Tra dolore e speranza, i giorni di Israele

Letizia Fargion Piattelli ci racconta lo stato d’animo di un paese che dopo oltre 45 giorni di guerra vede tornare a casa i primi ostaggi rapiti

Letizia, mentre stiamo parlando Israele attende il completamento del rilascio dei primi ostaggi in base all’accordo raggiunto con Hamas con la mediazione dell’Egitto e del Qatar. Che aria si respira nel paese in queste ore?

Letizia Fargion Piattelli

Viviamo ore piene di emozioni e di speranza, affinché finalmente qualcosa si muova a livello politico e diplomatico e che questo possa essere solo un inizio. La nostra speranza è che tutti i rapiti possano tornare presto a casa. In tutto Israele da subito, dal 7 ottobre, c’è un grandissimo appoggio e consenso verso obiettivo.

Ti chiederei ora di tornare indietro al 7 ottobre, per raccontare, se puoi, le sensazioni di quelle prime ore.

La sensazione più grande è stata di incredulità. Con il passare delle ore abbiamo percepito la minaccia e poi l’aggressione subita, ma non avevamo affatto compreso le proporzioni. Le notizie arrivavano dalla tv e dalla radio, ma all’inizio è stato difficile comprenderne le dimensioni e quindi non ci siamo resi conto di quel che stava realmente accadendo. Io credo che nelle prime ore neppure a livello politico e militare ci fosse piena consapevolezza, per cui ci sono volute parecchie ore prima di avere un quadro completo di quel che era accaduto.

E dopo?

sono circa 190 gli ostaggi ancora rapiti

Solo dopo 24 ore abbiamo compreso la gravità del momento e allora si è avuto un primo quadro della situazione Voglio dire che a questo punto senza nemmeno coordinarsi è scattata però anche un’eccezionale reazione da parte di tutto il paese. Si è trattata di un’enorme onda di solidarietà che ha coinvolto tutti i settori della società e che è riuscita in pochissimo tempo a mettere in piedi un’organizzazione capillare. Tutto il paese si è mobilitato per sostenere i soldati che andavano verso il fronte: dai pasti, ai giubbotti antiproiettile; bisogna ricordare infatti che in pochissimo tempo oltre 300.000 riservisti hanno lasciato la loro vita precedente per presentarsi come volontari nell’esercito. Questo ha comportato anche un’organizzazione nelle retrovie: ad esempio moltissimi arruolati hanno lasciato il loro posto di lavoro, soprattutto nelle zone agricole al confine con Gaza, quelle maggiormente danneggiate. A seguito dell’attacco, infatti, occorre considerare che i campi sono rimasti sforniti di manodopera, perché agricoltori e contadini, soprattutto tailandesi, sono stati uccisi, oppure rapirti, oppure sono fuggiti. È per questo che attualmente dei campi si occupano dei volontari, specie con l’associazione Ahim la neshek, per impedire che i raccolti siano persi. Un altro supporto è stato dato agli sfollati dalle loro case, avevano bisogno di essere aiutati, e che sono circa 120.000 persone. Anche qui c’è stato uno sforzo eccezionale di tutto il paese che ha offerto posti per dormire. Anche io nel mio piccolo posso fornire l’esempio di mio figlio, che con sua moglie, appena sposati, hanno accolto una famiglia di Sderot.

Sderot è una città abbandonata

E oggi? Che clima si respira in questi giorni in cui a Gaza si combatte e tutto il paese attende gli sviluppi della guerra e la liberazione degli ostaggi?

Direi che si respira un clima duale, doppio, quasi schizofrenico. Almeno qui da dove ti parlo, da Gerusalemme. All’inizio, nei primi giorni, c’erano in continuazione gli allarmi per gli attacchi coi razzi, per cui in parecchi non uscivano mai di casa, o perlomeno facevano in modo di trovarsi vicino a luoghi in cui era possibile trovare un immediato rifugio. dopo due o tre settimane si è invece cercato di tornare alla routine, ma è innegabile che il senso di angoscia ci accompagna sempre ed è molto forte. In questo momento tutto il paese coinvolto dalla guerra, perché chiunque ha un proprio familiare, marito o moglie, figlio o figlia, padre o madre, impegnato al fronte. Per cui da un lato c’è la volontà di tornare alla routine quotidiana: è una volontà molto forte di andare comunque avanti. Dall’altra c’è un senso di angoscia e di ansia. Pensa soltanto che non è possibile comunicare con chi è al fronte, che spesso i familiari devono attendere giorni o settimane per avere notizie da chi è in prima linea, soprattutto da chi è impegnato nelle operazioni a Gaza.

da subito il paese si è mobilitato per chiedere che la priorità fosse la liberazione degli ostaggi

Qui in Europa e in generale in Occidente si discute molto dell’azione militare di Israele e molte sono le voci che chiedono la sospensione degli attacchi e comunque il rispetto del diritto internazionale. È un tema che viene affrontato in Israele?

Io seguo le notizie di questa guerra anche attraverso i media italiani ed europei, oltre alla Tv Al Jazira. Capisco che fuori da Israele i media sono molto influenzati dalle notizie che provengono da parte araba e che spesso propongono una lettura delle cose a senso unico. Per quel che riguarda noi, gli israeliani, credo che invece sia molto forte la necessità di sconfiggere Hamas; se non dalle radici, comunque c’è l’esigenza di fare in modo che Hamas non sia più un pericolo militare per Israele. Questo è un obiettivo che accomuna tutto il paese, anche chi ha posizioni più contrarie al governo, perché dopo il 7 ottobre tutto il paese ha compreso che Hamas non può più essere un pericolo per noi.

in tutto Israele i volontari si organizzano

Un altro tema è quello della responsabilità dell’attuale governo, e del futuro politico di Netanyahu.

Naturalmente ci sono varie opinioni al riguardo e c’è chi ne parla già da ora e chi preferisce attendere che passi questo momento. Io credo che la questione dovrà essere affrontata una volta che saremo usciti da questa guerra. In generale, penso che ci sia una grande sfiducia verso Netanyahu e verso il governo e che al tempo stesso ci sia una grande volontà di cambiamento. Anche i sondaggi che vengono commissionati da alcuni quotidiani rappresentano questa volontà di cambiamento. Del resto, Netanyahu anche in queste settimane ha rilasciato dichiarazioni che hanno rischiato di dividere ulteriormente il paese, come quelle in cui ha cercato di addossare all’intelligence e all’esercito israeliano la responsabilità di quel che era accaduto.

Si riesce a immaginare i prossimi passi politici di questa guerra?

L’attacco ad Hamas dovrebbe essere finalizzato a ottenere il cessate il fuoco, la restituzione di tutti gli ostaggi e a mettere le basi per un accordo a lungo termine. Certo, anche l’aiuto internazionale, ad esempio per creare una zona cuscinetto che ci protegga dal rischio di nuovi attacchi, sarebbe utile

Quand’è che per Israele questa guerra potrà essere dichiarata chiusa?

Ripeto: l’obiettivo che tutto il paese si è dato è eliminare militarmente Hamas, o perlomeno la sua capacità militare. Al tempo stesso, una nostra priorità è liberare gli ostaggi. Credo che questi siano oggi i due obiettivi di Israele.

Dovendo scegliere?

l’accordo in corso prevede 4 giorni di tregua; si spera che possa continuare per rilasciare gli altri ostaggi

Darei priorità assoluta alla liberazione degli ostaggi. Soprattutto di coloro che vivevano al sud, che da sempre hanno vissuto in prima linea, è che i fatti del 7 ottobre hanno dimostrato drammaticamente come il governo non abbia saputo difendere.

 

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