno Stato nazista, invece abbiamo registrato un cambiamento in questo senso: c’è stato un aumento dell’adesione a questa idea, proprio nei giorni immediatamente successivi dell’attacco di Hamas. Questa crescita, cioè, non è avvenuta dopo la risposta israeliana, e forse suona come fosse una giustificazione all’azione di Hamas, con la quota di chi ritiene Israele uno Stato nazista che passa dal 42 al 46%; un aumento completamente riconducibile alla rapidissima crescita che si è registrata tra gli studenti che si collocano a sinistra (che passa dal 46% al 63%).
Il livello di cultura è un antidoto valido al pregiudizio? E se sì, quanto è efficace?
In effetti siamo rimasti abbastanza sorpresi da questo risultato, e cioè che il rendimento scolastico misurato con il voto preso alla maturità, nonché con il numero di libri letti in un anno, ha una correlazione non trascurabile nel diminuire i pregiudizi contro Israele e gli ebrei. Naturalmente, anche tra i maturati con alti voti il pregiudizio è presente, ma se ci concentriamo sulle variazioni percentuali, allora emerge chiaramente come la preparazione culturale ha un forte effetto.
Dunque, la cultura abbassa il pregiudizio?
Probabilmente riduce la disponibilità ad accettare ideologie preconfezionate e semplificatrici, e spinge a vedere la realtà con schemi meno manichei e in termini più complessi. Questa relazione c’è e ha dimensioni non trascurabili, e ci spinge a pensare che una maggiore attenzione sull’importanza dello studio può ridurre il pregiudizio, anche se certo non è un fattore risolutivo.
Tra poco si celebrerà di nuovo il 27 gennaio, Giorno della memoria. Anche alla luce della ricerca, possiamo dire che il lavoro sulla tutela della memoria non è servito, o è stato svolto male?
Purtroppo non abbiamo buone serie storiche per capire se prima e dopo l’anno 2000 [quando è stato istituito il Giorno della memoria, n.d.r.] il pregiudizio sia cambiato; da quello che però emerge da alcune indagini internazionali sembra che il 27 gennaio non abbia prodotto un grande effetto.
Come mai?
La mia impressione è che ci sia una versione problematica del Giorno della memoria. Intendo dire che esso è vissuto sul piano emotivo, in cui l’ebreo è visto come vittima, e in cui si cerca di infondere nei cittadini una memoria basta su aspetti sentimentali e poco storici. Si dà cioè una grande importanza all’aspetto emotivo e meno alla conoscenza dei fatti. Che invece la nostra indagine mostra essere un tema molto rilevante. Leggere Il diario di Anne Frank certo muove a compassione, ma non insegna molto sugli eventi di quel tempo e su quelli successivi.
Più in generale, quanto gli studenti di oggi hanno conoscenza dei fatti storici?
La ricerca non poteva rilevare questo aspetto; c’è però un elemento evidente, che questa generazione ha meno possibilità di essere in contatto con i testimoni del passato. Se aggiungiamo che a scuola la storia si studia poco, e non bene, è chiaro che il passato resta sullo sfondo, e che tutto è molto schiacciato sul presente. Ne abbiamo prova con l’uso di termini, come “genocidio”, “nazismo”, “apartheid”, usati senza averne conoscenza storica, ma in modo astratto ed evocativo.
Come giudica il manifesto firmato da circa 4.000 professori universitari italiani con cui si chiede sostanzialmente il boicottaggio degli atenei israeliani?
Quel testo è stato prodotto proprio dall’università di Bologna in cui insegno; ad esso si è poi aggiunto un altro, nazionale. Entrambi contengono espressioni che nel linguaggio sono molto vicini alla cornice della nostra ricerca; quello nazionale contiene addirittura due volte il richiamo ai “75 anni di occupazione israeliana”, mettendo dunque in discussione il diritto stesso di Israele a esistere. Personalmente mi colpisce il fatto che il documento – sebbene firmato da un numero relativamente non molto alto di docenti, di cui molti neppure appartengono al personale di ruolo – per buona parte proviene da settori delle scienze umane e sociali, dove l’uso di concetti come apartheid e genocidio dovrebbe essere il più accurato possibile. È un elemento che colpisce, perché mostra come parte del corpo docente sia fortemente influenzato da una visione semplificata tra oppressi e oppressori, che vede Israele, ma forse gli ebrei, tra i secondi.