Dopo la pronuncia della Corte internazionale di giustizia: cosa cambia per Israele?
Giorgio Sacerdoti commenta la pronuncia della Corte dell’Aja che ha prescritto alcuni obblighi a Israele. Senza però ordinare il cessate il fuoco
Giorgio, la scorsa settimana la Corte internazionale di giustizia ha adottato un’ordinanza cautelare sulla richiesta del Sudafrica di condannare Israele per genocidio per i fatti di Gaza. Che giudizio dai complessivamente della pronuncia?
È difficile esprimere un giudizio netto, come dimostrano anche i commenti in un senso e nell’altro provenienti da Israele e in generale dal mondo ebraico. Certo spiace che la Corte si sia dichiarata competente a giudicare un’accusa di genocidio mossa nei confronti di Israele, Stato sorto dopo la tragedia della Shoah, in base alla convenzione fatta perché simili orrori non si ripetessero. Tuttavia, va ricordato che si tratta di un’ordinanza basata su un’indagine sommaria, e che essa non ha accertato la commissione di un genocidio, ma è finalizzata a rimuovere anche solo il rischio che vengano compiuti atti contrari alla convenzione sul genocidio.
Israele aveva tuttavia chiesto che la Corte si dichiarasse incompetente, ossia che fosse subito accertata come infondata l’accusa di compiere un genocidio. Questo significa che, quando si pronuncerà nel merito, la Corte potrebbe accertare una responsabilità di Israele?
La convenzione elenca una serie di atti che, se verificati, possono indicare la presenza di un genocidio. Tuttavia, a fianco dei comportamenti oggettivi, come ad esempio, l’uccisione indiscriminata di civili, l’imporre condizioni di vita tali da portare alla distruzione fisica di un gruppo, deve sussistere anche un elemento soggettivo, cioè la intenzione da parte di chi agisce di voler sterminare un determinato gruppo etnico o religioso. Come tutti gli osservatori hanno evidenziato, sarà estremamente difficile che si possa dimostrare nella fase di merito un’intenzione del genere da parte di Israele, che a mio avviso in effetti non sussiste. Certo le dichiarazioni effettuate da alcuni rappresentanti del governo israeliano (che la Corte ha citato) non hanno favorito le ragioni di Israele e anzi hanno quasi alimentato il sospetto nei confronti dello Stato ebraico, ossia quello che potremmo definire in termini tecnici fumus bonis iuris.
Perché?
Il caso sollevato dal Sudafrica ha avuto un’eco mediatica così ampia che era certo che la Corte si sarebbe dichiarata competente a giudicare. Tieni conto, inoltre, che per il solo fatto che il Sudafrica avesse presentato delle note diplomatiche contro Israele, che questo le avesse contestate, era di fatto nato un contenzioso internazionale su cui la Corte doveva pronunciarsi. Infine, va considerato che di fronte alle migliaia di morti causate da questa guerra in queste settimane era praticamente impossibile che la Corte potesse archiviare l’accusa a Israele. Va però ricordato che uno dei giudici, la giudice ugandese, si è detta contraria da subito alle accuse del Sudafrica. È tata una posizione coraggiosa, che d’altra parte non rappresenta quella del suo paese, come l’Uganda ha precisato con una nota ufficiale (i giudici giudicano a titolo personale).
Cosa prescrive l’ordinanza della Corte?
L’ultima parte della pronuncia, ossia il dispositivo, contiene una serie di prescrizioni anche abbastanza precise. La Corte, in sostanza, ha ordinato a Israele di astenersi dal commettere uccisioni o ferimenti indiscriminati, e altre violazioni della convenzione come la privazione della popolazione di beni essenziali. Inoltre deve consentire l’ingresso di aiuti umanitari, e deve perseguire chi, al proprio interno, inciti al genocidio. Infine, si prevede che entro un mese Israele debba riferire alla Corte sull’adozione delle misure indicate.
Cosa succede se Israele non adempierà le prescrizioni indicate?
In questi casi, se vediamo i precedenti, abbiamo le ipotesi più varie, da chi ha dimostrato di aver adempiuto a quanto prescritto a chi, come ad esempio la Siria, non si è mai presentata di fronte alla Corte. Direi che la cosa più probabile è che Israele dimostri che la sua azione militare è finalizzata solo a colpire Hamas e che consente agli aiuti e che pertanto ha adempiuto alle prescrizioni della Corte internazionale.
Nel collegio che ha adottato la decisione, Israele ha avuto il diritto di nominare una figura di propria fiducia, scegliendo il giudice Barack, ex presidente della Corte Suprema israeliana. Qual è stato il suo ruolo?
Il giudice Barak ha elaborato una dissenting opinion, cioè una posizione di minoranza, molto bene articolata, che tra l’altro ripercorre la sua infanzia di vittima della Shoah, da lui passata nel ghetto di Kaunas. Nel merito, Barak ha argomentato come sia del tutto assente un’intenzione genocidaria perché anche le dichiarazioni più ostili pronunciate da alcuni politici israeliane non hanno avuto alcun effetto sulle azioni militari e sugli obiettivi dell’esercito israeliano. Va però anche detto che Barak ha votato a favore dell’invio di aiuti umanitari a Gaza e per il perseguimento di chiunque si esprima con intenti genocidari.
A tuo avviso la posizione di Barack può essere anche letta in chiave di politica interna?
Non saprei dire. Certo, l’impressione è che anche Barack abbia voluto esprimere con il suo voto una critica verso quegli appartenenti al governo di Netanyahu più estremisti.
C’è poi la questione degli ostaggi.
Si tratta di un passo importante, contenuto nell’ultimo paragrafo dell’ordinanza che va al di là di quanto la Corte era competente a decidere. La Corte ricorda che tutte le parti coinvolte nel conflitto sono tenute al rispetto del diritto umanitario e chiede pertanto il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi.
E un’affermazione che in qualche modo riconosce uno status particolare ad Hamas?
Lo escludo. Si tratta di un’affermazione che ha la sua importanza nel riconoscere la grave violazione del diritto umanitario computo da un’organizzazione terroristica, ma che in alcun modo può servire a considerare Hamas soggetto di diritto internazionale.
Dal punto di vista giuridico, questa pronuncia secondo te rafforza l’idea che il diritto internazionale possa vincolare la volontà degli Stati nazionali, o al contrario conferma che la giustizia internazionale non ha efficaci strumenti per imporsi ad essi?
A mio avviso certamente rafforza il diritto internazionale, e quindi anche gli organismi chiamati a garantirne il rispetto. Certo, è sempre possibile che una pronuncia della Corte internazionale non venga rispettata dagli Stati destinatari, così come non si può escludere che nelle proprie decisioni la Corte sia influenzata anche da considerazioni di tipo politico. Tuttavia, io ritengo che episodi come questi mostrino come la comunità internazionale sia ormai composta anche da organismi come la Corte, che hanno una loro legittimazione e una capacità di incidere sulla scelta degli Stati. Nel caso che qui ci interessa, ad esempio, la mia netta impressione è che Israele abbia scelto di facilitare l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza solo dopo che il Sudafrica aveva notificato il proprio ricorso alla Corte internazionale, il che dimostra che la prospettiva di una condanna ha cambiato i comportamenti sul terreno.
Una vicenda collaterale alla sentenza della Corte ha riguardato più di recente l’agenzia per i rifugiati palestinesi gestita dall’ONU, UNRWA. Si è scoperto che almeno 12 i suoi dipendenti erano probabilmente conniventi di Hamas, tanto che l’agenzia li ha licenziati in tronco. Cosa pensi della vicenda?
Nei miei studi non mi sono mai interessato di questa agenzia. Certo è una figura stranissima, unica nel suo genere, basti pensare che da sola attrae più risorse e finanziamenti di quanto non vengano stanziati per tutti gli altri rifugiati del mondo. L’UNRWA si occupa della popolazione di Gaza fin dal 1948, una popolazione che ormai vive quasi esclusivamente di sussidi internazionali, stanziati dai paesi più ricchi, Stati Uniti in testa. In questi decenni essa non ha contribuito alla soluzione del problema, semmai a rendere cronica una situazione di emergenza. C’è poi da dire che i suoi dipendenti, che operano a Gaza, sono tutti palestinesi, e certamente molti di questi sono sostenitori di Hamas. Il mio giudizio quindi, è che in generale ci troviamo di fronte a uno strumento che ostacola la soluzione palestinese anziché agevolarla. Mi auguro, non appena questa situazione di grave conflitto e di guerra sarà risolta, che a Gaza non debba più operare un’agenzia di sussidio, e che nuove prospettive di pace e di sviluppo economico consentano anche a quella terra di svilupparsi economicamente e pacificamente. Perché non sognare una Gaza pacifica che sia la nuova Dubai del Mediterraneo orientale?
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