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Sì, almeno io. Legai in particolare con Daoud, un bravo e intelligente studente arabo di Biologia che abitava anche lui a Reznik (credo volesse poi entrare a Medicina). Faceva pratica nelle ambulanze e una volta mi portò con sé. Andammo in una casa a prendere un malato per portarlo in ospedale. I familiari, vedendo tutto questo gruppo (portantini, infermieri, Daoud, io e forse qualcun altro), si chiesero, un po’ stupiti un po’ preoccupati, come mai ci fosse tanta gente. Risposi che eravamo mitlamdìm (tirocinanti, da lomed, studiare). E loro: “E lo fate qui questo tirocinio?”. Imparai che bisogna stare attenti a non urtare la sensibilità dei malati e dei loro parenti. Anche durante la tesi di laurea, tre anni dopo, quando lavoravo sulla talassemia e dovevo andare in ospedale dove stavano i pazienti, mi capitò qualcosa del genere. Daoud non era entusiasta (eufemismo) della situazione degli arabi in Israele e a volte sbottava contro il governo e gli israeliani in genere. Era amico di uno studente, ebreo, il quale portava la barba e aveva una fisionomia che a quanto pare corrispondeva a quella degli arabi. Mi raccontarono una volta, divertiti ma un po’ seccati, che ai posti di blocco regolarmente fermavano e interrogavano l’ebreo che sembrava un arabo mentre non si curavano dell’arabo che in effetti non sembrava tale.

uno scorcio dell’oasi di En Ghedi

Una allieva araba che frequentai un po’, anche lei del mio corso, era Maggie, una ragazza timida e silenziosa, tutta precisina, brava studentessa (sapevo bene che era araba, ma non mi ricordo se fosse cristiana o musulmana – credo la prima, anche se all’epoca le musulmane non andavano in giro tutte coperte come oggi). Quando mi perdevo qualche lezione e mi servivano gli appunti, andavo da lei, sicuro di trovare un sunto della lezione fatto bene. Scriveva fitto fitto, con una grafia minuta, che innervosiva gli istruttori che dovevano correggere i suoi compiti. Faceva la tesi in un laboratorio nella stessa Facoltà dove stavo io, alla Hadassah, e quindi ogni tanto passavo da lei. La seconda o terza volta che andai nel suo laboratorio a chiedere di lei, una lavorante, vedendomi con la kippà, mi disse: “Guarda che non fa per te…”. Be’, si sa che gli israeliani (anzi, le israeliane) tendono a impicciarsi dei fatti degli altri.

Del periodo passato all’Università in Israele, cosa ci puoi raccontare di non prettamente legato ai tuoi studi biologici?

La maggior parte del tempo era ovviamente dedicata agli studi: lezioni, esercitazioni, laboratori, rendiconti, esami… Rimaneva poco tempo per altro. Frequentavo un corso di Talmud una volta a settimana, la sera, tenuto da Ariel Rathaus, che era stato mio maestro di Talmud a Roma subito dopo il bar mitzwà, ed era tornato in Israele come docente di letteratura italiana all’Università ebraica. I partecipanti al corso di Talmud erano italiani o entrati nell’entourage italiano per motivi familiari o di amicizia.

tenda tra le palme di Dahab, Sinai, vacanze chol hamoed pesach 1974

Le lezioni erano comunque rigorosamente in ebraico. Iniziammo con il trattato di Rosh haShanà. Sono passati 50 anni, e quel corso di Talmud si tiene ancora, con lo stesso maestro e, almeno in parte, gli stessi allievi! Un buon record di perseveranza. Fra i partecipanti della prima ora e tuttora presenti, a cui se ne sono aggiunti altri nel corso degli anni, c’erano Gino Piperno Beer e Rami (Rahamim) Ben Zaquen.

A Reznik c’era un piccolo bet hakeneset autogestito dai pochi religiosi presenti (oltre a noi italiani, c’erano degli spagnoli e pochi altri). Finché abitammo lì, lo Shabbat ci organizzavamo i pasti da soli oppure eravamo invitati da qualche famiglia. Una volta partecipai a uno Shabbaton con Manitou (rav Leon Ashkenazi) insieme a giovani di lingua francese. Ogni tanto a Reznik organizzavano attività sociali, come proiezioni di film all’aperto. Fra quelli del primo anno (’73-’74) mi è rimasto impresso “Il Giardino dei Finzi-Contini” di De Sica, che suscitò una grande commozione fra i presenti. Nell’intervallo, o forse alla fine, si alzò dal pubblico una ragazza bionda e si voltò indietro.

tefillà a Dahab, 1974

Un amico genovese di Michi, ospite in camera nostra, disse: “Ecco Micòl”. Gli dissi: “La conosco, studia Biologia al mio corso, si chiama Sarah”. Tre anni dopo ci trovammo a fare la tesi nello stesso laboratorio.

Nel primo anno di studio, aprile ’74, a Chol haMo’ed di Pesach facemmo un giro di diversi giorni nel Sinai insieme ad alcuni amici. Ci accampammo in tende fra le palme a Dahab, sulla riva del Mar Rosso a sud di Eilat, con mare stupendo, pesci di tutti i colori, coralli ecc. Da lì andammo fino a Sharm el Sheikh e Ras Mohamed. Al ritorno passammo all’interno del Sinai, posti molto belli e solenni: mi ricordo che pensai che erano veramente un luogo adatto per donare la Torà. Prima di tornare a Gerusalemme, ci fermammo a passare lo Shabbat a Ein Ghedi, un’oasi vicino al Mar Morto con fonti, cascate e piscine naturali dove ero già stato 4 anni prima (e ci sarei tornato anni dopo con moglie e figli: ogni volta è sempre più bello).

Mi piacque talmente il Sinai che durante le vacanze di Yom haAtzmaut nel ’78 ci tornai con altri amici e questa volta mi portai maschera e pinne, così che potei pienamente godere della vista dei coralli e dei pesci. Questa volta stetti bene attento a non scottarmi al sole come mi era successo nel 1970, come vi ho già raccontato.

tefillà a Dahab, maggio ’78 (vacanze di yom haatzmaut)

Con l’università facemmo diverse gite botaniche e zoologiche sul “campo” in varie località di Israele. Con amici, nel maggio ’76, sempre per le vacanze di Yom haAtzmaut, andammo nel Galil settentrionale, nel Golan e al lago di Tiberiade. In un’altra occasione, prima del Kippur del ’77, andammo di nuovo al lago di Tiberiade e da lì a Tzefat (Safed), dove visitammo le sinagoghe dei cabalisti, e poi ad Acco, città araba sul mare, e infine a Haifa.

Una volta o due andai con la Vespa al kibbutz Yavne a trovare mia sorella Miriam che aveva fatto la aliyà nel ’75 e nel primo periodo era stata nel kibbutz per studiare all’ulpan, ospite della famiglia di Berti Eckert, il mio primo maestro di Midrash a un seminario memorabile del Benè Akivà, di cui vi ho già parlato. Miriam poi studiò all’Università di Gerusalemme Avodà sotzialit (Lavoro sociale), e da allora vive a Gerusalemme. È assistente sociale all’ospedale Sha’are Tzedek e ha figli e nipoti.

Spesso andavamo al cinema, in particolare alla Cinemateca (d’essay). I film italiani li vedevamo tutti: mi ricordo Fellini con Amarcord, De Sica con La Ciociara, Ladri di biciclette e, per la seconda volta, Il Giardino dei Finzi-Contini. Fra i film non italiani, mi ricordo alcuni di Chaplin e di Hitchcock.

Tefillà a Dahab, maggio ’78

Anche i concerti erano una frequentazione assidua: fra i tanti, mi ricordo il Concerto per violino e orchestra di Mendelssohn con il grande Isaac Stern, un concerto che da allora è fra i miei favoriti, e Sheerazade di Rimsky Korsakov, con l’orchestra che si dirigeva da sola. Avevo anche ripreso a suonare la chitarra classica, prendevo lezioni insieme a un’amica da una maestra che a sua volta studiava al conservatorio per divenire direttrice d’orchestra. Chissà se poi lo è diventata.

Hai detto prima che rimanesti a Reznik due anni. Dopo dove abitasti?

(continua a pag. 3)

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