Ebraismo italiano e Israele: come va la comunicazione?
Klaus David, esperto di comunicazione, esamina per Riflessi l’interesse del meridione per l’ebraismo e Israele, nonostante la comunicazione di cultura e valori ebraici non siano la migliore, come qui ci viene spiegato
Klaus David, da molti anni è noto il tuo impegno a sostegno della diffusione della cultura ebraica in Italia, specialmente nel meridione. A cosa si deve tanto interesse per una parte del paese da cui gli ebrei sono stati cacciati oltre cinque secoli fa?
In Calabria, Sicilia, Campania, Puglia e Sardegna esiste un fenomeno che potremmo definire di giudaismo sommerso; e che a partire dal 900 è riemerso. L’esempio più significativo probabilmente è quello della comunità di San Nicandro, ma vorrei ricordare anche l’alto valore simbolico della riapertura di una sinagoga a Trani, una delle tante sinagoghe sottratte a una comunità ebraica. Ciò che caratterizza questo fenomeno, che spiega la sua larga diffusione, è che si tratta di un movimento che proviene dal basso: direi che l’interesse al giudaismo nel meridione d’Italia proviene direttamente dal popolo.
Perché?
L’interesse della gente del Sud per la cultura ebraica è ampio e costante. Basta fare un piccolo esempio: poche settimane fa, durante lo svolgimento dell’Eurovision, i dati auditel dimostrano che i voti a sostegno italiani della cantante israeliana sono arrivati prevalentemente dal Sud Italia, in particolare dai giovani. Una prima spiegazione di tanto interesse è che, nell’immaginario di queste terre, Israele è percepito come un paese modello, per la sua efficienza delle istituzioni, il suo notevole sviluppo tecnologico, in una parola perché rappresenta un esempio di Stato moderno, da imitare. A ciò si aggiunga anche che il sud spesso si sente scaricato dalle istituzioni nazionali che se ne dovrebbero occupare, e forse si sente lusingato dall’attenzione che riceve dal mondo ebraico.
A cosa ti riferisci?
Oggi sono molte le imprese israeliane che investono in Calabria e in generale nel Sud Italia. E poiché l’uomo del Sud sa essere anche molto pragmatico, intravede in questa vicinanza delle grandi potenzialità. Inoltre, considera che oggi il pregiudizio, soprattutto da parte delle nuove generazioni, è molto inferiore al passato. Certo, sappiamo che anche il sud purtroppo ha una storia di antisemitismo popolare nel corso dei secoli trascorsi. Tuttavia, mi sembra che esso sia ampiamente bilanciato da quell’interesse che ti dicevo. Ad esempio, quando mi sono candidato e sono stato eletto nel Comune di San Luca – in pieno Aspromonte, una terra difficilissima, con oltre 30 morti di faida, insomma il paese simbolo della ndrangheta – contro ogni previsione ho trovato un profondo interesse e ammirazione per la cultura ebraica. Essa si rintraccia soprattutto nella classe media: insegnanti, impiegati, liberi professionisti.
E per questo che ritengo che l’interesse del Sud Italia per l’ebraismo nasce dal basso: perché esso non trova altrettanto spazio nelle classi alte. Prendi il caso di Benedetto Musolino: sono convinto che dovrebbe essere lui a essere indicato come l’inventore del sionismo, e non Herzl. Anche se Musolino non aveva esplicitato il suo pensiero sionista, è stato un personaggio straordinario, da sempre a favore della necessità della creazione di uno Stato ebraico. Eppure, una figura che sarebbe così importante da raccontare anche al mondo ebraico, dalle élite calabresi viene ancora oggi ignorata. Di fatto non si tengono convegni sulla sua figura nelle università del Sud, e solo qualche libro ne descrive la vita. Insomma, la volontà di escludere una figura che proviene dal popolo ha come effetto quello di non valorizzare questo legame fra la cultura ebraica e il Sud Italia.
Un tale potenziale dovrebbe essere al centro anche dell’attenzione dell Ucei. Quali sono le reazioni dell’ebraismo italiano a questo interesse?
La presidente dell’Ucei, Noemi Di Segni, ha sempre mostrato la massima disponibilità a collaborare per promuovere la cultura ebraica nel meridione. Certo, questo richiederebbe anche un adeguato utilizzo di risorse finanziarie, che però non sempre sono disponibili.
Quali iniziative, negli ultimi tempi, hai promosso per lo sviluppo e la conoscenza della cultura ebraica In Italia?
La scorsa settimana ero nelle Marche a parlare di cultura ebraica in più località. Da anni mi occupo di organizzare eventi in Calabria per promuovere la cultura ebraica in collaborazione con la Regione e con il vicepresidente dell Ucei Giulio Disegni, e spero che tali iniziative possano continuare. Più in generale, mi impegno perché ci sia un costante dialogo fra il mondo ebraico italiano e la società civile. Domenica, per esempio, ero a Napoli, dove la comunità locale ha incontrato il capo della direzione nazionale antimafia Giovanni Melillo. La mia idea è quella che sia necessario promuovere costantemente il dialogo fra le comunità ebraiche italiane e la società circostante, per spiegare la realtà dell’ebraismo italiano, ma anche di Israele.
Cosa dovrebbe fare l’ebraismo italiano per migliorare la propria comunicazione?
In generale comincerei col dire che negli ultimi anni mi sembra che la comunicazione di ciò che fa l’Ucei e in generale l’ebraismo italiano sia nettamente migliorata. Pensa alle giornate della cultura ebraica: sono momenti importanti, in cui l’ebraismo si apre sul territorio. In tali occasioni si registra sempre un grande interesse da parte delle persone, che vogliono conoscere la vita ebraica. Forse non ci rendiamo conto, infatti, quanto possa essere emozionante per una persona che non conosce il mondo ebraico fare ingresso in una delle tante sinagoghe storiche presenti nel nostro paese. Credo che questo sia un passo necessario per far comprendere la ricchezza della cultura ebraica, anche per fronteggiare il pregiudizio che poi può sfociare in vero antisemitismo. Al netto dell’antisemitismo esploso negli ultimi mesi, sussiste nel nostro paese una maggioranza che non intende farsi condizionare dal pregiudizio contro gli ebrei, e che avrebbe bisogno di più strumenti per conoscere il mondo ebraico.
Che effetti ha avuto il conflitto nella percezione dell’ebraismo?
È inevitabile che la guerra abbia inciso sulla percezione d’Israele, ma forse anche dell’ebraismo. Tuttavia, anche qui mi sembra che i pregiudizi che purtroppo sono riemersi in tutta Italia, nel meridione si siano fatti sentire in misura minore.
Per passare a Israele, come giudichi la comunicazione fornita in questi mesi di conflitto?
Anche se so che la mia posizione non è da tutti condivisa, credo che sia stato un errore sottrarre all’opinione pubblica generale la rappresentazione dell’orrore commesso da Hamas il 7 ottobre. Anche qui ti faccio un esempio: noi tutti ci ricordiamo del rapimento di Aldo Moro e della sua morte perché nella nostra memoria collettiva è rimasta fissata l’immagine del suo corpo nella Renault 4, un’immagine terrificante. Io credo che se quell’immagine non fosse stata trasmessa, il nostro paese non avrebbe mai elaborato quel senso di colpa collettivo che invece nacque. E così, per quel che riguarda il 7 ottobre, sottrarre al grande pubblico la rappresentazione di quello che è accaduto, per riservarla soltanto a proiezioni limitate per la stampa, può essere condivisibile su un certo piano di valori, innanzitutto per rendere omaggio e rispetto alle vittime. Tuttavia, se ragioniamo in termini strettamente comunicativi, se Israele avesse avuto “un’icona” da mostrare al mondo che rappresentasse quel che è accaduto il 7 ottobre, questo avrebbe avuto un effetto importante nel giudicare diversamente la reazione dello Stato ebraico.
E, dall’altra parte, come giudichi la comunicazione di Hamas?
Hamas ha semplicemente applicato le regole già le elaborate da Goebbels. Tutta la sua comunicazione è basata sulla manipolazione, sulla falsificazione dei filmati, dei dati. Questi strumenti, appositamente usati, vengono poi diffusi sui media più utilizzati dalle giovani generazioni, realizzando una comunicazione militante, che fa molto presa sul giovane pubblico. Al contrario, la comunicazione di Israele risulta più formale, rigida. In onda vediamo sempre un politico, oppure un militare. Si tratta di una comunicazione che non può reggere i video tagliati e montati ad arte che mostrano come sia Israele a commettere dei crimini. Certo, comprendo le ragioni di questa forma di comunicazione: Israele ha la necessità di mandare un messaggio chiaro innanzitutto ai suoi vicini arabi. Sappiamo che in quel contesto il linguaggio della forza spesso è l’unico efficace. Tuttavia, occorrerebbe considerare che nel mondo di oggi la comunicazione è globale, e che l’opinione pubblica internazionale rispetta codici comunicativi diversi. È paradossale che il popolo che più di altri esprime una spiccata capacità narrativa non sia stato ancora capace di comunicare il proprio punto di vista su questo conflitto.
Come giudichi le proteste che in Occidente si susseguono contro Israele?
Oltre che alimentate dalla falsa comunicazione che ti descrivevo, c’è anche da dire che alcuni stati arabi, come il Qatar, da tempo finanziano chi sostiene il boicottaggio di Israele e una lettura distorta del conflitto. Guarda ancora una volta quel che è accaduto per l’Eurovision: mentre il voto popolare ha nettamente premiato la canzone israeliana, la giuria ha di fatto boicottato quella canzone.
Un’ultima domanda: cosa dovrebbe fare, secondo te, l’Ucei per migliorare la propria comunicazione sull’otto per mille?
Nel 1998 fui coinvolto da Tullia Zevi per promuovere una campagna a favore dell’otto per mille per l’Ucei. In quel caso ricordo che scegliemmo di puntare su volti noti al grande pubblico, Gad Lerner ed Enrico Mentana. Potrebbe essere anche una soluzione da seguire, ma non l’unica. Pensa alla ricchezza culturale dell’ebraismo italiano: far conoscere i tanti beni culturali ebraici sparsi nella penisola potrebbe essere un altro strumento per favorire la scelta dell’otto per mille a favore dell’Ucei. O ancora, ad esempio, costruire una serie di itinerari nella nostra penisola alla scoperta dei siti ebraici. Insomma, i modi per sostenere l’ebraismo italiano sono molti.