Intervista a Liliana Segre
Liliana Segre, senatrice a vita dal 2018, è una figura pubblica da molti anni. Come molti altri sopravvissuti, è stata un’infaticabile testimone, modello di passione civile e di etica per le giovani generazioni. Anche da senatrice, esercita il suo mandato con la stessa tempra, come quando, durante l’ultima crisi di governo, si è presentata in Senato nonostante l’emergenza sanitaria. A Riflessi ha concesso un’intervista esclusiva, con cui ci ha parlato un po’ della sua “carriera” politica, e del tempo che stiamo vivendo.
Gentile senatrice Segre, poco più di tre anni fa il Presidente Mattarella la nominava senatrice a vita, con una scelta tra le più simboliche del suo settennato. Come è cambiata la sua vita da allora?
La scelta del Presidente della Repubblica è stata, innanzitutto, sorprendente. Mai avrei pensato di diventare, alla mia età, un personaggio pubblico. Sono entrata a far parte di un mondo, quello delle istituzioni e della politica, che prima conoscevo solo come cittadina ed elettrice. Ho dovuto rivoluzionare la mia agenda. Purtroppo le forze limitate, le condizioni di salute ed il fatto che abito a Milano mi hanno impedito di partecipare assiduamente come avrei voluto. Cerco di fare del mio meglio, quel che posso…
Questa Legislatura sarà ricordata per i due governi di Giuseppe Conte, la pandemia e ora la fiducia al governo Draghi: com’è la politica vista dal Palazzo?
La politica è un mestiere complicato, un campo a tratti paludoso, talvolta insondabile. Questo è lo scenario classico. Poi è arrivata l’emergenza sanitaria, globale, che ha fatto saltare tutti i banchi. È proprio vero che è cambiato il mondo. Viviamo, anche in Parlamento, in un tempo sospeso. Ho seguito tutte le vicende con grande curiosità, sforzandomi di capire. Ma non mi vergogno di dire che non sempre le cose risultano comprensibili per una persona normale come io sono, lontana da certi codici iniziatici.
Nel novembre del 2019 il Senato ha approvato l’istituzione di una commissione d’inchiesta con il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza; lei ne è stata la prima firmataria. Qual è, a suo avviso, lo “stato di salute” della comunicazione sui social?
Lo stato di salute della comunicazione sui social è pessimo, a mio modesto parere. La rete è un ecosistema malato attraverso cui l’odio si propaga come il più insidioso dei virus. Se non adotteremo anche in questo ambito alcune semplici regole di comune convivenza, garantendo al tempo stesso il massimo grado di libertà per il confronto civile, noi consentiremo al veleno digitale di corrodere le nostre democrazie. Un problema che interroga le nostre coscienze e che necessita di risposte immediate. Per molti anni, lei è stata un’infaticabile testimone della Shoah. Soprattutto i più giovani oggi rischiano di soffrire gli effetti sociali, culturali ed economici della pandemia.
Cosa si augura per i ragazzi di oggi, donne e uomini di domani?
Mi auguro, con tutto il cuore, che possano sviluppare gli anticorpi. La pandemia li ha inchiodati di fronte agli schermi con o senza DAD. Ora però è tempo di ripresa, presto o tardi si rientrerà nei ranghi e sarà quello il momento di nuova socialità. La scuola, luogo di formazione delle coscienze, officina di cittadinanza, deve fornire i principi attivi contro tutte le forme di intolleranza. Del resto coltivare le differenze arricchisce il proprio patrimonio sentimentale, sociale, culturale. Le istruzioni per l’uso sono scritte a chiare lettere in quel grande manuale che è la Costituzione. Grazie davvero, Senatrice.