Un palco per dare voce alle donne, contro il femminicidio di Hamas
Alla vigilia dell’8 marzo, l’associazione “Setteottobre” torna di nuovo a sensibilizzare l’opinione pubblica su un crimine che rischia (colpevolmente) di essere dimenticato: le violenze ripetute e premeditate subite da centinaia di donne israeliane nell’attacco del 7 ottobre
Anita Friedman, l’associazione “Setteottobre” organizza oggi pomeriggio a Roma una maratona oratoria: appuntamento a piazza Santi apostoli, dalle 18 alle 20. Qual è l’obiettivo dell’iniziativa?
Intendiamo dare voce a tutte le donne israeliane che il 7 ottobre sono state torturate, stuprate, massacrate e uccise. Riteniamo che ci sia necessità di reagire al grande silenzio che anche in Italia è sceso su quei fatti. Mi ha molto colpito, fra tutte, la manifestazione dello scorso 25 novembre, organizzata da molte associazioni femministe. Come ricorderai, in quella occasione gli stupri e le violenze contro le donne israeliane del 7 ottobre sono stati praticamente ignorati. Avevamo quindi l’esigenza di dar voce a queste vittime. In poco tempo insieme ad altri abbiamo preparato un appello che ha raccolto oltre 17.000 firme. L’iniziativa del 7 marzo è lo sviluppo di quell’appello. Dobbiamo scendere in piazza perché troviamo immorale non riconoscere il femminicidio di massa compiuto da Hamas il 7 ottobre. Una negazione che opera sia nelle piazze che nei social. C’è oggi una propaganda asfissiante di Hamas che non trova argini: pensa che, secondo un lavoro fatto da Cyberwell che ha segnalato post che negano il 7 ottobre, X ha cancellato solo il 2% di messaggi segnalati, Tik Tok solo il 14% e YouTube il 17%: si tratta di cifre scandalose.
Come si svolgerà l’incontro?
Si alterneranno circa una trentina di voci, tutte donne del mondo della cultura, della politica, del femminismo. Tra queste alcune parlamentari tra cui Cinzia Bonfrisco, Maria Elena Boschi, Mara Carfagna, Maria Stella Gelmini, Simonetta Matone, le storiche Alessandra Tarquini e Mirella Serri, Claudia Mancina, la giornalista Giovanna Reanda. Ci saranno anche due donne iraniane del gruppo “Donne vita e libertà” e Tamar Herzig, studiosa israeliana del femminicidio, in questi giorni a Roma. Ma anche Ilaria Buitoni Borletti, Lucetta Scaraffia e altre ancora.
L’iniziativa è promossa solo dall’associazione “Setteottobre”?
Noi siamo i promotori, ma non lavoriamo da soli: hanno aderito, fra altri, il Forum ostaggi “Bring them home”, Partito Radicale, UN Watch, le comunità ebraiche di Roma, Torino e Milano e l’Unione delle comunità ebraiche italiane; e poi ancora Keshet LGBQT ebraica, l’associazione Haddassah, la Federazione Italia-Israele. Parteciperà inoltre anche Sinistra per Israele.
Con questa iniziativa l’associazione fa un ulteriore passo nella società civile per denunciare i fatti accaduti il 7 ottobre. Proviamo a riavvolgere il nastro di questi 5 mesi: quali sono le ragioni che vi hanno portato a questa scelta?
Questa associazione è stata fondata da un gruppo di persone che sono state fortemente colpite dalla ferocia messa in atto da Hamas il 7 ottobre. Ma ciò che poi ci ha lasciati sconvolti è stata la reazione di una parte significativa dell’Occidente tra silenzi, ambiguità, manifestazioni antisemite, fino alla legittimazione del terrorismo come “atto di resistenza” e alla negazione del femminicidio e degli stupri. Dal mese di ottobre sono triplicati i casi di antisemitismo in Italia e questo è intollerabile. È per questo che è nata l’associazione “Setteottobre”, per ricordare quei fatti e contrastare il negazionismo, ma non solo. Io credo che si debbano sempre più apertamente difendere i valori occidentali di libertà, diritto e democrazia che in Medio Oriente sono rappresentati da Israele.
La guerra in corso ha spinto anche la politica italiana a prendere posizione. Quali sono le tue impressioni al riguardo?
Dopo oltre 5 mesi di guerra la situazione umanitaria a Gaza è molto difficile. Io sono convinta che la comunità internazionale si debba fare carico di una soluzione. Essa cioè non può essere posta sola in capo a Israele, che, vorrei ricordare, si trova a combattere una guerra che gli è stata imposta il 7 ottobre da Hamas. L’unica condizione per evitare la guerra sarebbe stato l’immediato rilascio di tutti gli ostaggi rapiti. Hamas ha realizzato un piano diverso, e quindi io ritengo che la situazione attuale sia innanzitutto una responsabilità da attribuire ad Hamas. Per quanto riguarda le reazioni della politica italiana, nel momento in cui chiede il cessate il fuoco, e comprendo le ragioni di tale richiesta, a mio avviso va condizionato al rilascio degli ostaggi e alla resa di Hamas. Credo che bisognerebbe fare più pressioni non su Israele, ma su Hamas, perché rilasci gli israeliani ancora prigionieri.
Molte critiche nell’opinione pubblica occidentale riceve Netanyahu e il suo governo
Io credo che qualsiasi governo e qualsiasi primo ministro dopo i fatti del 7 ottobre avrebbe reagito con un’azione militare per difendere il popolo israeliano. Ricordiamo che Hamas, anche dopo il 7 ottobre2, ha dichiarato più volte che lo avrebbe ripetuto altre mille volte. Detto questo ciò che preoccupa è che Netanyahu e il suo governo non sembrano avere una strategia per il giorno dopo.
Tutti noi speriamo ovviamente che questo conflitto possa terminare il prima possibile, con il rilascio degli ostaggi e con la garanzia di sicurezza per Israele. Una volta che ciò verrà raggiunto, l’associazione “Setteottobre” avrà ancora iniziative da realizzare?
Prima di tutto vorrei dire che questo conflitto avrà veramente termine quando i palestinesi si libereranno da Hamas, rinunciando quindi al proposito di eliminare Israele e accetteranno la convivenza al suo fianco. Per quanto riguarda l’associazione, al momento abbiamo più di 500 associati e un programma di iniziative che stiamo realizzando. Come ho detto prima, infatti, l’attuale guerra ci mostra, in termini più generali, che qui in Occidente c’è molto lavoro da fare.
Cosa intendi?
Mi riferisco ai rapporti dell’Occidente liberale con i paesi che direttamente o indirettamente finanziano e usano il terrorismo. È evidente che essi mirano a colpire i suoi valori fondanti. I governi democratici devono aprire gli occhi. Io credo che la nostra associazione debba ragionare su questo e opporsi a questa deriva. Ad esempio, ritengo fondamentale coinvolgere i giovani e renderli consapevoli di questo rischio.
Ci puoi anticipare qualcosa?
Un’iniziativa attualmente in corso è la segnalazione che abbiamo presentato alla Corte penale internazionale, per denunciare Hamas per genocidio e crimini contro l’umanità. Io spero che anche altre associazioni si uniscano a noi in questa campagna. Si tratta di un’iniziativa non isolata, perché anche le famiglie dei rapiti hanno presentato un sollecito alla Corte. Un primo progetto è rivolto alle scuole, e il suo capofila è Luigi Mattiolo, ex ambasciatore in Israele, con l’obiettivo di fornire una corretta informazione sulla storia del Medio Oriente e contrastare l’antisemitismo. Un altro tema su cui vogliamo lavorare riguarda l’UNRWA e l’Onu in generale. È ormai sempre più evidente che l’agenzia per i rifugiati palestinesi sia profondamente collusa con Hamas, come le prove e le testimonianze raccolte da Israele dimostrano. Ora l’Onu sta cercando di minimizzare i fatti, ma altre fonti provano che oltre 3.000 impiegati dall’agenzia sono stati complici di Hamas. D’altra canto l’agenzia si è sempre fatta portatrice di propaganda antisemita e anti israeliana con libri di testo nelle scuole palestinesi. Si tratta dunque di comprendere che l’UNRWA non può più operare a Gaza e deve essere sostituita. In generale, l’associazione “Setteottobre” vuole parlare all’intera società civile. Non vogliamo uno scontro muro contro muro con chi odia, non vogliamo odiare chi odia, vogliamo fargli sorgere un dubbio, indurlo a farsi delle domande, a studiare, ad ascoltare, a capire.
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Vi ricordiamo che:
venerdì 8 marzo esce il primo libro di Riflessi: “Donne del mondo ebraico italiano”.
Un’antologia delle interviste pubblicate da Riflessi in questi anni a donne che, in Italia e all’estero, hanno contribuito in più campi al miglioramento della società e alla diffusione della cultura ebraica.