Israele, pace, Europa: la Sinistra non venga meno ai suoi compiti e ai suoi valori

Piero Fassino, storico cofondatore di “Sinistra per Israele”, a Riflessi spiega le ragioni del manifesto lanciato la scorsa settimana e che ha già raccolto oltre 900 firme

Onorevole Fassino, pochi giorni fa lei è stato eletto all’unanimità presidente del Comitato di monitoraggio dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Quali compiti ha tale organismo?

Piero Fassino (Pd)

Si tratta del Comitato del Consiglio d’Europa per il Medio Oriente. Tra le sue finalità c’è quella di contribuire a una soluzione del conflitto fra israeliani e palestinesi, in particolare cooperando con le assemblee parlamentari: la Knesset e il Consiglio legislativo palestinese e le istituzioni parlamentari degli Stati della regione. Si tratta cioè di favorire relazioni parlamentari creando occasioni di incontro e di confronto per individuare e favorire punti d’intesa, su cui le parti lavorino insieme, concorrendo così a creare un clima di fiducia.

Si tratta di un impegno notevole, vista anche la drammaticità della situazione sul campo. Prima di andare a Gaza vorrei però cominciare dall’Ucraina, il fronte a nord dell’Europa in cui da più di due anni si consuma lentamente la guerra avviata da Putin. A suo avviso il conflitto continuerà almeno fino all’esito delle elezioni americane, il prossimo novembre?

Attualmente la guerra in Ucraina è in una condizione di stallo, sia militare che politico. Lo stallo militare deriva dall’alternarsi di fasi in cui l’Ucraina ha recuperato parte dei territori sottratti dall’invasione russa, e altre fasi in cui i russi hanno reagito con controffensive. Il risultato è che fino ad oggi nessuno dei due soggetti appare in grado di vincere, e tuttavia la guerra continua. Sul piano politico, invece, lo stallo deriva da Putin ha fatto una scelta che rende molto difficile trovare un accordo.

Vladimir Putin

Quale?

Ha scelto di annettere territori occupati. L’annessione, come è evidente, segna un salto di qualità rispetto all’occupazione. Mentre da un’occupazione ci si può sempre ritirare, non così con l’annessione perché i territori annessi diventano giuridicamente parte dello Stato russo. Non a caso sia Putin che il suo portavoce Peskov e il ministro degli esteri Lavrov hanno dichiarato più volte che non è negoziabile un ritorno alla situazione precedente. E così, alle prossime elezioni presidenziali, anche i cittadini dei territori annessi voteranno, avendo hanno già ottenuto la cittadinanza russa. Ovviamente, la scelta russa di annettere non può che trovare la totale contrarietà ucraina, che non vuole rinunciare a una parte del proprio territorio e che vivrebbe una tale ipotesi come una mutilazione della propria sovranità, ossia una sconfitta.

Dunque, che prospettive ci sono?

la guerra in Ucraina è entrata nel terzo anno

Al momento la situazione è bloccata. Credo che noi si debba continuare a sostenere l’Ucraina, anche con forniture militari. È importante infatti che i rapporti sul campo non vengano ulteriormente compromessi. Se si stabilizzano i rapporti di forza sarà possibile operare in futuro per una soluzione politica. Al contrario, se i rapporti di forza dovessero rovesciarsi a favore della Russia, si chiuderà ogni spazio per un accordo.

Veniamo a Gaza. Lei pochi giorni fa ha preso una netta posizione per l’immediato cessate il fuoco. Com’è possibile convincere Israele a fermare le armi garantendo il rilascio degli ostaggi e la sua sicurezza ai confini?

Anche gli ultimi rapporti pubblicati in Israele mostrano come la violenza sessuale sia stata sistematicamente usata da Hamas contro le donne israeliane

Penso come tanti che il cessate il fuoco sia urgente per due esigenze. La prima è ottenere la liberazione degli ostaggi, condizione irrinunciabile: nessun cessate il fuoco è sostenibile senza il ritorno a casa degli ostaggi ancora vivi e la restituzione dei corpi di quelli deceduti. La seconda esigenza è consentire alla popolazione palestinese di vivere in maggiore sicurezza, ossia non più esposta a tutte le sofferenze e le quotidiane precarietà che subisce da mesi. È importante assicurare alla popolazione palestinese l’invio degli aiuti alimentare e sanitari necessari. Ed è molto importante la decisione americana di costruire un porto d’emergenza davanti Gaza, proprio per inoltrare gli aiuti. Questione degli ostaggi e sostegno alla popolazione palestinese sono le due condizioni che giustificano il cessate il fuoco.

Rafah è diventato luogo di raccolta di oltre 1 milione di sfollati palestinesi

Il cessate il fuoco tuttavia appare come una soluzione provvisoria.

Non c’è dubbio. Occorre saper prevedere anche cosa fare il giorno dopo.

Qual è la sua opinione?

Va chiarito che in nessun modo la comunità internazionale, oltre a Israele, può accettare che la tregua equivalga a una forma di riconoscimento, indiretto o indiretto, di Hamas. Hamas è responsabile del massacro dei civili israeliani del 7 ottobre e anche di quanto ne è seguito. È Hamas che ha trasformato Gaza in un enorme scudo umano, il che ha prodotto un così alto numero di morti civili. È Hamas che non vuole in alcun modo un accordo con Israele, tanto che proclama come suo obiettivo la liberazione della Palestina “dal fiume al mare”. Un cessate il fuoco, dunque, è immaginabile solo se si pone come avvio di un percorso politico che passa per una netta sconfitta di Hamas e la sua esclusione dalla gestione di Gaza.

Nel rave party del 7 ottobre Hamas ha ucciso centinaia di giovani e rapito molti ostaggi

Il problema dei rapporti tra la sinistra italiana e Israele nasce da lontano. Attualmente, come giudica la posizione del Partito Democratico sul conflitto?

Il Partito Democratico ha assunto posizioni molto nette. Ha condannato in modo inequivoco e immediato il massacro di Hamas, così come condanna le sue strategie terroristiche. Su questo non c’è alcun dubbio così come sulla necessità di fermare una situazione di guerra che sta producendo continue sofferenze alla popolazione palestinese. Inoltre, il Partito Democratico sostiene convintamente la ripresa di un percorso che porti a una soluzione politica, che garantisca stabilità e sicurezza a tutta la regione. Questo significa che Israele venga riconosciuto dai suoi vicini e sia garantita la sua sicurezza. In altre parole, la soluzione politica è quella che passa per il rilancio degli accordi di Oslo e di Washington. Certo la crisi di questi mesi ha scavato un solco profondo di paura, odio, rancore, sfiducia. Ci sarà da lavorare molto per rimettere in moto un percorso di pace.  Ma altra strada non c’è.

Lei, come altri nella sinistra italiana, penso innanzitutto al presidente Napolitano, lavora da sempre per sostenere le ragioni di Israele. Secondo lei oggi il partito democratico e di tutto immune da un pregiudizio contro Israele?

Sinistra per Israele

Il Partito Democratico ha una posizione chiara: respingiamo ogni forma di pregiudizio antisraeliano, antisionista e antiebraico, condanniamo ogni forma d’intolleranza, come quello avvenuti a Firenze a opera di gruppi estremisti. E fermo contrasto a ogni manifestazione di antisemitismo. E consideriamo sbagliate e da contrastare le violente ostilità e i pregiudizi manichei e anti ebraici di frange estreme di sinistra radicale. Per questo in questi giorni  come “Sinistra per Israele” abbiamo promosso un Manifesto che afferma con chiarezza che in quella terra coesistono due diritti, di pari dignità: quello dei palestinesi ad avere un loro Stato e quello degli israeliani a vivere in sicurezza. Si tratta di due diritti che vanno entrambi riconosciuti. Questo comporta una serie di conseguenze.

Quali?

Innanzitutto che Israele in quanto tale non può essere criminalizzato. Certo, si può criticare il governo Netanyahu: anche io lo critico per la responsabilità di aver sempre ostacolato una soluzione di pace e di convivenza. Ma la critica al governo israeliano non può mai trasformarsi nella negazione del diritto di Israele ad esistere e non può giustificare un’ostilità pregiudiziale nei confronti di Israele.

Netanyahu deve fronteggiare una forte opposizione interna, anche per la conduzione della guerra

Come giudica la politica di Netanyahu?

Negativamente. Non dimentico che, al momento della morte di Rabin, Netanyahu dichiarò che era morto anche il processo di pace di Oslo. Ed è stato drammaticamente coerente: ha incoraggiato l’aumento degli insediamenti in Cisgiordania, ha dichiarato Gerusalemme capitale unica e indivisibile, ha continuamente sabotato l’ANP e non perde occasione per rifiutare  la nascita di uno Stato palestinese. Per tutti questi motivi Netanyahu non è l’interlocutore giusto per la pace e auspico pertanto un mutamento della guida politica di Israele, che consenta di avere una leadership che creda davvero in una soluzione di pace. E credo che sia necessario anche un serio rinnovamento della leadership palestinese, che ha non poche responsabilità nel logoramento degli accordi di Oslo.

Lei accennava anche al manifesto con cui “Sinistra per Israele” la scorsa settimana ha rilanciato le proprie regioni e si prepara una serie di iniziative politiche. A suo avviso ci sono margini per un’efficace azione dentro la sinistra italiana?

Shimon Peres e Giorgio Napoletano

“Sinistra per Israele” è un’associazione nata ormai trent’anni fa, di cui io fui tra i fondatori. Nacque proprio per sostenere il processo di pace culminato negli accordi di Oslo. In tutti questi anni abbiamo sempre lavorato per promuovere iniziative che facessero conoscere Israele e i suoi diritti, nonché la complessità della società israeliana. È sempre bene ricordare che Israele è l’unica democrazia in una regione governata in gran parte da autocrazie. Ci siamo sempre battuti per far riconoscere le ragioni di Israele indipendentemente dai governi che guidano il paese. Oggi, a maggior ragione con questa drammatica guerra in corso, e con le posizioni che sono emerse, anche nella società italiana, di profondo pregiudizio nei confronti di Israele, fino a metterne in discussione l’esistenza, “Sinistra per Israele” ribadisce il diritto dello Stato ebraico a esistere, un diritto non meno importante di quello di far  nascere lo Stato palestinese. Oggi più che mai la soluzione di due popoli per due Stati è necessaria, ma ciò è possibile solo si riconosce la piena legittimazione dei due soggetti, non certo se si demonizza uno a vantaggio dell’altro.

La scelta del consigliere comunale di Milano Daniele Nahum di uscire dal PD in dissenso con alcune posizioni espresse dai giovani democratici, non esprimono un malessere interno al Partito ?

Daniele Nahum consigliere al comune di Milano, è uscito dal PD

L’atto di Nahum nasce da un malessere reale per posizioni manifestatasi a sinistra, e anche in settori del PD, di criminalizzazione di Israele e di acritico sostegno a qualsiasi atto palestinese. Ricordo che pochi giorni fa per le stesse ragioni si è dimesso il Presidente dell’ANPI di Milano (Roberto Cenati, n.d.r.). Sono atti sofferti che non debbono essere sottovalutati. E mi auguro che il gruppo dirigente del PD milanese e nazionale ne facciano occasione per ribadire una linea chiara e inequivoca. Devo dire che quelle posizioni estreme sono di settori che non rappresentano la linea del PD e non sono condivise da gran parte dei dirigenti e dei militanti del PD. Proprio per far maturare posizioni non equivoche, come “Sinistra per Israele” abbiamo promosso il Manifesto che in pochi giorni ha raccolto più di 1000 firme e le adesioni continuano ad affluire. Mi auguro che Nahum ripensi la sua decisione e rimanga nel PD per far vivere posizioni che riconoscano Israele e le sue ragioni.

A giugno si vota per il Parlamento europeo. L’Europa riuscirà mai ad avere un’unica voce in politica estera?

il parlamento europeo

Oggi viviamo in un mondo globale in cui l’Europa è chiamata a fare i conti con Cina, Stati Uniti India e tanti nuovi Paesi che si pongono in diretta concorrenza con l’Europa. Per questo sono convinto che noi europei dobbiamo promuovere un salto di qualità, ossia un percorso di maggiore integrazione in ogni settore. Nessun paese europeo, da solo, ha la forza per essere protagonista. Tutti insieme, noi europei invece rappresentiamo 500 milioni di abitanti con un enorme potenziale finanziario, economico, sociale, culturale, politico che può rendere la UE protagonista e attore mondiale. Per realizzare tale risultato c’è però bisogno di un salto in avanti, con un più alto livello di contraddizione su tutti i dossier di più stretta attualità: dalla politica estera a quella di sicurezza, dalle politiche migratorie alle scelte energetiche e ambientali, alla tenuta dello Stato sociale. Occorre che l’Europa sempre più sia in grado di parlare con una sola voce ed agire con una sola mano. Le prossime elezioni europee saranno molto importanti perché per la prima volta si presenteranno al voto partiti che vorrebbero la dissoluzione dell’Unione europea. Io credo che tutti noi dovremmo batterci perché prevalgano le forze che intendono proseguire nel processo di integrazione europea, condizione essenziale per garantire sicurezza e prosperità ai nostri cittadini.

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