Rafforziamo i musei e i memoriali della Shoah per leggere la realtà di oggi
Simonetta Della Seta da pochi giorni guida il Gruppo di lavoro su Musei e memoriali della Shoah in seno all’IHRA. Con Riflessi esamina le linee della sua presidenza
Simonetta, da quanti anni fai parte della delegazione IHRA italiana?
Sono entrata nel 2012, quindi più di 10 anni fa.
Ormai hai acquisito, anche in IHRA, un’ampia esperienza. Di cosa ti sei occupata nell’organizzazione?
Inizialmente ero nel Gruppo di lavoro sulla comunicazione (CWG), che poi è stato sciolto una volta create le piattaforme necessarie. Poi, una volta nominata Direttore del MEIS, ho cominciato a lavorare nel Gruppo Memoriali e Musei (MMWG). Oggi metto a disposizione dell’IHRA le competenze acquisite in tanti anni, che includono anche un lungo lavoro di ponte tra l’Italia e Israele sui temi della Shoah, in particolare con lo Yad Vashem, a partire dal periodo in cui sono stata Consigliere dell’Ambasciatore d’Italia in Israele.
Questa tua vasta competenza ha portato ora alla tua nomina come Chair nel 2023 del MMWG. Si tratta di un incarico di grande prestigio, per te e per la nostra delegazione. Su che linee di attività indirizzerai i lavori del Gruppo?
Il coordinamento tra tutti i memoriali e i musei legati all’IHRA è una sfida, ma anche una opportunità; spero in questo ruolo di dare un contributo concreto. Infatti l’obiettivo di ciascun Gruppo di lavoro IHRA è portare i suoi partecipanti a condividere buone pratiche, a seguire le raccomandazioni degli esperti e a condividere delle linee guida su come diffondere una conoscenza corretta della Shoah. Il passaggio di consegne con la collega rumena che mi ha preceduto è avvenuto il 1° marzo scorso, ma di fatto sono al lavoro già dallo scorso anno quando sono entrata nella troika dei Chairs del Gruppo Musei e Memoriali. Questo significa, aver interloquito già da tempo con la Croazia che ha assunto la Presidenza IHRA nel 2023, con i colleghi che sono stati nominati coordinatori degli altri due gruppi di lavoro – Academic Working Group (AWG) e Educational Working Group (EWG) – con quelli che presiedono le due Commissioni IHRA – sull’antisemitismo e sui genocidi – e infine con l’Ufficio Permanente dell’IHRA, che da Berlino offre sostegno e continuità ai Paesi e ai diversi Chairs che si alternano anno dopo anno. Confrontandomi con tutti loro, ho preparato l’agenda del Gruppo Musei e Memoriali per il 2023, cercando sia di continuare a sviluppare le tematiche affrontate negli anni passati, sia di avviare il lavoro su argomenti nuovi. I dettagli sono in corso di messa a punto, ma, in generale, direi che alcune delle priorità che vorrei trattare riguardano la messa in sicurezza e la conservazione delle decine di miglia di siti della Shoah sparsi in tutta Europa, il loro censimento completo, e l’elaborazione di buone pratiche per aiutare musei e memoriali a una migliore diffusione della verità storica e delle sue conseguenze. In questo modo i musei diventano anche strumenti per arginare l’antisemitismo.
A che punto siamo nello studio della Shoah?
Naturalmente si è fatto tantissimo. Ma oggi siamo di fronte a due nuove realtà: la scomparsa dei testimoni diretti e la tentazione a manipolare la verità storica sia da parte di alcuni Paesi, ai quali fa più comodo raccontare che furono solo vittime e non anche collaboratori del nazismo, che di comuni e ignoranti mortali. L’attualità quotidiana ci dimostra come la distorsione della Shoah sia un fenomeno presente e purtroppo in crescita. La responsabilità degli esperti si allarga, si riempie di una nuova urgenza: lasciare tracce, e fare in modo che le tracce siano quelle vere. Il gruppo di lavoro che presiedo può fare molto sia per preparare i musei a un’epoca in cui i sopravvissuti non potranno più presidiare la verità, sia per diffondere la documentazione storica – e credetemi, per fortuna è tanta.
Come?
Creando ad esempio pacchetti di documentazione che possano essere utilizzati da tutti i musei. Un esempio: valorizzare le migliaia di diari lasciati dai sopravvissuti, ma anche da coloro che non ce l’hanno fatta.
I 35 governi che hanno aderito all’IHRA capiscono fino in fondo la portata di questo fenomeno storico?
Sul piano geografico, non c’è ancora piena consapevolezza di quanto sia stata diffusa e parcellizzata la macchina di distruzione degli ebrei. I luoghi in cui essa si è espressa in tutte le sue varie gradazioni sono decine di migliaia (ne sono stati censiti 44.000). A quasi ottant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale è necessario non solo realizzare una corretta e completa mappatura di questi luoghi, ma intervenire anche con operazioni di manutenzione e restauro di quelli più rovinati (purtroppo anche il cambiamento climatico gioca la sua parte), alcuni dei quali rischiano seriamente di essere completamente cancellati. La loro scomparsa equivarrebbe a far sparire quella parte di Shoah legata a essi. Dal punto di vista psicologico, inoltre, occorre prendere consapevolezza che il trauma subito dalle vittime che riuscirono a sopravvivere non è rimasto confinato nelle loro vite, ma si è trasmesso anche alle generazioni successive. In un certo senso, questo deve farci riflettere sul fatto che la Shoah, come trauma, che ha segnato la vita di milioni di persone, produce ancora in parte i suoi effetti, ed è per questo che risulta importante studiare e descrivere quello che è stato con la maggiore precisione possibile.
Il dato che tu citavi sul numero dei luoghi di sterminio o concentrazionari è immagino per molti stupefacente. Possiamo dire che essi si trovano esclusivamente in Europa?
Se ci riferiamo ai luoghi fisici in cui la Shoah è stata messa in atto, essi si trovano prevalentemente in Europa, ma non solo: pensiamo ad esempio al campo di concentramento di Giado, in Libia, realizzato dai fascisti, ma anche alla Tunisia. Grazie alla presidenza croata dell’IHRA abbiamo anche la possibilità di studiare meglio cosa accadde nei Balcani, una regione in cui, a causa del comunismo e poi della guerra, tante realtà storiche risultano ancora controverse, confuse e comunque meno studiate. L’IHRA si impegna a fare luce anche tra queste ombre. Inoltre, va evidenziato come la Shoah sia un fenomeno che ha prodotto effetti anche molto lontano dall’ epicentro europeo. In luoghi estremamente distanti da noi, come l’Australia, o il Sud America, dove vivono comunità di sopravvissuti, si sente il bisogno di creare musei e memoriali. Nel caso del Sud America – tra i Paesi che si sono candidati ad entrare quest’anno in IHRA c’è il Brasile ad esempio – va ricordato che vi trovarono rifugio non solo i sopravvissuti ma anche gli aguzzini nazisti.
Come hai accennato, la tua Presidenza dei Musei e i Memoriali si svolgerà durante l’anno di Presidenza IHRA della Croazia. Questo potrebbe porre particolari problemi nello studio di quanto è avvenuto o diventa occasione di approfondimento?
Sicuramente questo anno è una occasione per far luce, assieme a studiosi croati, ma anche serbi, sloveni e in generale balcanici, sui disastri commessi in quelle terre durante l’ultima guerra mondiale. Furono aree tremendamente colpite, dove i nazisti, i fascisti e i loro alleati commisero verso le popolazioni locali e naturalmente gli ebrei atroci violenze. Siamo molto fiduciosi che proprio gli esperti riusciranno a lavorare assieme, superando anche attriti politici tra Stati. Daremo la massima collaborazione affinché si crei su questi temi una proficua collaborazione.
Nel 2023 ricorrono anche gli ottant’anni dalla rivolta del ghetto di Varsavia. In che ottica ne parlerete?
La rivolta del ghetto di Varsavia sarà presa come study case: come viene raccontata oggi rispetto ad allora? Cosa insegna sulla Vita all’interno di un universo destinato alla morte? Spero che riuscirò a far incontrare al nostro gruppo gli esperti dei musei polacchi e che potremo con loro parlare liberamente, imparare e discutere sulla lezione tramandata dalla rivolta di Varsavia. L’IHRA è un luogo di confronto e discussione, in cui tutti i partecipanti hanno spirito di collaborazione. È vero che negli ultimi anni la Polonia – Paese membro dell’IHRA – ha preso diversi provvedimenti governativi a favore di una lettura della Shoah in cui le responsabilità di quanto avvenne in quel Paese cadono soprattutto sui nazisti, ma i colleghi polacchi sono interlocutori da cui imparare molto, si pensi solo alla gestione di un campo come Auschwitz e al grande museo POLIN di Varsavia sulla storia degli ebrei polacchi.
L’ultima domanda riguarda il futuro. Recentemente la Senatrice Liliana Segre ha dichiarato che quando gli ultimi testimoni se ne saranno andati, della Shoah si parlerà soltanto in una nota a piè di pagina di un manuale di storia. Cosa ne pensi?
Non voglio commentare le parole di una testimone come Liliana Segre, la quale sa molto più di me cosa significa quella esperienza. La sua dichiarazione, soprattutto dall’ottica di quello che ha attraversato, è più che comprensibile. Posso solo ribadire che il nostro impegno e il nostro dovere restano quelli di continuare a studiare, a documentare e a tramandare il passato, nella sua verità storica, anche oltre le testimonianze dirette. Puntelliamo la memoria, lasciando tracce indelebili di quanto ci hanno raccontato i sopravvissuti e di quello di cui ci parla in modo inequivocabile la documentazione. Salvaguardare i musei e i memoriali, accertandoci che restino per raccontare quanto è successo senza distorsione, è un modo per garantire che la Shoah offra una lezione anche nel futuro. Ci tengo infine ad aggiungere una riflessione.
Prego.
Sono convinta che nei musei e nei memoriali della Shoah si debba presentare l’ebraismo come una identità che guarda alla vita, anche nei momenti più oscuri della sua storia. Per questo lo studio della Shoah non può prescindere dal mettere in evidenza che c’è stata vita ebraica, prima, durante e dopo la Shoah.
*immagine di copertina: il campo di Fossoli
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