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L’altra faccia della persecuzione

Le leggi razziste del 1938 non si limitarono a violare i diritti civili e politici degli ebrei: lo studio recente di Ilaria Pavan mette in luce anche la pervicace spoliazione dei loro beni, che il fascismo perseguì con la stessa ferocia

Ilaria Pavan insegna Storia contemporanea presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Si occupa di storia del fascismo, dell’antisemitismo e storia del welfare state.

Ilaria, il tuo volume si sofferma per la prima volta con minuzia su un aspetto specifico della persecuzione razziale contro gli ebrei: quello della spoliazione dei loro beni. Come mai ha voluto seguire questo “filone di indagine”?

Il libro è una riedizione aggiornata, rivista e arricchita di un lavoro che risale ai primi anni duemila, quando questo tema della persecuzione economica era ancora un filone nuovo, non solo in Italia; avevo quindi l’interesse ad approfondire l’argomento, all’interno del tema più ampio relativo alla persecuzione razziale, che solo da poco la storiografia aveva cominciato ad esaminare, anche tentando la comparazione con le storiografie europee. Ricordo inoltre che in quegli anni fossero attive in tutta Europa delle commissioni governative nate sull’onda dello scandalo dei cosiddetti conti “dormienti” svizzeri, la maggioranza dei quali relativi ad ebrei perseguitati durante la shoah; alla fine del 1998 anche l’Italia costituì, per questo, la c.d. Commissione Anselmi.

Cominciamo allora dall’inizio: qual era la presenza degli ebrei italiani all’interno dell’economia italiana, alla vigilia delle leggi razziali?

le prime leggi razziali entrano in vigore nell’autunno del 1938. Nei mesi successivi, verrano adottati i provvedimenti che colpiranno i loro averi

Il libro parte anche dall’idea di sfatare un pregiudizio antisemita tra i più comuni, e ancora corrente, quello relativo alla presunta influenza economica degli ebrei. Dati alla mano, anche sulla base degli stessi censimenti fascisti, cerco di dimostrare che il profilo socio-economico degli ebrei italiani era medio basso: si trattava per lo più di una piccola borghesia urbana, in cui prevalevano i piccoli commercianti; nelle città sedi delle più numerose comunità ebraiche c’era inoltre una componente consistente di ambulanti, di persone quasi ai margini della povertà, come a Roma, Trieste, Venezia, Firenze. Direi perciò che la “élite” ebraica economica era ristretta a un numero molto esiguo di persone.

La tua ricerca non si sottrae neppure allo studio dei legami tra alcuni settori dell’ebraismo italiano e il regime fascista: secondo la tua opinione, questi rapporti erano numerosi? A quale tipologia sociale ed economica (se è possibile ricostruirne una) sono riconducibili questi ebrei “amici di Mussolini”?

l’Egeli fu l’ente che il fascismo costituì per gestire la spoliazione dei beni ebraici

In realtà è abbastanza difficile dare una risposta a questa domanda. Come hai detto, l’articolazione era varia: c’erano fascisti convinti, ma anche altri vicini al regime solo per convenienza, come molti altri italiani. Quello che mi sento di dire è che l’adesione più o meno convinta degli ebrei italiani al regime aveva gli stessi caratteri e motivazioni di quella manifestata dalla società italiana nel suo complesso, e ciò era un sintomo della profonda integrazione che la comunità era riuscita a ottenere in soli 60 anni dall’unità; uso quindi questo termine, “ebrei fascisti”, proprio per dimostrare la grande integrazione degli ebrei italiani nel tessuto sociale nazionale.

Come reagirono gli ebrei alle misure economiche adottate contro di loro? In generale, la spoliazione dei loro beni fu efficace?

Reagiscono inizialmente con lo stesso smarrimento che li assale rispetto a tutte le altre misure persecutorie. Quello che contribuisce a non rendere gli ebrei subito consapevoli della durezza delle misure di carattere economico è che esse vengono adottate attraverso uno stillicidio di misure che dura mesi; spesso si tratta di circolari ministeriali, cioè si tratta non di atti pubblici, che tutti possono conoscere. Per cui spesso gli stessi perseguitati vengono a conoscenza di questi provvedimenti con ritardo. Tutto ciò genera smarrimento e incapacità di dare risposte efficaci. La loro capacità di difesa rispetto alle misure di carattere economico è assai limitata. Questo contribuisce ai molti fallimenti di quegli anni e all’evidente impoverimento globale registrato dall’ebraismo italiano in quel periodo. Considera che c’è anche, o soprattutto, la perdita immediata del lavoro, non solo dei beni e delle attività imprenditoriali o commerciali.

l’impresa di Piperno al Corso fu uno dei casi più noti di spoliazione dei beni ebraici (foto: Archivio Luce)

Già dalla primavera del 1945 comincia una lunga e travagliata fase di risarcimento delle perdite subite dagli ebrei a causa della persecuzione. Come giudichi le misure adottate a partire dal dopoguerra per il reintegro nei posti di lavoro e nell’attività economiche degli ebrei perseguitati?

Il percorso è complicato, lento e faticoso, pieno di paradossi giuridici. Il numero più consistente di provvedimenti per la reintegrazione dei beni e dei posti di lavoro si adotta tra il 1944 e il 1947, e poi nel 1955, con la legge Terracini, viene stabilito il diritto a un risarcimento economico, e morale. È un percorso però complicato, perché a livello legislativo le misure economiche varare tra il 1938 e il 1945 aveva rivoluzionato l’assetto proprietario, per cui per molti ebrei italiani tornare in possesso dei propri beni non fu semplice, occorrevano leggi eccezionali che non furono però emanate dai governi repubblicani, interessati più a tutelare la proprietà e il principio della cosiddetta buona fede degli acquirenti piuttosto che favorire la reintegrazione degli ex proprietari ebrei. Circa la riammissione sul posto di lavoro, per esempio, le leggi che reimmettevano i professori universitari in cattedra erano piene di lacune, per cui gli ex perseguitati tornarono a fianco di chi gli aveva usurpato il posto; insomma, si tollerava il perseguitato e si lasciava al suo posto chi era subentrato “aprrofittando” delle leggi razziali. Se passiamo al mondo delle proprietà, molti ex perseguitati non tornarono mai in possesso di quello che avevano venduto/svenduto, perché formalmente era stato fatto tutto a norma di legge.

Un altro aspetto importante del tuo lavoro riguarda l’esame della giurisprudenza, che si trovò ad applicare i provvedimenti reintegratori. Che giudizio dai del suo operato?

il libro della Pavan dedicato alla persecuzione dei beni ebraici è del gennaio 2022 (ed. Il Mulino)

Distinguerei tra le questioni relative al reintegro dei beni e del lavoro da quelle relative alla concessione del vitalizio della legge Terracini. Nel primo caso si è a lungo pensato che fosse stato l’atteggiamento della magistratura, ancora compromessa nei suoi quadri più alti col fascismo, ad avere impedito ai perseguitati di tornare in possesso dei propri beni. Se in parte ciò è vero, a mio avviso il punto debole stava tuttavia nelle leggi reintegratorie, che come ho detto avevano un’impostazione che andava a sfavore del perseguitato. Per quanto riguarda la legge Terracini, tuttora in vigore, pochi ex perseguitati ne beneficiarono; direi che per decenni, fino alla metà degli anni Novanta, è stata applicata dalla Avvocatura dello Stato, e prima ancora dal Ministero delle Finanze in modo molto ristrettivo. Dagli anni Duemila in avanti, sia pure con alcune contraddizioni, le cose sono invece cominciate a cambiare, con alcune sentenze della Corte dei conti che hanno fatto chiarezza su cosa si dovesse intendesse per “violenza morale e fisica” estendendone l’applicazione anche agli studenti ebrei cacciati delle scuole. Tuttavia, erano rimasti ancora nodi da sciogliere tanto che nel 2021 un comma nella legge finanziaria sembra aver fatto chiarezza per rimuovere gli ostacoli burocratici ancora presenti: il comma ha infatti invertito l’onere della prova per dimostrare la violenza subita, che ora non è, finalmente, più a carico dell’ex perseguitato.

A proposito di magistratura: tu evidenzi che furono relativamente pochi gli ebrei a chiedere il reintegro dei loro beni. Come mai, secondo te?

Furono pochi, in effetti, a ricorrere alla magistratura. A mio avviso ciò si spiega per varie ragioni. La prima è che l’ebraismo italiano uscito dalla guerra era molto provato anche economicamente, e spesso non c’erano risorse da impegnare in una causa giudiziaria, incerta e costosa. Inoltre c’era anche una sorta di sfiducia nei confronti delle istituzioni, dovuto al trauma della persecuzione. Infine, considera anche la necessità psicologica di dimenticare e andare avanti con la propria vita, i lutti patiti erano stati talmente forti che le questioni economiche apparvero spesso secondarie.

Di recente, la questione dei risarcimenti è tornata d’attualità. Il d.l. n. 36 del 2022, infatti, ha stabilito l’istituzione di un fondo per risarcire le vittime dei crimini nazisti compiute tra il 1938 e il 1943. Da storica, come giudichi questo provvedimento?

la sede della Corte dei conti, a Roma

Non ho studiato a fondo la questione, però alcune cose si possono dire. Innanzitutto occorre tenere conto che la norma è inserita in un d.l. eterogeno, quindi non sembra nascere da una approfondita rimeditazione della questione. Inoltre mi pare riguardi solo le violenze patite per mano nazista, per ottenere i risarcimenti che in precedenza erano stati chiesti direttamente alla Germnaia; il decreto non affronta il tema delle violenze patite da mano fascista. Credo inoltre che il testo sia il frutto di un lavoro diplomatico importante e tradisca una serie di tensioni che ci sono state nel corso degli ultimi anni con il governo tedesco; per cui va contestualizzato anche in questo senso: è una misura adottata per porre fine ad un contenzioso che è anche politico-diplomatico. Vedremo poi i decreti attuativi. Lasciami però dire che la formula del “ristoro” (economico) utilizzato nel decreto stona molto rispetto alla situazione che intende affrontare, un termine forse poco rispettoso che non rende giustizia delle sofferenze patite, non solo dagli ebrei.

Infine, un’ultima domanda. Guardando ai caratteri generali della persecuzione fascista, possiamo ancora dire il mito degli “italiani brava gente” ha ragione di essere sostenuto?

Mussolini annuncia le leggi razziali a Trieste, estate del 1938

La mia idea è che gli ultimi 20, 30 anni di studi abbiamo ormai dimostrato che questo è appunto un mito. Le leggi razziali sono state severe, severissime, e sono state applicate con zelo, a volte anzi con acribia da diversi funzionari dello Stato. Che l’Italia fascista non abbia adottato politiche persecutorie nelle colonie e contro gli ebrei è ormai definitivamente smentito in ambito storiografico. Certo però occorre ancora lavorare molto perché questa consapevolezza diventi patrimonio diffuso a livello dell’opinione pubblica.

Una risposta

  1. Complimenti! Conosco Ilaria sin da quando era studentessa alla Normale! Prometteva già bene ed ha mantenuto kecorinesse

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