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L’ “assedio” del Parlamento del 16 novembre

Per la terza giornata di proteste furono distribuiti di avvisi da affiggere sulle porte dei negozi di proprietà ebraiche, in cui era scritto: “Chiusura di protesta per la liberazione di Kappler”. Centinaia di attività rimasero così chiuse per l’intera giornata.

Il corteo partì da Piazza Venezia, attraversò via del Corso e si diresse verso il Parlamento. Erano presenti non meno di 5000 persone, stavolta tutt’altro che silenziose e poco disposte a farsi bloccare. Arrivati a Piazza Montecitorio, trovarono ad accoglierli un imponente schieramento di Polizia. Molti, dalle prime file, al grido “venduti” iniziarono a lanciare monetine verso l’ingresso, riferendosi ai marchi che sarebbero dovuti arrivare dalla Germania. Per evitare il peggio, il presidente della Camera, Pietro Ingrao, ricevette una delegazione, formata, oltre ai presidenti della comunità di Roma e dell’unione delle comunità israelitiche, anche da Bruno Zevi e Oreste Bisazza Terracini, presidente della associazione giuristi ebrei. A sera, Zevi e Terracini uscirono dal Parlamento. A Terracini fu dato un megafono, lii chiese alla folla di allontanarsi e calmarsi. Gli era stato detto che il Parlamento non poteva interferire con la magistratura militare, ma ormai era chiaro che Kappler da Roma e dal Celio non si sarebbe mosso. Il clamore era stato enorme e inaspettato, grazie al risalto della stampa nazionale e dei tg che ci aprivano i notiziari.  La politica si mosse e anche la magistratura militare. A Kappler fu revocato il permesso di uscire dal Celio. Rimase fino al ferragosto dell’anno seguente

L’epilogo: il carcere e la fuga. Priebke.

Credo sia importante recuperare la memoria di una vicenda che coinvolse quasi tutto l’ebraismo romano come mai era accaduto. Se quel gruppo di giovani e Moretto dettero la spinta iniziale il merito di ciò che accadde in seguito fu di quelle migliaia di persone che per giorni lasciarono le loro attività chiudendo negozi e uffici per far valere un principio. I crimini nazisti non vanno in prescrizione, Kappler doveva rimanere in ospedale, curato al meglio ma non lasciare Roma. A seguito della rivolta, il 15 dicembre 1976 venne sospeso definitamente l’ordine di scarcerazione, e passò altri nove mesi al Celio, fino a che, nella notte tra il 14 e 15 agosto, dalla moglie Frau Annelise, Kappler fuggì dall’ospedale militare del Celio di Roma all’interno, si dice, di una valigia calata da un’altezza di 17 metri dalla sua stanza al terzo piano dove si trovava ricoverato, ed in auto, dopo un viaggio durato 24 ore, passando due frontiere, arrivò in Germania, per poi morire ai primi di febbraio del 1978.

Erich Priebke

Qualcosa di simile si ripeté 20 anni dopo con Erich Priebke. Rifugiatosi in Argentina, fu estradato nel 1995 e rinchiuso nel carcere di Forte Boccea. Nell’agosto del 1996 il Tribunale militare ne ordinò la scarcerazione, ma anche in quel caso ci furono forti proteste della comunità ebraica, che si conclusero a tarda notte. Dopo un intervento del Ministro di Grazia e Giustizia Priebke fu di nuovo arrestato e passò il resto dei suoi giorni agli arresti domiciliari. Se ciò è stato possibile, fu anche grazie all’esperienza di 20 anni prima.

(si ringrazia: Fondo Moretto, in memoriebraiche.it)

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