1947: l’anno fatale
Lo Stato d’Israele, peraltro, nasceva in un “anno fatale”, quando la guerra fredda tra Est ed Ovest si stava esprimendo in maniera sempre più accesa. Le tensioni tra Stati Uniti e blocco sovietico furono quindi destinate a pesare molto nella sua formazione. I sovietici volevano presentarsi come i principali patrocinatori della causa sionista, pensando di poterla giocare come strumento nel confronto internazionale. Avendo perso in Iran e in Grecia, Stalin confidava di potere strumentalizzare secondo i propri interessi la partita che si sta consumando nella Palestina mandataria. La successione degli eventi, da questo punto di vista, fu chiara: nel maggio del 1947, dinanzi alla perdurante ostilità britannica all’immigrazione ebraica in Palestina, allora ministro degli Esteri Gromyko si faceva portavoce all’Onu delle «aspirazione degli ebrei a creare un proprio stato»; il 29 novembre l’Unione Sovietica votava quindi per il piano di spartizione; nell’aprile dell’anno successivo ingenti quantitativi di materiali militari venivano inviati dalla Cecoslovacchia, rivelandosi determinanti per le sorti dell’Haganah, la milizia ebraica che stava trasformandosi in esercito nazionale. Beninteso, all’Urss ben poco interessava dal sionismo, ben presto arrivando poi a considerarlo con sospetto e quindi avversione, fino a costruirci una ideologia dichiaratamente antiebraica. Tuttavia, i calcoli d’interesse erano apri solo alla disinvoltura con le quali la dirigenza sovietica prendeva le parti dell’uno piuttosto che dell’altro.
I rapporti della dirigenza sionista con i paesi occidentali rimasero invece a lungo molto difficili. Se le opinioni pubbliche nazionali parteggiano, frequentemente, per il tentativo ebraico, del quale coltivano gli aspetti di “eroismo romantico” dell’impresa, i singoli governi si ponevano su un piano ben diverso. I britannici, potenza coloniale declinante, erano «francamente ostili» (così Elie Barnavi) alle richieste sioniste come allo stesso Ben Gurion, del quale avversano, tra l’altro, l’abilità politica nel cercare di conquistare simpatie alla propria causa. Il movimento sionista era visto come, al medesimo tempo, un soggetto dei processi di decolonizzazione (destinati quindi ad urtare gli interessi di Londra) e un agente degli interessi di terzi, che si trattasse di Mosca piuttosto che di Washington. Un atteggiamento, quest’ultimo, che ci restituisce il senso di declino che, dopo il 1945, accompagnava l’intera costruzione imperiale inglese.
Gli americani, ideologicamente non estranei al movimento sionista, politicamente aspirano a sostituire la Gran Bretagna in Medio Oriente, nell’ottica del contenimento delle spinte sovietiche in un’area reputata strategica per il futuro degli equilibri internazionali. Ciò implicava un atteggiamento ponderato con gli stati arabi. L’amministrazione Truman, peraltro, era divisa al suo interno. Se il Dipartimento di Stato antipatizzava apertamente (non inimicarsi il mondo arabo per guadagnarsi la simpatia di una piccola comunità politica), il Presidente deciderà successivamente di votare a favore della divisione, sapendo che gli elettori, non solo ebrei, gli avrebbe riconosciuto tangibilmente il valore di un tale gesto. Più in generale, le scelte operate da Washington tra il 1947 e il 1948 vanno inscritte soprattutto all’interno di due dinamiche coeve: da un lato la contrapposizione all’espansionismo sovietico, così come, dall’altro, la necessità di ricomporre in conflitti interni alla poliarchia statunitense, mediando tra posizioni spesso conflittuali rispetto ai singoli dicasteri.
I francesi, non pregiudizialmente avversi all’ipotesi del nuovo Stato, dovevano comunque anch’essi misurarsi con i numerosi interessi che coltivavano nella regione. In questo autentico bailamme la differenza, alla fine, la fece il movimento sionista stesso e, soprattutto, il suo leader Ben Gurion. Con tutta probabilità il politico più realista e avveduto di cui il sionismo ed Israele abbiano potuto avvalersi. All’atto dell’effettiva conclusione del mandato britannico e quindi dell’aggressione araba, nel maggio del 1948, il Dipartimento di Stato americano aveva consigliato di mettere la Palestina sotto la tutela dell’Onu, di fatto rinviando o bloccando sul nascere qualsiasi tentativo di dare seguito alla sua effettiva divisione in due. Ma l’intelligenza e l’astuzia dei fatti, insieme a quella di alcuni protagonisti, si sarebbero incaricate di dare un indirizzo ben diverso al processo storico.
Una risposta
Pregiatissimo professore, dal 1918 al 1948, periodo in cui dalla dominazione ottomana dei territori di Israele si passo al protettorato britannico, alcune fonti dicono che la popolazione ebraica in Israele passò da centomila a più di cinquecentomila persone. Questo un poco contrasta con la scarsa propensione del governo britannico alla migrazione nel territorio da parte degli ebrei. Mi potrebbe chiarire come mai ci fu questo aumento della popolazione se chi amministrava i territori tendeva ad evitarlo? Grazie e buon lavoro