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Gli universitari israeliani ed ebrei hanno timore

Alessandra Veronese, docente a Pisa, ci descrive una realtà preoccupante nelle università italiane

Professoressa Veronese, in una recente intervista lei si è detta preoccupata per il clima di intolleranza che si respira nelle università italiane, al punto che gli studenti israeliani e gli studenti ebrei italiani non si sentirebbero più al sicuro. Su quali elementi fonda questo giudizio?

Alessandra Veronese insegna storia medievale all’Università statale di Pisa

Il disagio è forte. È un dato che ricavo soprattutto dai miei colloqui con gli studenti. Alcuni mi hanno riferito come per loro sia meglio non farsi riconoscere come ebrei. Una studentessa, per esempio, mi ha confessato che il suo timore è di trovarsi coinvolta in polemiche che iniziano contro Israele e arrivano a incolpare gli ebrei in quanto tali, perché ritenuti responsabili delle politiche di Israele. Per gli studenti israeliani, invece, il timore è che i vari movimenti per la Palestina aumentino il livello di violenza verbale, già oggi molto forte, nelle chat universitarie; cioè che aumentino le continue provocazione verbali prima e dopo le lezioni. Ad esempio, l’accusa di essere cittadini in un paese dove vige l’apartheid, è frequente. Anche in Senato accademico mi è capitato di ascoltare studenti fornire informazioni completamente sbagliate.

Può fare qualche esempio?

Uno studente di medicina, che poi si è saputo essere figlio dell’Imam locale, ha affermato che in Israele vige l’apartheid. Ora, posso comprendere il suo punto di vista, conosco la sua storia familiare dolorosa. Sono però in disaccordo con quanto da lui affermato. Ma c’è di peggio. Qualcuno ha detto che si doveva boicottare l’università di Bar Ilan perché da lì erano usciti alcuni attuali membri del governo. Seguendo lo stesso ragionamento, ho replicato, allora dovremmo chiudere l’università di Trento, ad esempio, perché è da lì che provenivano alcuni dei capi delle Brigate rosse. Insomma, si tratta di una posizione ridicola. Un altro studente, per esempio, citando una sua amica palestinese, ha sostenuto che in Israele è richiesto agli studenti arabi di conseguire un punteggio più elevato per essere ammessi all’università rispetto agli studenti ebrei: è palesemente falso, al contrario in Israele si danno molte borse di studio alle minoranze arabe e druse. O ancora: è stato detto che gli arabi sono costretti a seguire un corso di ebraico per studiare…ma questo avviene anche a Pisa, al corso di IPH: al primo anno, in inglese, gli studenti frequentano un corso intensivo di italiano… In generale, c’è molta disinformazione.

il senato accademico dell’università di Torino ha di fatto ceduto alle pressioni di un movimento che si definisce antisionista, votando la mancata partecipazione ai bandi MAECI di collaborazione con le università israeliane

Le università in effetti sono state teatro fin dall’inizio di una forte contestazione contro Israele. Lei è favorevole a ospitare incontri con esponenti dell’ala più radicale?

A titolo personale naturalmente anche io ho il mio giudizio sul conflitto in corso. Si tratta di una valutazione fatta sulla base di letture maturate nel tempo; ad esempio, non sosterrei mai che le regioni del conflitto sono tutte da una parte e dall’altra tutti i torti. Invece vedo che spesso sono invitati soggetti che sostengono tesi unilaterali. Prendiamo ad esempio il caso di Francesca Albanese: quelli come lei sono personaggi che evidenziano sempre e solo una parte della realtà, eliminando tutto ciò che non appartiene alla loro tesi. Quando si sostiene una idea, però è importante evidenziare anche ciò che non rientra nello schema.

Francesca Albanese e inviata del consiglio dei diritti umani

L’onestà intellettuale cioè imporrebbe di evidenziare ciò che contraddice la propria tesi. Al contrario, queste persone eliminano ogni prova contraria alle proprie idee. Venendo alla sua domanda, io sono convinta che l’università debba ospitare tali dibattiti, a patto che ci sia contradittorio. Se si invita la Albanese, le cui posizioni sono note, come minimo sarebbe opportuno dopo invitare chi (possibilmente uno studioso di comprovata serietà scientifica) ha una posizione diversa; invece manca equilibrio. Le persone devono avere punti di vista diversi, e tutti dovrebbero essere più chiari nell’individuare le fonti che utilizzano, invece la mia sensazione è che si voglia provare un assunto che non ammette repliche. Naturalmente, immagino che lo stesso avvenga da parte di alcuni in Israele.

Cosa pensa di quanto accaduto a Napoli dieci giorni fa, quando alcuni studenti hanno impedito a Maurizio Molinari di intervenire a un incontro organizzato dal Rettore?

in queste settimane molte università italiane sono state oggetto di manifestazioni a sostegno della Palestina. Qui: Padova

Lo trovo un fatto gravissimo, e lo stesso per quanto accaduto prima a Parenzo a Roma. La motivazione poi, di vietare la parola a chi è ebreo, è ancora più grave. Siamo arrivati alla identificazione dell’ebreo come sionista, per cui gli unici ebrei buoni sono figure come Gad Lerner o Moni Ovadia, che dichiarano il loro distacco da Israele. Certo, ognuno è libero di fare quello che vuole, ma è intollerabile che ad alcuni, in quanto ebrei, si sia impedito di parlare. Avrei compreso, che Molinari avesse potuto parlare e poi che qualcun altro avesse potuto esprimere il suo disaccordo e invece siamo arrivati alla caccia al sionista. Per di più con una ricostruzione storica che lascia spesso a desiderare.

Lei si è mai trovata in una situazione che le ha provocato imbarazzo?

ProPal a La Sapienza

Mi è capitato di essere chiamata a dare un contributo storico a Colle Val d’Elsa, e mi sono ritrovata a discutere, per così dire, con un giornalista e un attivista palestinese che hanno svolto dei comizi, invitando gli studenti a non parlare con una “sionista”. Queste persone vogliono solo fare comizi, senza alcun contributo alla pace. Ci si radicalizza sempre di più, senza che mai venga riconosciuto il trauma del 7 ottobre. Io, che pure ne sono rimasta traumatizzata, non mi sognerei mai di giustificare per questo ogni azione del governo Netanyahu, invece dall’altra parte c’è una narrazione a senso unico, in cui sono solo vittime.

Dobbiamo ricordare anche che 4000 docenti si sono espressi per il boicottaggio. È forte il movimento accademico contro Israele?

Anche la Normale di Pisa ha votato la rinuncia agli accordi con Israele

Naturalmente ci può essere diffidenza anche da parte di alcuni docenti del corpo accademico, ma devo dire che a Pisa il Senato accademico non ha mai sostenuto il boicottaggio. C’erano opinioni diverse, ma tutti i colleghi hanno detto che il boicottaggio non era un’opzione. Anche il rettore, con cui ho avuto un confronto aperto e franco, ha sempre detto di essere contrario al boicottaggio. La maggior parte è contraria, anche se poi, certo, alcuni colleghi fanno dei distinguo, per esempio sostenendo che l’università di Ariel, nella West Bank, dovrebbe essere discriminata. In generale, ripeto, non c’è ostilità nei confronti delle istituzioni accademiche israeliane. Se, per esempio, si sta facendo uno studio sul clima e gli effetti della desertificazione, tutti considerano importante ascoltare i maggiori esperti israeliani e favorire la collaborazione, e questo vale anche per quei colleghi che deplorano l’azione militare di Israele.

Lei è stata nominata dal ministro Valditara a capo di un gruppo di lavoro per valorizzare la cultura ebraica nelle scuole. Come intende procedere?

a Torino la scorsa settimana presidio di solidarietà a Israele

Coordino il gruppo di lavoro presso il Ministero dell’istruzione e del merito che mira a far sì che lo studio della cultura e della storia degli ebrei diventi meno episodico nelle scuole italiane. Si deve evitare che l’attenzione si concentri solo sulla Giornata della memoria. Per questo, vorremo inserire nei percorsi scolastici, a partire dalla scuola primaria, piccole “pillole” di cultura ebraica per far capire quanto gli ebrei siano presenti in Italia da oltre 2000 anni e abbiano sempre costituito una minoranza attiva, che ha saputo dare un contributo importante alla storia e alla cultura italiana. Vogliamo cambiare la narrazione che mostra gli ebrei solo come vittime, anche se ovviamente nessuno intende sminuire l’importanza della Shoah.

 

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