Lieberman al timone dell’economia israeliana

Dopo la nascita del governo Bennett-Lapid, è ora di mettersi al lavoro. Riflessi ha provato a immaginare le priorità di cui ha bisogno l’economia israeliana

Nei giorni scorsi il nuovo governo israeliano ha avuto la fiducia del Parlamento e si è messo subito all’opera. Uno dei dicasteri chiave, quello del Tesoro, è andato ad Avigdor Lieberman, leader del partito Israel Beteinu, che raccoglie soprattutto i voti degli immigrati dell’ex Unione sovietica.

Quali sfide attendono Lieberman? Riuscirà a smettere i panni del demagogo nazionalista e indossare quelli del “manager” di un’economia dinamica ma caratterizzata da alcuni squilibri, accentuati dalla pandemia?

Le sfide che attendono Lieberman sono numerose e alcune di esse vanno affrontate nell’immediato. Il primo impegno è quello di preparare una legge di bilancio e farla approvare dal Parlamento. Dal 2018, infatti, Netanyahu non ha voluto o non ha potuto far approvare il Bilancio dello Stato e quindi è scattato il cosiddetto “esercizio provvisorio”: le spese dello Stato sono rimaste congelate sia come importo sia come destinazione e questo ha comportato la paralisi di numerosi settori della Pubblica amministrazione e, soprattutto, ha impedito politiche attive e “mirate”.

Di politiche mirate il paese ha urgente bisogno. Gli organismi economici internazionali, infatti, nei loro esami periodici della situazione del paese esprimono apprezzamento per i punti di forza dell’economia: la crescita elevata del prodotto e la conseguente bassa disoccupazione; la forza del settore hi-tech; l’avanzo di bilancia dei pagamenti e la connessa forza dello shekel. Gli stessi organismi esortano tuttavia le autorità ad affrontare i numerosi squilibri strutturali che affliggono il paese, alcuni dei quali accentuatisi con la pandemia: in primo luogo i divari di istruzione, di reddito e di infrastrutture tra gruppi etnici, che vedono gli ultraortodossi e gli arabi israeliani in posizione arretrata. A questo riguardo, Un aspetto poco noto e paradossale è il “digital divide”: nella “start-up nation”, l’utilizzo di internet da parte delle fasce di popolazione meno istruite è inferiore a quello rilevato per le stesse fasce in altri paesi industriali.

Più in generale, il nodo di fondo dell’economia è rappresentato dall’assenza di ricadute positive dal settore hi-tech al resto dell’economia: le start-up israeliane non crescono (i fondatori vendono appena possono), non sono sorti colossi informatici come Microsoft o Apple che hanno un enorme indotto, il 5% della popolazione dispone di redditi e patrimoni vertiginosi mentre il resto langue o in taluni casi (i haredim) vive di sussistenza. Questo dualismo economico può portare ovviamente instabilità politica e sociale, come si è visto in occasione del recente conflitto di Gaza.

Un’altra difficile sfida che attende Lieberman è quella della corsa ormai decennale dei prezzi delle abitazioni: nonostante la breve recessione che ha colpito il paese per effetto della pandemia, i prezzi e gli affitti continuano a salire, soprattutto nelle grandi città, mettendo in difficoltà i nuovi nuclei famigliari e provocando un pendolarismo che è frustrato dalle gravi carenze del trasporto pubblico. Il problema dei prezzi delle abitazioni non è di facile soluzione perché è riconducibile soprattutto al livello storicamente basso dei tassi d’interesse sui mutui ipotecari e all’elevata crescita demografica, entrambi fattori non controllabili dalle autorità.

Sul nuovo governo Bennett-Lapid, puoi leggere questo articolo di Claudio Vercelli

Sul nuovo Capo di Stato, puoi leggere l’analisi di Roberto Della Rocca

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