La mia amicizia con Luigi Amicone iniziò a Sukkot del 2000. Le sera della vigilia avvenne il terribile linciaggio di tre nostri soldati di Zahal entrati per errore a Ramallah.

Linciaggio a RamallahAmici e parenti di Roma mi telefonarono sconvolti chiedendo perché Israele non andava a distruggere tutta Ramallah, perché non avveniva immediatamente una risposta da parte dell’esercito israeliano.

LInciaggio a RamallahRisposi con una mail che eravamo non meno addolorati di loro ma che non saremmo andati a distruggere nessuna città, che avremmo trovato i colpevoli e avremmo continuato a cercare chi anelava come noi a un dialogo e alla pace sospirata da sempre.

La mia mail vagò in ogni direzione e giunse a lui, Luigi Amicone (1956 – 2021), sia la sua memoria benedetta, direttore e fondatore del Settimanale Tempi. Non avevo idea di cosa fosse Comunione e Liberazione ma nel giro di poco tempo fui invitata a scrivere settimanalmente “La cartolina da Israele” sul giornale che Luigi dirigeva, fui incoraggiata a scrivere il mio primo libro – “Un si, un inizio, una speranza”, conobbi la mia amica palestinese Samar Sahhar che divenne parte della mia vita e con la quale sempre per merito di Luigi, ricevemmo premi e riconoscimenti per la nostra opera di costruttrici di Pace e nel giro di un anno nacque il Teatro Multi-culturale di Beresheet LaShalom.

Nel corso di questi 20 anni la compagnia teatrale è stata invitata a rappresentare la bellezza e il pluralismo di Israele in tutta Italia, in gran parte dei Centri Culturali di CL, nei licei e in istituzioni di ogni tipo. Per merito del mio grande amico ho avuto la possibilità di raccontare il dolore di Israele nei momenti tragici della seconda intifada e affrontare sulle pagine di molti giornali atti e ingiurie scaturiti dall’antisemitismo.

Aveva sempre uno spazio per me, per i miei messaggi di pace. Luigi Amicone ed io avevamo la stessa età, provenivamo da mondi completamente diversi: Luigi cristiano, religioso, politicamente a destra, antigay, anti aborto; io, ebrea fino all’ultima fibra di me stessa, kibbuznikit socialista nell’anima e nella vita, aperta alle decisioni e alle inclinazioni di chiunque (se non dannose per gli altri) ma si instaurò tra noi e le nostre famiglie un affetto, una stima immediati, qualcosa che andava al di là delle religioni, delle idee: ci legava lo spirito della fede eterna nell’Uomo e in Dio, senza nomi e senza ideologie.

Ci legava l’amore per la giustizia, l’anelito a unire e mettere in contatto, a vedere la positività e a diffonderla. Quando ci fu un momento di grande disagio nella sua famiglia salii sul monte Meron, davanti al mio Kibbuz, Sasa, alla tomba di Rabbi Shimon Bar Yochai, come faccio spesso nei momenti di difficoltà per ricevere una berachà, una benedizione e recitare una preghiera. Era una giornata invernale e imperversava un furioso temporale. Incontrai Rav Mordechai che mi chiese chi fossi e perchè fossi cosi triste. Non lo conoscevo. Gli dissi un po’ a disagio che ero venuta a dire una preghiera per una ragazza figlia un grande amico…che non era ebreo. Mi sorrise e mi disse: “Se sei venuta fin quassù in una giornata come questa di sicuro e’ un Zadik, un Giusto!”. E insieme recitammo la preghiera.

Oggi ho richiamato Rav Mordechai, conosciuto anche lui, indirettamente, per merito di Luigi. Gli ho chiesto di recitare per lui un KADDISH. Grazie mio caro amico per aver consolidato in me l’orgoglio di essere figlia e madre d’Israele come solevi definirmi. Che sia la tua memoria benedetta.

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