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E’ tempo che la Sinistra rimuova i pregiudizi contro Israele

Paola Concia, storica attivista per i diritti civili, spiega a Riflessi perché nel nostro paese la sinistra non abbia compiuto ancora una sufficiente elaborazione dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 

Anna Paola Concia, attivista per i diritti LGBQT, è stata deputata per il PD dal 2008 al 2013. Da 10 anni vive a Francoforte

Paola, tra pochi giorni la guerra a Gaza entrerà nel suo sesto mese, mentre quella in Ucraina ha già compiuto due anni. L’Europa assiste così a due gravi conflitti ai propri confini. Qual è il tuo giudizio a riguardo?

Cominciamo dall’Ucraina. Sono stata sempre assolutamente a suo sostegno. Putin, dittatore autoritario, ha invaso un paese democratico mettendo così in grave pericolo non solo il popolo ucraino, o l’Europa, ma l’occidente intero. È per questo che sono convinta che il popolo ucraino vada aiutato, con le armi e certo non con i fiori, perché la guerra in corso dimostra quali sono gli obiettivi di Putin, da realizzare anche a prezzo di moltissime vittime.

Come immagini che andrà in conflitto?

Alexei Navalnj

Leggo sempre più spesso che l’Europa si starebbe stancando del conflitto in Ucraina. Io credo che invece occorra avere piena consapevolezza della partita che si sta giocando e che non bisognerebbe mai dimenticare gli sforzi sostenuti dagli ucraini in questi due anni. Certo, tutti noi auspichiamo che si arrivi il prima possibile a una soluzione del conflitto. Se guardo a Putin, tuttavia, non riesco a essere molto ottimista. Mi sembra evidente che, in attesa della sua rielezione, un fatto puramente formale, non ha esitato a provocare la morte del suo principale oppositore, Alexsei Navalny, e ora probabilmente attende le elezioni europee di giugno e soprattutto quelle americane di novembre per compiere le sue prossime mosse. Al momento quella in Ucraina è una guerra di logoramento, in cui gli ucraini resistono, ma anche in Russia si intravedono segni, per quanto simbolici, di resistenza. mi riferisco al gesto di estremo coraggio compiuto da centinaia di persone di recarsi al funerale di Navalny.

Che dovrebbe fare l’Europa?

la guerra in Ucraina è entrata nel terzo anno

Innanzitutto accelerare le procedure per l’integrazione dell’Ucraina nell’Unione europea, a mio avviso un passo ancora più urgente dell’ingresso nella Nato. L’Europa dovrebbe mostrare a Putin che considera l’Ucraina parte integrante dei propri confini. Credo che questo possa essere un passo importante per arrivare a un tavolo di pace, fermo restando che, come è evidente, la pace va fatta in due.

L’altro conflitto a cui assistiamo è quello a Gaza.

Le vicende tragiche che accadono a Gaza devono essere strettamente collegate al loro inizio, ossia quel che è accaduto il 7 ottobre. Quel giorno abbiamo vissuto l’ennesimo pogrom contro gli ebrei, di cui probabilmente ancora non ci rendiamo completamente conto, perché non tutti hanno potuto leggere i rapporti e ascoltare le testimonianze di quel che è avvenuto quel giorno. È comunque evidente che Hamas agisce per realizzare due obiettivi: la distruzione di Israele, e la morte degli ebrei. Il modo in cui ha attaccato Israele il 7 ottobre, ucciso, stuprato, sgozzato, espresso il proprio odio nei confronti degli ebrei, è stato il modo più evidente per manifestare tale progetto. Ora, da oltre quattro mesi, ci troviamo di fronte alla reazione di Israele. Qui vanno fatte alcune precisazioni.

abitanti d Gaza festeggiano l’attacco del 7 ottobre

Quali?

Innanzitutto, che a differenza di Hamas, Israele non vuole la distruzione dei palestinesi. Non lo vuole il popolo israeliano e, io credo, neppure Netanyahu. Certo, il modo in cui il governo israeliano sta portando avanti la sua reazione contro Hamas è discutibile. Però, ecco un’altra precisazione, sarebbe sbagliato identificare l’intero paese con chi lo guida. Non dobbiamo dimenticarci, infatti, per oltre 9 mesi metà del paese ha manifestato contro il governo e la sua riforma della giustizia, e che, anche oggi, nel pieno di una guerra, le famiglie degli ostaggi e tutti coloro che le sostengono manifestano contro la conduzione di questa guerra da parte di Netanyahu. In altre parole, Israele resta un paese democratico, che regola le proprie relazioni politiche in modo democratico. Per questo, io penso che, quando arriverà il momento, Netanyahu sarà destinato a cadere per volontà degli elettori.

Resta la questione della guerra.

Netanyahu deve fronteggiare una forte opposizione interna, anche per la conduzione della guerra

Oggi chiunque comprenda quel che è accaduto il 7 ottobre riconosce il diritto d’Israele a difendersi. Al tempo stesso, non possiamo rimanere insensibili alle migliaia di morti civili palestinesi, che, vorrei però dire, sono ostaggio innanzitutto di Hamas, che continua a usarli come scudi. Per questo tutti i paesi che sostengono Israele, come gli Stati Uniti, l’Europa, i paesi arabi più moderati, devono esercitare ogni sforzo perché da un lato Netanyahu fermi la sua azione militare e perché dall’altro si possa trovare una soluzione politica che consenta finalmente di veder realizzata la formula dei due Stati per due popoli; uno slogan che, purtroppo, ascolto da molti anni.

Quali sono dunque i tuoi auspici per questa guerra?

Direi che sono tre: che Hamas venga sconfitto, che si fermino le bombe su Gaza, che Netanyahu non guidi più il paese.

Da alcuni anni ormai, smessa la tua attività politica attiva, vivi in Germania. Quali sono i sentimenti dell’opinione pubblica tedesca sulla guerra in Ucraina e quella a Gaza?

si susseguono in Israele le manifestazioni per la liberazione degli oltre 130 ostaggi prigionieri di Hamas

Anche in Germania, come sai, c’è una forte preoccupazione per l’ondata di populismo che sembra aumentare. Qui il pericolo è ancora più grave, perché il partito che ne beneficia è AFD, la cui chiara matrice è di estrema destra. Ciò detto, per quel che riguarda l’Ucraina, l’opinione pubblica è schierata nettamente a suo favore. Qualche tentennamento, semmai, lo ha mostrato Olaf Scholz, circa un sostegno militare a oltranza. Scholz in effetti appare a volte incerto, e l’ultima polemica che lo riguarda, sulle intercettazioni degli alti gradi militari circa gli interessi della Germania nella guerra contro la Russia, certo non lo avvantaggiano.

E sulla guerra a Gaza?

Robert Habeck (ANSA)

Per quel che riguarda Israele, i motivi per cui la Germania non può essere che a fianco dello Stato ebraico sono evidenti. Ricordo che il discorso più bello e più netto è stato fatto alcune settimane fa dal vicecancelliere tedesco, Robert Habeck. Questo però non significa che anche in Germania, in alcuni strati sociali, non serpeggiano sentimenti antisemiti.

Venendo ora all’Italia, dopo il 7 ottobre abbiamo assistito a una progressiva presa di posizione della società civile, in genere critica, se non ostile, verso Israele. Qual è la tua impressione a riguardo?

L’Italia vive oggi il paradosso che a difendere Israele e gli ebrei sia la destra, piuttosto che la sinistra. Come sappiamo, infatti, tradizionalmente la sinistra è sempre stata filopalestinese; e in realtà mi sembra che siano ancora molti a non voler uscire da questo guscio. Quello che semmai mi preoccupa è che nel nostro paese dopo il 7 ottobre l’antisemitismo sia riesploso in maniera evidente. La mia convinzione, fin da quando ero parlamentare, è che in Italia l’antisemitismo, per dirla con un’amara battuta, “vive e lotta contro di noi”, ossia non è mai scomparso.

tutti gli indicatori mostrano un aumento dell’antisemitismo dopo il 7 ottobre

Con questa guerra è come se gli odiatori di Israele e degli ebrei si siano sentiti legittimati a riemergere e a manifestare tutto il loro pregiudizio. È come cioè se questa guerra abbia sollevato il coperchio che tappava l’odio.

Come giudichi la linea del Partito democratico al riguardo?

Premetto che al momento, cessata la mia carriera politica attiva, non ho più alcuna tessera di partito; tuttavia, come stai, per anni sono stata all’interno del Partito democratico. Mi sembra che il partito e la sua segretaria cerchino di barcamenarsi fra esigenze diverse, e che Elly Schlein stia cercando di tenere una linea il più possibile equilibrata, anche se non è semplice.

Si può escludere che all’interno del Partito democratico esistano dei sentimenti antisemiti?

Elly Schlein

No, purtroppo non è possibile escludere che anche il Partito democratico, tra i propri iscritti, abbia chi sia toccato dal pregiudizio antiebraico. Il sentimento antisemita è infatti trasversale all’intera società italiana. Certo, nel Partito democratico questi sentimenti sono certamente minoritari, come purtroppo non può dirsi per i partiti e i movimenti più a sinistra.

Da mesi leggiamo e osserviamo manifestazioni e cortei nelle piazze, in cui i più giovani manifestano non solo per il diritto della Palestina ad avere uno Stato, ma perché la Palestina sia libera “dal fiume al mare”. Si tratta di una posizione che chiaramente nega a Israele il diritto ad esistere e ogni legittimazione internazionale. Che impressione ti fa ascoltare questi slogan?

Quando si è giovani si ha, per così dire, il diritto di essere sempre contro qualcuno. In questo caso però mi sembra evidente che queste posizioni siano in qualche modo suggerite da chi ha interesse a una lettura distorta della storia. Per questo le manifestazioni, soprattutto nelle università, italiane, europee e americane, mi hanno colpito molto. È evidente, infatti, che in alcuni casi l’odio antisemita sia profondo, e che non sia stata effettuata nessuna elaborazione di quanto avvenuto il 7 ottobre. La mancata reazione all’uccisione così efferata di donne, anziani, bambini, assassinati soltanto perché ebrei, denota una mancanza di memoria preoccupante, che dovrebbe interrogarci su tutte le nostre mancanze, di come la nostra società non sia stata capace, nel corso di molti anni, di educare le giovani generazioni e di irrobustire gli anticorpi dell’antisemitismo, il vero problema italiano.

anche nei manifesti diffusi dai sostenitori palestinesi, è evidente che la soluzione “2 popoli, 2 Stati” non è presa in esame

Cosa intendi?

Da 10 anni vivo in un paese, la Germania, che i conti con il passato li ha fatti, certamente più che l’Italia. Vivendo in Germania so cosa vuol dire tutelare e conservare la memoria e costruire gli anticorpi contro il ritorno dell’antisemitismo. Si tratta di una responsabilità collettiva, di un impegno che deve essere fatto proprio dall’intero paese. In Italia, mi pare evidente, questo non è mai avvenuto.

C’è il rischio che in queste manifestazioni, oltre che alla nostalgia per il passato, si realizzi anche l’infiltrazione di posizioni riconducibili al radicalismo islamico?

Guarda, io credo che il radicalismo islamico purtroppo si sia già infiltrato in molti di questi cortei e di queste manifestazioni. Il fatto è che non se ne parla, soprattutto a sinistra, perché manca l’agibilità politica di trattare argomenti scomodi.

A cosa ti riferisci?

le manifestazioni per la Palestina che si organizzano dalla fine di ottobre 2023 hanno progressivamente accantonato sia l’aggressione di Hamas del 7 ottobre, sia le violenze sessuali ripetute contro donne israeliane

Al fatto che tutto l’occidente, e soprattutto la sinistra, dovrebbe fare una grandissima riflessione su cosa significhi realmente realizzare una buona integrazione. Eppure è evidente che molto spesso abbiamo fallito questo obiettivo.

Tuttavia, quando si pone l’accento su questo problema, è facile essere accusati di essere islamofobi.

Lo so. Vorrei però semplicemente fare una riflessione su cosa significhi per un paese occidentale realizzare un’integrazione tra cittadini di diverse culture. Mi sembra evidente infatti che l’integrazione non può servire a legittimare forme di integralismo e di estremismo. Io penso che integrazione significhi che uno Stato deve concedere a chi entra nel proprio territorio una serie di diritti: il diritto d’essere accolto, il diritto ad imparare la lingua, il diritto a essere inserito nella società, il diritto alla cittadinanza e il diritto di voto.

corso di lingua italiana per immigrati

Tuttavia, questi diritti si legano anche a dei doveri. Innanzitutto il dovere di rispettare le leggi di quel paese. Al contrario, quando non si evidenzia questo aspetto, il rischio è che attorno al tema della integrazione si crei una certa confusione. Va compreso che l’integrazione è un processo complesso di cui la sinistra non sempre ha piena consapevolezza. Ripeto: la concessione dei diritti dovrebbe camminare di pari passo al rispetto di doveri.

Di recente anche tu hai sottoscritto il manifesto dell’associazione “Sinistra per Israele”, che vuole rilanciare la propria attività. Cosa ti aspetti da questa nuova iniziativa?

di recente, si è riattivata a Roma “Sinistra per Israele”

Ho firmato con convinzione il manifesto perché si basa su quei principi dei quali in fondo stiamo dialogando anche noi: il diritto di Israele a vivere in pace e a difendersi, il diritto di due popoli a vivere in due Stati, il legame fra le origini sioniste di Israele e la tradizione della sinistra europea. Per quel che riguarda “Sinistra per Israele”, io mi auguro che l’associazione sappia trovare spazi fisici di confronto nella società civile e nel Partito democratico. Auspico una serie di discussioni aperte in assemblee, non solo di partito, ma anche di istituzioni: penso ai comuni e alle regioni. Un partito che si definisce democratico non deve ostacolare lo spazio per chi voglia affermare le ragioni di Israele. Quando facevo politica attiva, insieme ad alcuni amici, come Aurelio Mancuso, anche lui firmatario del manifesto, per anni abbiamo sollevato il tema delle libertà civili all’interno del partito, anche a costo di animate discussioni e vere e proprie battaglie. A quel tempo il Partito democratico ci concesse sempre uno spazio per manifestare le nostre convinzioni e per discuterle. Io mi auguro che la stessa cosa venga oggi per “Sinistra per Israele”.

Leggi gli altri articoli sulla guerra tra Israele e Hamas

Ascolta i podcast di Riflessi

 

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Vi ricordiamo che:

venerdì 8 marzo esce il primo libro di Riflessi: “Donne del mondo ebraico italiano”.

Un’antologia delle interviste pubblicate da Riflessi in questi anni a donne che, in Italia e all’estero, hanno contribuito in più campi al miglioramento della società e alla diffusione della cultura ebraica.

 

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