Un appello per le donne israeliane

Ilaria Borletti Buitoni è tra le prime firmatarie dell’appello a sostegno delle donne israeliane vittime delle violenze di Hamas. A Riflessi spiega ragioni e obiettivi dell’appello

Dottoressa Borletti Buitoni, lei è tra i firmatari dell’appello che denuncia le violenze subite dalle donne israeliane il 7 ottobre da parte di Hamas.

Ilaria Borletti Buitoni

Sì. Questo appello vuole denunciare quello che è avvenuto il 7 ottobre, ossia un femminicidio di massa, una serie ripetuta di stupri e violenze volutamente pianificate contro le donne, una violenza usata come strumento di terrorismo.

Perché la necessità di tale appello?

Perché quello che è accaduto sulle donne israeliane è una violenza che ha incontrato un colpevole silenzio da parte di chi, nel nostro paese, normalmente sta dalla parte delle donne. L’appello vuole denunciare non solo la violenza di Hamas, ma anche tale silenzio.

Oltre a lei, chi sono i promotori dell’appello?

Siamo un gruppo di persone, che per lo più hanno aderito all’associazione “Setteottobre”. Tra tutti spicca Andrèe Ruth Shammah, direi il motore vitale dell’iniziativa. Ai primi firmatari si sono già uniti in tantissimi: invito chiunque voglia a farlo.

attualmente sono circa 137 gli ostaggi ancora in mano ad Hamas e alle altre organizzazioni terroristiche che operano a Gaza

L’appello prende posizione anche sulla guerra in corso nella Striscia di Gaza?

No, l’appello non vuole entrare nel merito di questa guerra: è un appello civile, non politico. In Italia si protesta spesso e a ragione per denunciare la cultura della violenza contro le donne. E tuttavia non c’è ragione per cui debba calare il silenzio su un fatto di tale atrocità come le violenze commesse nei confronti delle donne israeliane, un fatto che ha ben pochi precedenti nella storia, qualcosa quasi di unico. In Ucraina, ad esempio, certamente l’esercito e le milizie filorusse hanno compiuto numerosi atti di violenza verso le donne, ma non in maniera completamente premeditata e soprattutto non in un arco di tempo così ristretto. Al contrario, in Israele, il 7 ottobre c’è stata una ferocia volutamente diretta verso le donne.

Noa Marciano è una delle donne israeliane rapite e uccise a Gaza

Nel mondo femminista si è registrato un generale silenzio sulle violenze subite dalle donne israeliane in 7 ottobre. Di tale silenzio si è avuta prova nella manifestazione nazionale contro ogni femminicidio svolta alla fine di novembre. Più di recente, una influencer che scrive su un noto quotidiano italiano ha espressamente minimizzato ciò che è accaduto alle donne israeliane il 7 ottobre, rilanciando invece le morti dei civili palestinesi per effetto dell’azione militare di Israele. In generale il movimento femminista in Italia è sembrato più attento alle ragioni dei palestinesi che alle vittime israeliane. Lei cosa ne pensa?

Sono fermamente convinta che la guerra in corso a Gaza e le violenze subite dalle donne e dagli altri civili israeliani il 7 ottobre siano fatti che vadano tenuti distinti.

Perché?

Shany Louk è la ragazza tedesca rapita da Hamas il 7 ottobre e successivamente uccisa

Il bombardamento e in generale la guerra che si sta svolgendo a Gaza è la conseguenza della violenza atroce consumata da Hamas il 7 ottobre. È bene sempre ribadire che Israele non ha cominciato questa guerra, la quale è iniziata con gli attacchi di Hamas sul territorio israeliano, ma non solo da provenienti da Gaza. Penso ad esempio al Libano, allo Yemen, o alla Cisgiordania. Questa guerra è quindi stata subita da Israele ed ora è gestita da un premier su cui voglio esprimere un giudizio interamente negativo: i fatti dimostrano quanto la sua politica sia stata un totale disastro scelta per conservare il consenso dei partiti ultraortodossi. In ogni caso, quella in corso nella Striscia di Gaza è la guerra tra uno Stato che ha subito una violenza inaudita (ricordo le decine di ostaggi ancora in mano a Hamas) e un gruppo di terroristi che usa la popolazione civile come scudi umani con assoluta spregiudicatezza.

Come definirebbe invece ciò che è accaduto il 7 ottobre?

Nel rave party del 7 ottobre Hamas ha ucciso centinaia di giovani e rapito molti ostaggi

Il 7 ottobre è stata realizzata un’azione terroristica completamente diversa da una guerra convenzionale, sia nella concezione che nell’esecuzione. Il 7 ottobre è una data che non dimenticheremo, e che considero della stessa importanza dell’11 settembre 2001. Si tratta di una giornata che segna uno spartiacque da cui non si potrà tornare indietro, in cui la violenza contro dei civili si è espressa nei modi più feroci. Per questo non comprendo perché il movimento femminista italiano non abbia voluto riconoscere la violenza subita dalle donne israeliane. Ripeto: si tratta di un’atrocità che non può passare sotto silenzio.

Si è data una spiegazione per tale silenzio?

Innanzitutto mi lasci dire che le adesioni che stiamo ricevendo al nostro appello testimoniano un fatto straordinariamente importante, cioè che c’è una parte non piccola della nostra società che ha compreso la gravità di quel che è accaduto il 7 ottobre. Quanto al silenzio di molte associazioni femministe, sinceramente la mia sensazione è che esso sia ispirato da un pregiudizio antisemita. Poiché le vittime sono donne israeliane, e Israele è considerato colpevole di tutto quel che avviene in Medio Oriente, compresa la situazione tragica del popolo palestinese, conseguentemente si preferisce tacere la violenza subita dai cittadini israeliani, in particolare dalle donne, per non mettere in discussione tale pregiudizio.

Che obiettivo concreto vuole perseguire l’appello?

L’associazione Setteottobre nasce a seguito dell’attacco di Hamas

Lo scopo degli appelli deve essere sempre quello di sapersi tradurre in un’azione concreta, politica e possibilmente anche giuridica. Nel caso delle violenze subite dalle donne ucraine, ad esempio, è in corso un procedimento volto ad accertare le responsabilità presso gli organismi internazionali competenti. Io credo che allo stesso modo debba farsi per quanto subito dalle donne israeliane il 7 ottobre. Per questo l’associazione “Setteottobre”, promuovendo tale appello, potrebbe farsi a mio avviso mediatrice presso le nostre istituzioni affinché queste promuovano in sede internazionale un’iniziativa per accertare i fatti e individuare la responsabilità di chi li ha commessi.

Lei ha avuto una significativa esperienza politica, eletta nel Partito democratico nel 2013 e sottosegretario in tre governi. In generale, che giudizio dà della reazione della politica ai fatti del 7 ottobre?

Le reazioni registrate nell’immediatezza della violenza compiuta da massa il 7 ottobre sono stati di una brevità imbarazzante. Soprattutto da parte di alcuni partiti più estremi a sinistra, al di là di un veloce momento di cordoglio, è calato subito il silenzio. Tale silenzio esprime una spregiudicatezza che mi ha colpito, tanto più, che, come ho detto, quella del 7 ottobre è una data destinata a essere ricordata nei libri di storia.

Lei solleva il problema del rapporto fra Israele e la sinistra.

Pierre Melanchon

Si tratta di un rapporto molto complesso. Nel recente passato e tutt’ora ci sono stati alcuni leader schierati a sinistra, penso a Jeremy Corbyn in Gran Bretagna o a Pierre Melanchon oggi in Francia, che sono stati apertamente accusati di sostenere posizioni antisemite. A mio avviso al fondo di tale impostazione c’è l’idea che Israele sia l’unico responsabile del dramma palestinese. È un pregiudizio che ha molte origini, come ad esempio un forte antiamericanismo, ma non sottovaluterei neppure una certa ignoranza che c’è sulla questione. Il dramma del popolo palestinese, che certamente ha diritto ad avere una sua terra e un proprio Stato, e che la politica israeliana di questi ultimi anni ha contribuito ad aggravare, dipende tuttavia anche dall’atteggiamento spesso ambiguo e dall’egoismo dei paesi arabi, che non hanno mai voluto davvero far sì che i palestinesi avessero uno stato. Ricordare il 1970, “Settembre nero”, quando in Giordania migliaia di palestinesi colpevoli di aver tentato un colpo di stato furono uccisi dal re di allora, sarebbe utile. O studiare meglio il Qatar, grande player della finanza internazionale e nello stesso tempo finanziatore di Hamas.

in Israele è forte il movimento per dare prevalenza alla liberazione degli ostaggi

Oppure considerare la fotografia del summit recente a Ryad con il presidente siriano Assad e le autorità religiose iraniane, responsabili di crimini efferati contro l’umanità. Insomma, la causa palestinese è servita a molti paesi arabi per spostare l’attenzione su Israele. Bisogna anche ricordare a tutti, non solo a sinistra, che Hamas e Iran non vogliono una Palestina libera, ma uno Stato teocratico, ispirato a un islamismo radicale. Trovo paradossale che nel dibattito italiano nessuno evidenzi questo rischio. Dobbiamo invece batterci contro ogni estremismo religioso, da cui la stessa Israele non è immune ahimè, anche se certo non a un livello di pericolosità come in altri Stati. Trovo che anche su questo la sinistra abbia molte amnesie.

 

Il testo dell’appello

Non si può restare in silenzio
Il 7 ottobre le donne non sono state uccise come gli altri civili durante l’attacco di Hamas a Israele. Sono state sottoposte a violenze di gruppo che hanno loro frantumato i bacini, le loro gambe sono state divelte, le loro vagine dilaniate con i coltelli, i loro seni asportati e usati per giocare a pallone. Sono state esibite nude sulle strade. I militanti di Hamas hanno urinato sui loro corpi, li hanno cosparsi di sperma. Le hanno decapitate, bruciate, smembrate. Prese in ostaggio, durante la prigionia sono state ancora molestate e oltraggiate. Anche i loro cadaveri sono stati vituperati. Il mondo non ha voluto credere all’orrore. La verità è stata negata, nonostante le prove: i video che mostrano cadaveri con vestiti strappati, gambe divaricate, vagine in vista, volti carbonizzati. Poche voci si sono alzate per denunciare la violenza di genere, nonostante i filmati degli interrogatori in cui i terroristi ammettevano di aver voluto violentare le donne per sporcarle, nonostante le testimonianze raccolte dalla polizia, nonostante i racconti dei sopravvissuti. Nonostante, da ultima, l’inchiesta del quotidiano New York Times che conferma l’orrore a cui sono state sottoposte le israeliane.
Qualsiasi opinione abbiate sul conflitto, qui non si tratta di prendere una posizione politica. Qui si tratta di sottoscrivere che ci opponiamo sempre, in ogni caso, alla violenza di genere. Le violenze di Hamas non sono stati eventi isolati, ma un piano studiato per oltraggiare le donne. Chiunque condanni la violenza di genere non può rimanere indifferente, o girare la testa dall’altra parte.
Se credi che la vita di ogni donna abbia un valore, unisciti a noi in quest’appello per affermare che nessuno stupro debba essere legittimato, chiunque ne sia l’autore. Non si può restare in silenzio. Lo dobbiamo alla memoria di tutte le nostre sorelle, anche quelle israeliane.
Il femminicidio del 7 ottobre deve essere dichiarato femminicidio di massa e gli autori devono essere condannati per tale reato.

Per aderire all’appello

 

Leggi gli altri articoli sulla guerra Israele-Hamas

Una risposta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Condividi:

L'ultimo numero di Riflessi

In primo piano

Iscriviti alla newsletter