Il “Lodo Italia” alla base di silenzi e impunità
E’ uscito da pochi giorni un libro che ricostruisce il c.d. “lodo Moro”, in realtà un accordo segreto molto più esteso. E’ possibile ora immaginare una riapertura delle indagini sull’attentato del 9 ottobre 1982? Ne abbiamo parlato con l’autrice
Professoressa Lomellini, il suo libro permette di comprendere meglio che tipo di accordi si realizzarono in Italia tra il nostro Stato e la dirigenza palestinese. Innanzitutto, su quali fonti si basa il suo studio?
Molte: le carte desegretate dal governo Prodi e Renzi, gli archivi degli Esteri, dell’archivio centrale di Stato, della Fondazione Gramsci e Basso, dell’archivio storico del Quirinale e del Parlamento, nonché archivi inglesi, francesi e americani, e quelli dell’Unione europea.
Vorrei cominciare a parlare del suo libro individuando il periodo storico da lei individuato. L’espressione “Lodo Moro”, in effetti, sembra restringere il campo a pochi anni. È davvero così?
No. Le date che ho riportato anche nel titolo (1969-1986) indicano una novità rispetto al quadro interpretativo seguito fino ad oggi. In precedenza, infatti, la stessa espressione “lodo Moro” lascia intendere che questo accordo si legasse solo alla figura di Aldo Moro, nel periodo in cui fu ministro degli esteri, cioè dai primi anni 70, con particolare riferimento all’attentato di Fiumicino del 1973. Seguendo questo schema, si poteva credere che, terminata l’esperienza di Moro agli esteri, e comunque dopo la sua morte (a seguito del rapimento delle brigate rosse, nel 1978, n.d.r.) anche gli effetti del lodo fossero scomparsi.
E invece?
In base alle carte che ho potuto esaminare, la mia convinzione è che questo accordo non solo abbraccia un periodo molto più ampio, ma che, conseguentemente, ne furono consapevoli e coautori anche altri leader italiani.
Può fare qualche nome?
Certo: Mariano Rumor, Giulio Andreotti, Bettino Craxi, tra gli altri. E Giovanni Leone, in qualità di presidente della Repubblica. È per questo che preferisco parlare di “lodo Italia”.
Perché allora si parla di “lodo Moro”?
Ci sono almeno due concause. La prima è che abbiamo assistito a un processo di creazione della memoria collettiva, che ha visto in Moro l’ideatore dell’accordo. Questo si deve soprattutto alle dichiarazioni di Francesco Cossiga che attribuì solo a Moro la responsabilità dell’accordo, mentre in precedenza si era vociferato di una collegialità della scelta. Il secondo elemento è che Moro fu in effetti ispiratore di una politica estera italiana protesa verso il Mediterraneo, che ufficialmente predicava l’equidistanza tra arabi e israeliani, con uno sbilanciamento a favore degli arabi. A mio avviso, invece, l’accordo è operazione corale, di cui molti erano a conoscenza ai livelli più alti.
Qual era lo scenario internazionale in cui si inserisce questo accordo?
Anche questa è una novità interpretativa del mio lavoro. Io credo infatti che questo accordo non sia valso solo nel nostro paese. La classe dirigente italiana fu infatti influenzata dallo scenario internazionale.
A cosa si riferisce?
Dopo la Guerra dei sei giorni del 1967, i palestinesi si trovarono all’angolo, sconfitti ed emarginati politicamente. Per recuperare uno spazio di azione e di visibilità cominciarono a progettare e ad attuare una serie di azioni terroristiche in tutta Europa. La prima azione comincia nel 1968, cui ne seguiranno altre. Quando in Europa si comprese questa nuova strategia, molti governi europei decisero di aprire un dialogo con alcuni settori della dirigenza palestinese.
Quali furono questi paesi?
Oltre all’Italia, si trattò della Francia e dell’Austria. Alcuni “rumors” parlano anche della Germania, tuttavia le carte archivistiche non mi hanno consentito di confermare questa ipotesi.
Torniamo al lodo applicato in Italia. Secondo la sua ricostruzione, il passaggio di testimone tra i vari governi non cambiò sostanzialmente l’efficacia di questo accordo.
È così. C’è da dire che, fino ai primi anni Ottanta, tutti i governi videro la partecipazione centrale della DC. Questo spiega la forte continuità che si registrò. Forse un allentamento del lodo si ebbe solo quando la guida del governo passò a Giovanni Spadolini, repubblicano, nel 1982. In generale, ribadisco però la forte continuità strategica tra i vari governi.
Quale fu il ruolo dei servizi segreti italiani in questo accordo?
È un aspetto su cui altri studi hanno indagato. In generale, si tende ad affermare che questi accordi furono realizzati ed eseguiti non tanto sul piano politico, quanto proprio da parte dei servizi; come se cioè i vari ministri non furono informati, o non del tutto. In realtà, la mia percezione è l’esatto contrario: furono i servizi a mettersi al servizio della politica. Voglio dire che non si trattò di accordi deviati, o sottobanco, all’insaputa della politica. Vi fu un chiaro orientamento della politica estera italiana a sostenere questo accordo.
Veniamo adesso alle modalità pratiche di applicazione di questo accordo. Significa che i terroristi palestinesi presenti sul territorio italiano non venissero perseguiti dall’autorità pubblica?
Io non credo che non fossero arrestati a causa del lodo; in realtà si registrano degli arresti in questi anni, ma poi o vennero rilasciati, o comunque il processo, in qualche modo, riuscì ad essere agevolato. Nei casi estremi, interviene il presidente della Repubblica, come fa nel 1976 Leone, concedendo la grazia, su forte pressione della Libia, a 3 terroristi libici colti in flagranza con armi da guerra mentre preparano un attentato al ministro esteri libico in carica, inviso a Gheddafi, a Fiumicino.
Quindi anche la magistratura fu coinvolta in questo accordo?
A certi livelli, sì. Diciamo che alcuni esponenti della magistratura erano sensibili a trovare soluzioni politiche su questioni politico-diplomatiche. Dobbiamo ricordare che l’obiettivo principale delle autorità, non solo italiane, era innanzitutto di avere i terroristi fuori dal paese nel più veloce tempo possibile. Processarli e tenerli in carcere, infatti, avrebbe incrementato il rischio di nuove azioni terroristiche.
Il lodo riguardava anche Israele? In altre parole: l’Italia garantiva anche una “impunità” a operazioni israeliane nel territorio italiano?
È difficile dirlo. L’unica cosa che ho trovato al riguardo è una nota all’inizio degli anni ’70, in cui si parlava dell’operazione “ira di Dio” [seguita all’attentato di Monaco del 1972, n.d.r.], in cui si accennava al fatto che sia la Francia che l’Italia avevano tollerato omicidi selettivi israeliani.
Veniamo all’attentato al tempio ebraico del 9 ottobre 1982. Ne ha parlato nel suo libro?
Sì, ma non in modo diffuso. Ritengo infatti che la questione sia stata già trattata esaurientemente da Arturo Marzano e Guri Schwarz, nel loro libro (Attentato alla sinagoga. Roma, 9 ottobre 1982, n.d.r.)
Una delle ipotesi che circolano, di recente rilanciata da alcuni quotidiani, e che ci sia stato un volontario calo di tutela da parte delle autorità italiane, utile a realizzare l’attentato. Lei che ne pensa?