una sinagoga ucraina

Il ricordo della schiavitù è in particolare il fondamento delle norme sociali della Torà, sia in senso affermativo di azioni da compiere, sia in senso deterrente di comportamenti proibiti sia nel riguardo di sentimenti ed emozioni che devono accompagnare le une e le altre. Nel Libro di Shemot leggiamo fra l’altro: “Non angustiare lo straniero, voi ben conoscete l’animo dello straniero perché stranieri siete stati nella terra d’Egitto”  (Esodo 23,9); nel Libro di  Vaikrà: “Se un tuo fratello impoverirà e le sue forze vacilleranno presso di te, tu dovrai sostenerlo, sia esso anche un forestiero o un avventizio sicché possa vivere presso di te”; il testo prosegue proibendo il prestito ad usura e conclude “Io sono il Signore vostro D.O che vi ho fatti uscire dall’Egitto, per darvi la terra di Canaan per essere vostro D.O”.(Levitico 25,35-38). Nel libro di Devarim (Deut. 24,14-18) troviamo, ancora: “Non defraudare il lavoratore salariato povero e misero – tuo fratello o forestiero che abita nel tuo paese, nella tua città- nel giorno stesso gli darai il suo compenso… Non sovvertire il diritto del forestiero e dell’orfano; non prendere in pegno il vestito della vedova”, anche in questo casol’insieme di diverse mizvot di ambito sociale si conclude affermando: “Ricordati che fosti schiavo in Egitto ed il Signore tuo D.O ti ha liberato di là, perciò Io ti comando di fare queste cose. Il ricordo della schiavitù viene anche richiamato per stabilire delle forme di sostentamento da erogare in favore del lavoratore, al termine dei sei anni di lavoro che la Torà prevede, in particolari circostanze, quale forma di servizio dipendente: Quando lo manderai via libero da te non dovrai mandarlo a mani vuote, lo dovrai provvedere di doni dal tuo gregge dalla tua aia e dal tuo torchio, gli darai ciò di cui l’Eterno il Signore ti avrà benedetto. Ricorderai che tu pure fosti schiavo in Egitto ma il Signore tuo D. ti riscattò. Perciò Io ti comando oggi tutto questo.” (Deut. 15,12-15). In alcuni commentatori (già in epoca medievale, come nel Sefer ha-Chinnukh, e più in dettaglio in tempi moderni, come da parte di S.R. Hirsch nel commento alla Torà in loco e Rav Mordekhay Eliyahu nei responsa Maamar Mordekhay) questo comandamento è letto anche con riferimento al lavoratore salariato in senso lato, quasi una forma ante litteram delle previdenze per il lavoratore che oggi sono considerate diritti indiscutibili spettanti al termine del rapporto di lavoro, nonché quale contributo al recupero sociale di persone che hanno scontato delle condanne penali.

Il ricordo dell’uscita dall’Egitto è anche il fondamento dell’etica ebraica nel commercio: Non commettere iniquità nei giudizi, nelle misure di lunghezza, nelle misure di peso e in quelle di volume, bilance eque, pesi equi…Io sono il Signore vostro D. che vi ho fatti uscire dall’Egitto. Ed osserverete tutte le mie leggi e i Miei statuti e li eseguirete. Io sono il Signore”. ( Levitico 19,35-37).

Questi Comandamenti qui brevemente richiamati in quanto collegati nella Torà con il ricordo della schiavitù e della liberazione, sono alcuni dei precetti fondamentali preposti a regolare l’ambito delle relazioni interpersonali dell’ebreo –ben adam lachaverò; altrettanti ne riconosciamo nell’ambito del rapporto che ogni ebreo è chiamato a stabilire con il Signore – ben adam la-Makom.

“Gli ebrei che pregano”, di Jakob Kramer

Ricordiamo l’uscita dall’Egitto tutti i giorni, al mattino e alla sera, nello Shemà, nel terzo brano, quello della mizvà dello Zizit, la ricordiamo pure nella mizvà dei Tefillin, infatti due dei quattro brani della Torà che sono riposti all’interno dei Tefillin ci manifestano come “Il Signore con mano potente ti trasse dall’Egitto”. (Esodo 13,9-10;16). Ricordiamo l’uscita dall’Egitto nell’attenzione che poniamo escludendo dal nostro pasto gli animali che la Torà ci proibisce di mangiare, in senso lato rispettando le norme della kashrut che sono pure parte del progetto di kedushà, di santificazione della nostra vita, così infatti si esprime la Torà concludendo l’esposizione dei comandamenti relativi agli animali proibiti: “Perchè Io sono il Signore vostro D.O, sarete santi perché santo sono Io e non renderete impure le vostre persone per causa di tutto il brulicame che striscia sulla terra. Perché Io sono il Signore che vi ha fatto salire dall’Egitto…”(Levitico 11,44-45)

Il ricordo dell’uscita dall’Egitto si ritrova con grande accentuazione nel Comandamento dello Shabbat nella versione dei Dieci Comandamenti che si trova nel Libro di Devarim-“Osserva il giorno di Shabbat per santificarlo.. Non farai alcun lavoro…in modo che possa riposare il tuo servo e la tua serva. Ricordati che fosti schiavo in terra d’Egitto e il Signore tuo D.O ti fece uscire di là con mano potente e braccio disteso e che pertanto ti comandò attuare il giorno di Shabbat”. ( Deut.5,12-15). Come a ribadire che la protezione dei più deboli per la Torà non è in realtà semplicemente un criterio di umanità e di equo ordinamento sociale ma è un principio fondamentale senza il quale non possiamo neanche pensare di stabilire una relazione con l’Eterno.

rav Rafael Hirsh (1808-1888)

Forse l’insegnamento della Torà che più di tutte riassume e definisce questo molteplice insieme di precetti legati al ricordo dell’uscita dall’Egitto è il Comandamento di santificare il Nome dell’Eterno “Non profanerete il Mio santo Nome, in modo che Io sia considerato santo in mezzo ai figli d’Israele. Io sono il Signore che vi santifica che vi ho tratto dalla terra d’Egitto per esservi D.O Io sono il Signore”. ( Levitico 22,32-33), un comandamento che si riverbera su tutto il nostro comportamento e si proietta verso tutti i popoli, perché significa manifestare in ogni momento il nostro legame con il Signore, rappresentare al mondo intero come il Suo Nome si posi su di noi, sia per noi fonte di vita attraverso la Torà.

Questo modello diverso di vita, di valori spirituali realizzati attraverso i Comandamenti della Torà, di giustizia e di misericordia, questo criterio di libertà che trova il suo fondamento più forte nella ricerca di autentico legame con l’Eterno, questo essere tanto più liberi quanto maggiormente controlliamo e gestiamo i nostri istinti; questo è il nostro compito, la nostra responsabilità come ebrei per noi  e di fronte al mondo, tanto più nel tempo nuovamente così incerto in cui ci troviamo. Questo è il contributo ebraico per indirizzare l’umanità verso un futuro migliore. Nel tempo in cui si realizzerà la promessa del Profeta Michà “Come quando uscì dall’Egitto, gli mostrerò cose meravigliose” (Michà 7,15).

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