8 settembre 1943: una drammatica transizione verso la democrazia
Valeria Galimi* spiega a Riflessi perché dopo l’8 settembre 1943 l’Italia affronterà ancora lunghi mesi di violenze, con migliaia di ebrei deportati, e perché moltissimi che si erano compromessi con il fascismo riuscirono a rimanere al loro posto anche nella Repubblica
Professoressa Galimi, l’8 settembre l’Italia si arrendeva agli Alleati, avviando una transizione molto sofferta, che portò poi alle elezioni del 1946 e alla Repubblica. Che cosa succede all’amministrazione dello Stato dopo l’8 settembre 1943?
La data dell’8 settembre 1943 ormai da tempo è legata alla discussione sulla cosiddetta “morte della patria”, espressione ripresa dallo storico Ernesto Galli della Loggia in un suo volume della metà degli anni ’90. In anni più recenti, si è evidenziato che la resa incondizionata agli Alleati firmata dall’Italia a Cassibile il 3 settembre, e resa nota cinque giorni dopo, segnò l’avvio dell’ultima fase della guerra, con l’inizio della “campagna d’Italia” e l’insorgere della Resistenza. Allo stesso tempo, la liberazione nelle stesse settimane di Mussolini a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, e la creazione della Repubblica sociale italiana (RSI) rappresentano anche l’ultima fase del fascismo, che porta avanti elementi ideologici della prima ora, come la “socializzazione” e il carattere repubblicano. Nell’amministrazione statuale si mantiene una parziale continuità, pur all’interno di un contesto eccezionale, nel quale il nord del paese resta in mano ai tedeschi e agli alleati fascisti che a Salò, sul lago di Garda e nelle città vicine trasferiscono i principali ministeri. Questo comporta un ritardo nella ripresa delle attività amministrative, con terribili conseguenze sulla popolazione, già sottoposta ai bombardamenti e a una grave crisi di approvvigionamento dei viveri.
Si può valutare il numero degli alti vertici della magistratura dell’università e dell’amministrazione che transitarono nella Rsi? Cosa accadde a chi aveva giurato fedeltà alla repubblica di Salò, o che comunque era stato sostenitore del fascismo per oltre 20 anni?
Un quadro complessivo e allo stesso tempo dettagliato dell’amministrazione della Rsi ancora manca, anche se in anni recenti c’è stata maggiore attenzione agli aspetti della gestione del potere locale, alla guerra in periferia e così via, poiché l’attenzione è stata a lungo posta sulle vicende resistenziali e sulla violenza della Rsi (deportazione politica e razziale, violenza contro i civili ecc.). Certamente le norme che nell’immediato dopoguerra hanno riguardano le responsabilità del fascismo hanno tenuto conto del carattere estremamente articolato e variegato che la “lunga liberazione” ha avuto sul territorio italiano, con un Sud che ha visto la presenza degli Alleati già nell’estate-autunno 1943, la liberazione di Roma del giugno 1944 e la linea del fronte che si ferma nell’Italia centrale per molti mesi, fino alla liberazione delle regioni del nord solo nella primavera del 1945. Pertanto divenne più pressante la punizione delle responsabilità e dei crimini commessi nella fase più recente, e più cruenta, di quella relativa a un’adesione al regime del Ventennio, certamente più ampia e più difficile da circoscrivere.
L’epurazione ebbe successo? Cosa la frenò maggiormente?
Si può certamente asserire che l’epurazione in Italia non ebbe successo, e generalmente si attribuisce la causa di ciò all’“amnistia Togliatti”, ovvero al decreto presidenziale del 22 giugno 1946, che cancellò molti reati commessi sul suolo italiano dopo l’8 settembre 1943, fra i quali i crimini commessi dai fascisti repubblichini contro partigiani e popolazione civile. Le motivazioni che portarono a questo atto di clemenza furono molte e complesse e difficilmente sintetizzabili in poche righe. Se volgiamo lo sguardo al continente europeo, vediamo che anche in Belgio e in Francia vi furono provvedimenti di clemenza, ma non così presto e non così ampi come in Italia. Nel nostro paese giocò la pressione da parte degli Alleati e delle forze moderate di procedere nella via della pacificazione anche per il clima di “guerra fredda” che si preannunciava; allo stesso tempo non era facile punire un’intera società che aveva aderito al fascismo per oltre venti anni.
I mancati epurati tornarono tutti ai loro posti? Che effetto ha avuto la mancata epurazione nello stato e nella società?
L’epurazione seguì un doppio canale, quello amministrativo e quello penale, che fecero ricorso a strumenti diversi. Nel primo caso vennero create delle commissioni interne alle istituzioni (si pensi ai ministeri e alle università), ma in molti casi il tutto si risolse con un nulla di fatto. Mi limito a un solo esempio: in questo periodo sto ricostruendo le attività delle commissioni di epurazione di alcune università e dalla mia ricerca viene emergendo come in molti casi i docenti – anche quelli più compromessi con il regime – rimasero al loro posto, talvolta utilizzando l’escamotage di anticipare il pensionamento. Più complessa e articolata è la questione dei reati: furono create delle Corti d’assise straordinarie volte a celebrare i processi relativi ai crimini per collaborazionismo con l’occupante nazista, ma la loro attività di fatto si interruppe a causa dell’amnistia di Togliatti.
Dopo l’8 settembre del 1943 che accadde alle leggi razziali? La persecuzione contro gli ebrei si interruppe?
Dopo l’incarico al maresciallo Badoglio da parte del re di formare un nuovo governo, seguìto alla destituzione di Mussolini avvenuta il 25 luglio, le leggi contro gli ebrei promulgate nel 1938 rimasero in vigore. Vennero revocate solo alcune misure a carattere amministrativo e, nello stesso periodo, non vennero consegnati gli ebrei stranieri presenti in Italia e nei territori occupati, come richiedevano i nazisti. Dopo l’8 settembre 1943 iniziò una nuova fase, chiamata dallo storico Michele Sarfatti il periodo delle “persecuzioni delle vite”, con l’entrata anche dell’Italia nella zona in cui venne applicato il progetto di “Soluzione finale” della questione ebraica, ovvero dello sterminio degli ebrei d’Europa. In una prima fase, della politica antiebraica fu responsabile direttamente l’occupante nazista (settembre-novembre): arresti e retate di ebrei furono condotti a Roma e nelle grandi città del centro-nord, ma da fine novembre 1943 fu lo Stato italiano fascista, cioè la Repubblica Sociale, ad essere diretto responsabile degli arresti e delle deportazioni degli ebrei italiani e stranieri dall’Italia. Una pagina tragica che si chiuse solo con la liberazione del paese e che produsse più di 7.000 vittime.
Leggi anche il contributo di Claudio Vercelli
* Valeria Galimi insegna Storia contemporanea all’Università di Firenze. Su questi temi ha pubblicato: Sotto gli occhi di tutti. La società italiana e le persecuzioni contro gli ebrei (2018) e ha curato, con Patrizia Dogliani, L’Italia del 1946 vista dall’Europa (2020).