Israele sotto processo a l’Aja
Questa settimana si svolge presso la Corte internazionale di giustizia il procedimento chiesto dal Sudafrica contro Israele, accusato di genocidio: ne parliamo con Giorgio Sacerdoti
Giorgio, Il Sudafrica ha fatto ricorso alla Corte internazionale dell’Aja perché Israele sia condannato per i fatti di Gaza. Innanzitutto: cos’è la Corte dell’Aja e che competenze ha?
La Corte internazionale di giustizia che ha sede all’Aja è il tribunale delle Nazioni Unite. Si tratta di un giudice indipendente dagli organi politici dell’ONU, le cui competenze hanno come obiettivo quello di dirimere le controversie internazionali fra Stati, sulla base di una serie di trattati e convenzioni. Presupposto per cui la Corte dell’Aja possa intervenire è che gli Stati interessati accettino di sottoporsi al suo giudizio. Oltre a emettere sentenze, la Corte internazionale dà anche pareri, non vincolanti diversamente dalle sentenze, per lo più su richiesta dell’Assemblea generale dell’ONU, che presentano connotati più politici. In passato, ad esempio, la Corte si è pronunciata sulla legittimità del Muro costruito da Israele quale barriera di difesa contro i terroristi dalla Cisgiordania, mentre ora pende un altro parere, sempre richiesto dall’Assemblea generale, sulle conseguenze legali dell’occupazione israeliana della Cisgiordania.
Quali sono i trattati e le convenzioni che stabiliscono le competenze della Corte dell’Aja?
Sono diversi. Si tratta per lo più di convenzioni a tutela dei diritti umani, che attribuiscono alla Corte competenza su controversie che riguardano gli Stati firmatari. Uno di questi trattati, ad esempio, è la Convenzione sul genocidio, firmata nel 1948 a seguito della Shoah e di cui promotore fu un giurista ebreo, Raphael Lemkin. La convenzione prevede che in caso di dispute fra Stati firmatari sia possibile deferire alla Corte il caso, anche se lo Stato ricorrente non è direttamente interessato ai fatti sui quali chiede una pronuncia. Ad esempio, nel 2020, fu il Gambia a chiedere un intervento della Corte nei confronti dello Stato di Myanmar per la persecuzione esercitata da quest’ultimo nei confronti della popolazione Rohingya.
Questo è dunque anche il caso del Sudafrica nei confronti di Israele.
Si. il Sudafrica ha per così dire esercitato un actio popularis, ossia nell’interesse non suo proprio, ma generale, della comunità internazionale, affinché venga accertata la violazione della convenzione sul il genocidio da parte di Israele nel corso della guerra a Gaza.
Che poteri ha la Corte quando viene investita di una questione?
Direi che il potere più efficace è quello di pronunciare provvedimenti provvisori, potremmo dire delle misure cautelari. Spesso, quando gli Stati si rivolgono alla Corte, prima ancora di una sentenza definitiva nel merito, che a volte non arriva, e comunque richiede parecchio tempo per essere formulata, puntano piuttosto a ottenere provvedimenti cautelari i quali vengono adottati entro poco tempo da quando la causa è discussa. Ad esempio quando la Francia e il Canada chiesero l’anno scorso un intervento alla Corte per le torture effettuate dalla Siria nei confronti dei dissidenti politici, la Corte adottò un provvedimento cautelare con il quale intimava lo Stato siriano di non mantenere più i centri illegali di detenzione entro cui le torture venivano praticate. Il Sudafrica già col suo ricorso ha chiesto alla Corte un immediato provvedimento cautelare che ingiunga a Israele di cessare le azioni militari a Gaza o comunque di cessare dagli atti di genocidio di cui il Sud Africa accusa Israele.
Qual è l’accusa che muove il Sudafrica a Israele?
Sostanzialmente ritiene che Israele, in questi tre mesi di guerra a Gaza, abbia violato la convenzione sul genocidio, e in particolare suoi specifici articoli. Dobbiamo ricordare che la convenzione configura il genocidio non come un omicidio generalizzato e totale, quale fu l’obiettivo del nazismo durante la Shoah. Al contrario, sono atti di genocidio anche azioni più limitate, laddove però siano commesse con l’intenzione di distruggere volutamente, in tutto o in parte, un gruppo etnico, religioso, razziale o nazionale. Ad esempio, in relazione alla guerra in Jugoslavia la Bosnia citò la Serbia davanti alla Corte internazionale perché venisse condannata per genocidio per la strage della popolazione civile a Srebrenica. La Corte dichiarò che si era trattato di genocidio ma condannò la Serbia solo per non aver prevenuto la strage da parte delle bande di Mladic e Karadzic che erano sotto il suo controllo.
Possiamo fare altri esempi di azioni che rientrano nella nei casi vietati dalla convenzione?
L’uccisione premeditata di appartenenti a un determinato gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. L’infliggere serie lesioni fisiche ai suoi membri. L’infliggere loro deliberatamente condizioni di vita impossibili tali da portare alla distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo. Il voler impedire le nascite del medesimo gruppo. Infine, effettuare trasferimenti forzati di minori; tale ultimo caso è stato ad esempio denunciato presso la Corte internazionale dall’Ucraina nei confronti della Russia.
Israele si difenderà presso la Corte. A tuo avviso, quali argomenti possono essere utilizzati a suo favore?
Il Sudafrica interverrà presso la Corte il prossimo giovedì, Israele il giorno dopo. È stato annunciato che il suo principale avvocato sarà il noto esperto inglese prof. Malcom Shaw. Inoltre Israele, non avendo un giudice di propria nazionalità nella Corte può nominare (come il Sudafrica) un giudice “ad hoc” nel procedimento: non sarà il giurista di Harvard Alan Dershowitz, come inizialmente annunciato, bensì il prestigioso e ben più esperto in materia ex-presidente della Corte suprema d’Israele Aaron Barak (pur fino a ieri era inviso alla destra israeliana). Il punto più difficile che il Sudafrica deve dimostrare è che le azioni di Israele siano sostenute dall’intenzione, ossia dalla volontà, non solo di combattere Hamas, ma anche di distruggere un gruppo etnico definito, come la popolazione palestinese di Gaza. Questa intenzione è un requisito “soggettivo” che si aggiunge a quello “oggettivo” del compimento delle violenze che la Convenzione elenca, come ho ricordato più sopra. Credo che la difesa di Israele punterà proprio a dimostrare che non c’è alcuna volontà in tal senso.
Quali argomenti porterà invece il Sudafrica a sostegno della sua accusa?
Nel suo ricorso molto dettagliato (ben 84 pagine!) a sostegno delle sue accuse il Sudafrica ha evidenziato innanzitutto l’alto numero di vittime civili. Ha fatto anche riferimento al blocco dei viveri e degli aiuti umanitari che, soprattutto all’inizio del conflitto, è stato praticato da Israele, sebbene ora essi siano ripresi. Per quel che riguarda l’elemento soggettivo, il più complicato da provare, dobbiamo ricordare che ci sono state alcune dichiarazioni a dir poco incaute di membri del governo israeliano di voler distruggere completamente Gaza e affamare la sua popolazione. Ad esempio il ministro della Difesa Gallant dichiarò all’inizio del conflitto che Israele avrebbe impedito l’arrivo di carburante, elettricità, acqua e cibo, sebbene poi tale dichiarazione fu smentita dai fatti. In tempi più recenti alcuni ministri più estremisti hanno fatto affermazioni favorevoli a un’emigrazione forzata della popolazione palestinese della Striscia di Gaza. Il Sudafrica ha richiamato puntigliosamente queste e altre dichiarazioni del genere nel suo ricorso per cercare di dimostrare l’intento di Israele di voler distruggere la popolazione palestinese.
Quanto tempo impiegherà la Corte per esprimersi?
Come ho detto occorre distinguere fra l’adozione di provvedimenti cautelari e una sentenza definitiva. Mentre quest’ultima arriverà in un tempo non prevedibile, per quel che riguarda la possibilità di adottare provvedimenti provvisori, ciò potrà avvenire entro poche settimane; direi tra quattro e sei.
In cosa potrebbero consistere questi provvedimenti cautelari?
In teoria la Corte potrebbe respingere la domanda del Sudafrica e non adottare alcuna misura, soprattutto se non sarà provata l’intenzione di perseguire i palestinesi di Gaza come gruppo. Direi però che l’attenzione dell’opinione pubblica è così alta che difficilmente la Corte rinuncerà ad adottare alcuna misura, tanto più che i provvedimenti cautelari non si basano sulla prova piena delle accuse ma basta la loro “plausibilità”. Possiamo immaginare una dichiarazione di principio che critichi e condanni l’uso eccessivo dell’azione militare. Ricordiamoci che anche il presidente Biden ha fatto alcune dichiarazioni contro l’uso di “bombardamenti indiscriminati” su Gaza, esprimendo preoccupazioni per l’alto numero di morti civili. La Corte dell’Aja potrebbe quindi ingiungere a Israele non la cessazione dell’azione militare, ma la sua attenuazione.
In tal caso Israele sarebbe obbligato ad adempiere a quanto deciso dalla Corte?
Ricordiamo che tutte le decisioni della Corte dell’Aja sono obbligatorie, ma che sono prive di mezzi di esecuzione (salvo l’improbabile intervento del Consiglio di Sicurezza dell’ONU). Israele potrebbe negare di aver usato mezzi eccessivi e di aver mirato a distruggere la popolazione di Gaza. Potrebbe dichiarare di adeguarsi comunque alla pronuncia, senza tuttavia essere certi che sul campo questo avvenga. Direi che una pronuncia della Corte potrebbe avere effetti sull’opinione pubblica internazionale, tale da indurre Israele a tenerne conto.
Come giudichi l’accusa del Sudafrica a Israele?
Certo oggi le guerre vengono portate avanti attraverso la tecnica di massicci bombardamenti, utilizzati per poter poi consentire alle truppe di terra di essere salvaguardate il più possibile. Tali tecniche inevitabilmente portano un aumento dei morti civili. Respingo però come assurda l’accusa fatta a Israele di perseguire volontariamente la morte dei civili o addirittura lo sterminio della popolazione di Gaza. L’accusa è assurda perché mossa nei confronti di uno Stato nato, ricordo, dalla Shoah. Si tratta a mio avviso di un’accusa non solo infondata, ma infamante.
Il dibattito sulla guerra a Gaza sta interessando anche la comunità scientifica internazionale. La risposta all’attacco del 7 ottobre di Hamas è giudicata giustificata e proporzionale?
Il dibattito certamente è molto attivo, soprattutto in Europa. La dottrina internazionale si sta concentrando su due punti. Il primo è lo ius ad bellum, ossia le condizioni che giustificano l’azione militare di uno Stato. In questo caso la quasi unanimità degli esperti ritiene che Israele abbia un pieno diritto a rispondere con un’azione militare adeguata alle violenze inenarrabili subite da Hamas il 7 ottobre. La questione semmai è se definire questo un conflitto, cioè una guerra internazionale, o semplicemente un conflitto armato. il dubbio dipende dallo status di Hamas che ufficialmente non ha sovranità su uno Stato, ma di fatto amministra un territorio come se così fosse. L’altro aspetto invece è lo ius in bello, ossia le regole che tutti gli Stati devono rispettare nei conflitti armati in cui sono coinvolti. Qui la convenzione di Ginevra e una serie di protocolli esecutivi fissano delle regole di comportamento.
Ad esempio: la popolazione civile non deve essere mai volutamente l’obbiettivo di attacchi militari e deve essere salvaguardata nei limiti del possibile dagli effetti “collaterali” di attacchi contro legittimi obbiettivi militari (principi di “proporzionalità”, “distinzione” e di “precauzione”); e vanno salvaguardati alcuni luoghi, come le scuole e gli ospedali. D’altra parte, se lo Stato che agisce non può toccare, ad esempio, un ospedale, dall’altro lato la convenzione prevede che non si possano utilizzare gli ospedali, come anche le scuole, o i luoghi religiosi, per compiere azioni militari. In tal caso, infatti, anche tali luoghi perdono la loro immunità e possono essere oggetto di una risposta da parte di chi subisce l’attacco. Questa è la situazione drammatica che si registra a Gaza, dove sembra certo che ospedali, scuole, moschee, siano utilizzate costantemente da Hamas a fini militari.
Israele è periodicamente condannata da organismi internazionali satelliti delle Nazioni unite, per violazione del diritto umanitario; a esprimere la condanna sono paesi come l’Iran, la Libia, la Cina. A tuo avviso esiste un doppio standard nei confronti dello Stato ebraico?
Distinguerei. Per quel che riguarda la Corte internazionale, come ho detto si tratta di un organo giudiziario. Al tempo stesso, non possiamo escludere che talvolta essa sia influenzata dagli orientamenti politici degli Stati. Ricordo che i 15 giudici permanenti della Corte sono eletti dall’Assemblea generale, che pertanto riflettono i vari orientamenti anche di quegli Stati non democratici che partecipano il voto e di cui i giudici, eletti su base geografica, possono essere cittadini. Soprattutto quando elabora pareri, spesso la Corte subisce un’influenza politica, che invece è più attenuata quando si pronuncia in quale giudice, perché in tal caso fa riferimento a criteri più squisitamente giuridici. Per quel che riguarda l’ONU, direi che le speranze affidate a questa organizzazione al momento della sua nascita non sono state mantenute. Gli organi di governo dell’ONU sono essenzialmente politici, e non seguono quasi mai i criteri giuridici. È chiaro, ad esempio, che il blocco dei paesi arabi ha una forte capacità di influenza su molti Stati del terzo mondo, i quali sono nati a seguito di movimenti di liberazione rispetto ai paesi colonialisti: tali Stati guardano in genere con sfavore a Israele, considerato una emanazione occidentale, e con favore ai palestinesi.
Direi, in sintesi, che l’ONU riesce a svolgere le sue funzioni di mediazione soltanto quando c’è un accordo fra le grandi potenze; senza, la sua capacità di azione è estremamente limitata. In tale contesto, quel che avviene in varie commissioni, come quella sui diritti umani, evidenziano la politicizzazione di tali organi. Per esempio tale Commissione non si è mai espressa in termini di condanna nei confronti della Cina per il trattamento riservato alla popolazione degli Uiguri; allo stesso modo, con molta difficoltà riesce a pronunciarsi criticamente nei confronti della Russia per la guerra in Ucraina. Al contrario, su Israele le condanne fioccano.
Cosa pensi della giurista Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi?
Francesca Albanese è nota, più che come giurista, come attivista del movimento proPal e anti israeliana. La ritengo pertanto una figura assolutamente non imparziale.
E del segretario generale Antonio Guterres?
Qui il discorso è più articolato. Noi ebrei qualche volta non ci rendiamo bene conto del contesto internazionale sfavorevole in cui Israele si trova e da cui il segretario generale non può non essere influenzato. Per buona parte del mondo il conflitto fra Israele e Hamas avviene in un contesto in cui da decenni la popolazione palestinese sia a Gaza che in Cisgiordania è privata del diritto all’auto- determinazione, cioè ad avere un proprio Stato indipendente, ed è soggetta ad occupazione israeliana, indipendentemente dalle cause.
In più, non ha neanche un organo che la rappresenta in maniera adeguata, perché l’ANP è completamente screditata e inefficace. Inevitabile, in tale contesto, che gran parte della comunità internazionale, soprattutto i paesi ex-coloniali, condannino Israele. Certo Israele non è aiutata da quel che avviene sul campo. Mi riferisco agli insediamenti legali e illegali in Cisgiordania e alle angherie contro i palestinesi da parte dei “coloni” più estremisti, tollerate dalle autorità. Ritengo che fino a quando non si riesca a trovare una soluzione politica e una mediazione che ponga termine o attenui il conflitto, da un lato Israele sarà esposta a periodiche azioni di violenza, sia di organizzazioni terroristiche sia di singoli cani sciolti; dall’altro ciononostante non riuscirà ad avere l’appoggio della maggioranza della comunità e dell’opinione pubblica internazionale. In questo momento manca purtroppo una prospettiva politica che porti a una soluzione. In questo contesto il prolungarsi del conflitto viene usato strumentalmente per diffondere un antisemitismo di matrice “antisionista”.
Una risposta
Parlare di genocidio,già questo termine mi sembra fuori luogo, Israele vuole partecipare alla ricostruzione di Gaza .
Non dimentichiamo dell’esistenza di quella Gaza sotterranea dalla quale sono stati programmati e attuati i più terribili atti terroristi,che ben conosciamo e con la larga connivenza di tanti abitanti della striscia.
Il progetto reale era quello di distruggere Israele.
Sono stati fatti anche errori ,ma mentre si parlava di accordi per i due stati per i due popoli c’è stato lo spartiacque del 7 ottobre.
Si potrebbe arrivare a una pace sicura ,ma le colpe della reazione Israeliane,vanno attribuite ad Hamas con la complicità di Hesbolla e di nazioni palesemente nemiche di Israele.